Archimede, nel suo "Arenario", critica Aristarco e invera l’infinito potenziale di Aristotele?

Archimede, nel suo Arenario, critica Aristarco e invera l’infinito potenziale di Aristotele?

La scuola italica in astronomia tra V, IV e III secolo a.C. e la reazione platonico-aristotelica.

In miei scritti ho avuto modo di soffermarmi sul pensiero di Archimede, matematico, fisico, filosofo, come pure sul suo Arenario, sul complesso significato di quest’opera nella storia della scienza e del pensiero (altro che opera curiosa, bizzarra, mero gioco linguistico!), nel momento in cui ci offre interessanti notizie su Archimede e la cosiddetta scienza greca, smentendo inveterati e mistificanti luoghi comuni su di essi, primo tra tutti quello di una scienza greca autoctona ed univoca, rispetto alla quale invece si è preferito scrivere di tradizioni di pensiero dell’area del Mediterraneo centro-orientale tra V, IV e III sec. a. C., su cui ritorno a conclusione del mio contributo. Poiché si è parlato di una presunta influenza di Aristotele su Archimede a proposito del suo Arenario (si legga in merito quanto scrive P. Delsedine,1970, nel suo articolo L’infini numérique dans l’Arénaire d’Archimède. “C’est in effect dans la conception aristotelique du nombre que nous croyons pouver trouver cette matrice philosophique de la ricerche qu’Archimède effectue dans l’Arénaire et qui la conduit, nous l’avons vu, à affirmer l’infinité du systeme numérique.” L’Arenario “répond à la nécessitè d’adapter la notation numérique à l’idée de l’infinité potentielle de l’ensamble des nombres naturales”) ma soprattutto in tutti gli interpreti di una presunta critica di Archimede ad Aristarco, in relazione ad una impossibile proporzione da questi stabilita, con ciò contravvenendo alle regole della matematica del tempo, ci è sembrato opportuno, in particolare, soffermarci su questi due aspetti, dando una nostra interpretazione in merito, dopo aver prima però dato una nostra attenta traduzione dei brani archimedei, oggetto di superficiale e non rigorosa attenzione filologica. ed epistemologica da parte dei tanti traduttori e studiosi. Tutto questo sarà esaminato, tenendo in parte presenti i complessi rapporti come erano concepiti nelle scuole filosofiche del V, IV e III sec. a. C. tra fisica, astronomia e matematica, per interpretare la presunta critica di Archimede ad Aristarco, come pure brani del libro II,13, del De caelo, di Aristotele, 1973, mentre per quanto riguarda il presunto inveramento dell’infinito potenziale nella costruzione numerica archimedea dell’Arenario saranno tenuti presenti i brani aristotelici del libro III,7 della Fisica.

 

2. Testimonianze di Archimede su Aristarco e di una sua presunta critica matematica a quest’ultimo, astronomo

Testimonianze di Archimede su Aristarco e di una sua presunta critica matematica a quest’ultimo, astronomo. (Boscarino 2010, nostra traduzione)

Cap. 1 (4) Aristarco di Samo, pubblicò raffigurazioni (=γραφάς) di certe ipotesi, le cui premesse portano ad ammettere che il cosmo è molto più esteso di quello che ora abbiamo chiamato così. (5) Infatti egli suppone che le stelle fisse e il sole se ne stanno immobili, che la terra sulla circonferenza di un circolo giri intorno al sole, il quale sta nel mezzo dell’orbita, e infine che la sfera delle stelle fisse, situata attorno allo stesso centro del sole, è così grande che hanno la stessa corrispondenza (ἀναλογία) il cerchio, sul quale egli suppone che la terra giri, con la distanza delle stelle fisse e il centro di una sfera con la sua superficie. (6) Ma è evidente che questo è impossibile; infatti non si può ammettere che il centro di una sfera, non avendo alcuna grandezza abbia alcun rapporto (λόγος) con la superficie di questa sfera. Si può tuttavia ritenere che Aristarco voglia intendere che, se si considera la terra come il centro del mondo, il rapporto (λόγος) della terra con ciò che noi “chiamiamo mondo” è lo stesso di quello della sfera, che contiene il circolo attorno al quale si suppone che la terra giri, con la sfera delle stelle fisse; in verità egli adatta le dimostrazioni dei fenomeni ad una ipotesi di questo tipo, e sembra in particolare supporre che la grandezza della sfera, sopra la quale egli suppone che la terra si muova, sia uguale a quella che noi chiamiamo mondo.


3. Traduzioni ed interpretazioni della critica di Archimede ad Aristarco

Traduttori ed interpreti (Frajese 1974, Ver Eeke 1917, Dreyer 1970, Dejsterhuis 1956, Schiaparelli 1926) sembrano concordare sulla tesi di una critica, nei brani da noi riportati, soprattutto di natura matematica ad Aristarco circa quella che Archimede chiama, ἀναλογία, ovvero il rapporto di un centro, equiparato ad un punto, e la sua superfice sferica proporzionale (!?) o corrispondente, come noi invece preferiamo tradurre, al rapporto mondo-sfera stelle fisse (che è quanto proprio voglia intendere Aristarco, precisa Archimede nel seguito del suo scritto). Ma intanto citiamo qualcuna di queste traduzioni-interpretazioni. Per Frajese: 1. circa la proporzione che Aristarco stabilisce il senso matematico di Archimede si ribella: un punto non ha un rapporto con una superficie. Esso è in contrasto con il postulato di Archimede come con la definizione IV del libro V degli Elementi di Euclide. Archimede rimetterebbe le cose a posto dal punto di vista matematico reinterpretando il pensiero di Aristarco. Questi traduce proporzione e rapporto, come lo Heath nella sua opera (The works of Archimedes, p. 221). Per P. Ver Eeke: 2. Archimede nella sua proporzione non rispetterebbe la definizione di punto di Euclide (Libro, I, def.1, Gli Elementi), per cui è portato a rigettarla. Per Dreyer 3. Archimede non cerca di produrre argomenti pro o contro quest’ipotesi, ma si limita ad obiettare contro l’idea non matematica che possa sussistere un qualche rapporto tra un punto, che non ha grandezza, e la superficie di una sfera. Per Dejsterhuis, volendo salvaguardare il linguaggio di Aristarco, riportato da Archimede, attraverso quello usato in altre sue opere pervenuteci, per esempio che la terra starebbe in relazione (λόγος) alla luna come un punto, scrive :4. l’espressione punto è da interpretare, come se fosse un punto, like a point, il cenro del mondo rispetto alla superficie della sfera delle stelle fisse. Per Schiaparelli 5. Il modo con cui egli esprimeva l’immensa distanza delle stelle incontrò la critica di Archimede... L’interpretazione di Archimede è qui interamente arbitraria e coniata apposta per il suo bisogno. (tomo I p. 431-433) Essa insomma è per Schiaparelli solo una sofisticheria.

 

4. Matematica, fisica ed astronomia nel III sec. a. C. Archimede interprete e non critico di Aristarco, ma critico di Aristotele

Nell’Aristarco dell’Arenario vediamo riflettersi una critica di natura matematica, epistemologica e filosofica ad Aristotele, per quanto Aristotele afferma nel suo De caelo, sostenendo l’impossibilità per la terra di un suo qualsiasi movimento e della sua necessità di stare al centro, a cui poi egli aggiunge a conferma: "E una prova a sostegno di questo ce lo danno anche le enunciazioni dei matematici in materia astronomica: i fenomeni infatti che noi osserviamo negli spostamenti delle figure secondo cui è determinata la disposizione degli astri, si verificano in accordo con l’ipotesi che la terra posa nel centro dell’universo." (De caelo, II,14, 297a). In che cosa possiamo individuare un indizio per questa nostra interpretazione intanto dal punto di vista storico-biografico? Dal fatto biografico circa Aristarco, frequentatore in età giovanile del Liceo di Aristotele in Atene. Scrive Schiaparelli, 1926: "Aristarco di Samo è soprattutto celebre come astronomo e come matematico; ma è poco divulgato aver egli nei suoi anni giovanili atteso alla filosofia peripatetica sotto Stratone di Lampsaco, che succedette nel Liceo a Teofrasto successore di Aristotele, che trattò con predilezione le cose naturali, onde ebbe il nome di fisico." Poi, a nostro parere, a ben interpretare il testo archimedeo non vi è nessuna espressa critica ad Aristarco. Il questo è impossibile, non si riferisce tanto all’espressione dal punto di vista della sua interpretazione matematico- idealizzazionale, o figurativa, se si vuole linguistica, degli enti geometrici, quanto al punto di vista della loro interpretazione fisica, delle grandezze e delle loro misure. La critica, dal punto di vista delle osservazioni o delle apparenze, a nostro parere, è rivolta, proprio usando il punto di vista matematico, da Aristarco, invece ad Aristotele e a quanti chi per lui pensano di poter salvare le apparenze ponendo al centro del cosmo la terra immobile, sol perché non sono osservate negli astri spostamenti, in ciò appoggiandosi, proprio al punto di vista dei cosiddetti matematici del proprio tempo, come da noi prima citato. Per spiegare ciò, leggiamo come veniva concepito il rapporto fisica-astronomia-matematica, nel III sec. a. C., al tempo di Aristarco, quale ci viene tramandato da una importante testimonianza riportata da Simplicio nel suo commento alla Fisica di Aristotele, citando a sua volta Gemino, I sec. d.C. che commenta a sua volta la Meteorologia di Posidonio: "Non è compito dell’astronomo stabilire che cosa sia immobile per natura e di che genere siano le cose mosse, ma elaborando ipotesi nelle quali alcune cose sono in moto e altre sono in quiete egli considera quali ipotesi siano in accordo con i fenomeni osservati nei cieli."

Ad Aristotele, e a chi come lui si appoggia ai matematici per sostenere la immobilità della Terra, sembra pertanto rispondere Aristarco, da matematico, proprio usando da matematico il campo delle osservazioni e di come salvarle, spiegarle. Infatti Aristarco sembra osservare che, se noi poniamo, come ci testimonia Archimede nel brano citato, la terra in movimento attorno al sole e le stelle molto lontane, non osserveremo nel movimento degli astri alcun spostamento, perché la terra ci sembrerebbe essere un punto rispetto alla superficie della sfera del cielo, non diversamente da come immagina, descrive, pensa la sfera il matematico rispetto al suo centro, che lo considera come se fosse un punto, non mettendoli in rapporto quali grandezze, ma quali semplici figure geometriche ideali (raffigurazioni). E in questo Aristarco non si comporta diversamente dal matematico Euclide, quando nei suoi Elementi usa spiegazioni, termini, o raffigurazioni ideali (non definizioni come solitamente si traducono i sui Ὃροι) per descrivere il suo cerchio in corrispondenza ad un punto, che chiama centro. (vedi Libro, I, XV e XVI in Elementi). Se in parte in questo senso Aristarco resta un matematico, nel senso euclideo, dall’altra in contrasto ad Aristotele, da astronomo, osserva come la sua ipotesi di un cosmo (distanza terra-sole) ridotto ad un punto, essa stessa salva i fenomeni, poiché il non movimento degli astri è anch’esso compatibile con la sua ipotesi, perché essi, considerata la loro grandissima distanza, non possono mostrare in termini di movimenti alcuna irregolarità. I vecchi aristotelici e i moderni aristotelici, i traduttori, nel loro cieco empirismo, poiché si attengono alle sole apparenze, non sapendo distinguere nelle costruzioni scientifiche il piano idealizzazionale o teorico dal piano della loro interpretazione fisica e della misura, leggono gli uni Aristarco, gli altri Archimede in chiave antiAristarco, per cui Archimede deve spiegare, già agli aristotelici del suo tempo, che per Aristarco il punto non è un ente metafisico, assoluto, come per Aristotele, ma un ente che è definito entro una teoria, per cui già Democrito poteva scrivere che esistono atomi grandi quanto un mondo, ovvero che ci sono enti che dentro un contesto teorico si comportano come se fossero un punto o elemento o atomo, poiché questi sono concetti relativi. L’ipotesi di Aristarco insomma non viola nessuna teoria delle grandezze né di Euclide né di Archimede, si muove solo dentro una diversa concezione di teoria scientifica.


5. Il senso antiaristotelico della teoria dei grandi numeri di Archimede

Per cogliere poi questo senso, intanto, è giusto riportare, non solo il testo di Aristotele, ma anche le due tesi che Archimede, con la sua teoria dei grandi numeri, a nostro parere a forte impronta filosofica, matematica e soprattutto epistemologica, intende confutare.

Tesi 1. Non è possibile limitare con un numero la molteplicità dei granelli di sabbia.

Tesi 2. Anche ammesso che essa fosse limitabile con un numero, non sapremmo costruire il nome di quel numero. Archimede dimostra invece che non solo 1’. è possibile limitare con un numero quella molteplicità (anche nel caso che riempisse il tutto fisico, che si ritiene sferico, compreso dal cielo delle stelle fisse, che ne sono il suo limite), ma anche 2’. di poter costruire numeri ancora molto più grandi. (e sempre più grandi, di ogni numero dato, compreso quello indicante la molteplicità dei granelli di sabbia, compresi dal tutto fisico sferico finito, limitato dal cielo delle stelle fisse, preso in tutto il suo volume o grandezza.) Se si legge Aristotele, Fisica, III,7, si nota come la confutazione di 1.e 2. sia una sfida, dal punto di vista fisico, filosofico, matematico ed epistemologico, ai divieti e alle concezioni aristoteliche circa la natura del numero, dell’infinito potenziale, vuoi in senso ideale, vuoi in senso fisico, come della parola uno che Aristotele chiama to en, ma che Archimede chiama monàs. Per Aristotele il numero è una molteplicità di unità, le quali in quanto tali sono indivisibili (adiaireton). Sicché per Aristotele non può esistere o non ha senso concepire un numero in quanto mero ente ideale o nome, ma solo come numero di unità, né esso può stare separato dalla molteplicità, se non esiste a suo fondamento intanto una molteplicità fisica data, né è separabile (χωριστὸς=essere altro) da essa, per cui non si può dare un infinito potenziale numerico, se non è data a sua volta come fondamento una molteplicità che cresce incessantemente, come è il caso del tempo e il numero del tempo. Per Aristotele poi non è possibile che ogni grandezza determinata venga pensata come superata: perché, allora, esisterebbe qualcosa più grande del cielo. (ibidem) E questo perché ancora scrive: Quanto grande infatti si ammette che una cosa sia in potenza, altrettanto si deve ammettere che essa sia in atto. (ibidem). Nel momento in cui Archimede, col suo sistema numerico, delle misure, come delle grandezze, confuta le tesi 1.e 2., da noi richiamate, non solo sfida e rimuove il divieto aristotelico che non possa essere data o pensata una grandezza più grande, come scrive, del cielo, che rappresenta il divino, il sovrannaturale, dando numeri più grandi, di quello che lo limita, ma ancora costruisce numeri a cui non sono sottesi unità fisiche, come pensa che debba avvenire Aristotele, ma solo ideali, per cui, se per Aristotele un infinito numerico potenziale può esistere, questo è possibile solo se già la realtà fisica lo permetta, come nel caso del tempo e de numero del tempo. La costruzione di un infinito potenziale numerico puramente ideale non solo allora non è possibile, ma se lo si volesse costruire o sarebbe una pura follia nominalistica o ancora una sfida al divino, al sovrannaturale, perché ciò che è pensabile in potenza, deve poi dover essere in atto, scrive ancora Aristotele. Nel qual caso di un infinito potenziale possibile si aprirebbe la strada alla possibilità della sua esistenza, stando al suo assioma logico-ontologico, di cui sopra, di un universo fisico aperto, non- finito, certamente senza più un centro ed omogeneo, senza distinzione di natura tra cielo e terra. Che è quanto Aristotele non vuole ammettere, che sarebbe quello atomistico di Democrito. A questi Archimede si riferisce nelle sue dimostrazioni geometriche e meccaniche. La costruzione numerica archimedea è costruita su una concezione epistemologia, delle teorie scientifiche, assolutamente diversa da quella aristotelica. Come abbiamo visto per Aristotele il numero è formato da tanti uno, to en, che sono indivisibili. Ebbene questi termini, uno, indivisibile, in Aristotele assumono un significato assoluto, diciamo, metafisico, che identifica col termine in quanto tale. Il termine non ha un significato convenzionale, relativo al suo contesto teorico in cui è definito. In Archimede la monàs, l’uno, è tale solo dentro un contesto teorico, come lo sarà quello di indivisibile, in altri contesti teorici, a proposito del suo metodo o tropos geometrico-meccanico.

 

6. La scuola italica in astronomia tra V, IV e III sec. a.C. e la reazione platonico-aristotelica

Da quanto detto, emerge chiaramente come lo scritto di Archimede sia da collocare dentro quella che noi già in nostri scritti abbiamo chiamato tradizione di pensiero italica della scienza. Indicazioni in tal senso ancora ci vengono vuoi da scritti di Aristotele, dal suo De caelo, già da noi citato, come da scritti di valenti studiosi dell’astronomia greco antica. Scrive Schiaparelli, 1926: "Questa grande scoperta della sfericità della Terra, che certamente non deve stimarsi meno di quella della gravità, rimase per lungo tempo confinata presso le scuole italiche, perché nella Grecia propria Anassagora l’ignorava ancora un secolo dopo, Socrate ne dubitava, Platone medesimo non l’accettò che in uno stadio avanzato delle sue riflessioni sulla costituzione dell’universo." Ora se è vero quanto scrive lo Schiaparelli, è altrettanto vero quanto da noi si ritiene, ovvero che né in Atene né in una presunta Grecia, mai esistita né sul piano politico, né sul piano linguistico, né sul piano culturale si è costruita una tradizione di pensiero univoca, monocentrica, detta greca. E’ vero invece che soprattutto nell’area del Mediterraneo centro orientale, tra il V, IV e III secolo a. C. si sono costruite condizioni storiche particolari, nate dalla fusione di diverse etnie, che hanno dato luogo a tradizioni di pensiero in forte contrasto tra loro, che noi chiamiamo tradizione italica e ionica, sulla indicazione di Diogene Laerzio.

Se si pensa che già i siracusani Ecfanto e Iceta parlavano di movimenti della terra nel V sec. a. C, e Archimede, III sc. A. C. ci lascia l’importante testimonianza su Aristarco, mentre in questi stessi secoli nella grande Atene si bruciano le opere di Protagora, e Anassagora è costretto a fuggire, mentre nelle scuole delle terre italiche si respira tanta libertà di pensiero, di conoscenze, di modi di concepire il linguaggio, le teorie, allora bisogna dire che fu nel Mediterraneo centro-orientale che nacquero e si scontrarono tradizioni di pensiero al di là di mere ristrette appartenenze geografiche o etniche.

 

7. Conclusione

I siracusani Ecfanto ed Iceta condividono con Democrito, di Abdera, idee atomistiche; dentro la tradizione italica si concepiscono movimenti della Terra, teorie alternative circa la sua posizione, vedi Filolao, di Crotone, ma anche Eraclide Pontico; dentro di essa ancora si concepisce l’idea di un universo aperto, acentrico, omogeneo, quale quello atomistico. Ebbene queste concezioni furono fortemente avversate da un’altra tradizione di pensiero, che noi chiamiamo ionica, che Schiaparelli individua in Platonici ed Aristotelici, nel nome della difesa di arcaiche tradizioni fatte di miti, pregiudizi, presunte entità sovrannaturali, ingenue visioni epistemologiche e filosofiche (ma si veda su tutto questo Boscarino, 2010, 2014, 2015, 2016).

 

Bibliografia

Archimede (1974). Opere, a cura di Attilio Frajese, Torino, Utet.

Aristotele (1973). Opere, Fisica, Del cielo, Bari, Laterza,

Boscarino G. (2016). Tradizioni di pensiero. La tradizione filosofica italica della scienza e della realtà, Aracne, Roma.

Boscarino G. (2010). Un mondo di sabbia. L’Arenario di Archimede e la tradizione di pensiero italica della scienza, Padova, Altro Mondo editore,

Boscarino G. (2015). "Archimedes’ Psammites and the Tradition of Italic Thought of Science", Advances in Historical Studies, Vol.4 No.1, March 30.

Boscarino, G. (2014). "The Italic School in Astronomy: From Pythagoras to Archimedes", Journal of Physical Science and Application, 4 (6), 385-392.

Delsedine, (1970). "L’infini numérique dans l’Arénaire d’Archimède", Archive for History of Exact Sciences, Vol. I, n.5, pp. 345-359.

Dijkstesterhuis, (1956). Archimedes, Copenhagen.

Dreyer E. (1970). History of the Planetary System from Thales to Kepler, Milano, Feltrinelli, pp. 34-35.

"Les oevres complètes d’Archimède", 1917, par Paul Ver Eecke, L’Arénaire.

Schiapparelli, Scritti sulla storia della astronomia antica parte, tomo I, II, in e-book.