Complessità e Semplicità
Nei dizionari, la definizione di "complessità" non è complessa. Ma ci sono almeno due modi di intenderla, riferendola alla interdisciplinarietà o agli effetti di multiscala. E, in ogni modo, i sistemi dinamici non ne esauriscono lo studio. Le nuove sfide della Matematica.
Il termine complessità ha recentemente conosciuto una grande diffusione negli ambienti scientifici. Si trova, spesso unito ad altri termini più specifici, dando luogo a espressioni di moda in molti progetti di ricerca (sistemi complessi, teoria della complessità, ecc.) anche in campi molto diversi tra di loro, quali la Fisica, la Biologia, la Chimica, l'Economia, la Sociologia.
Non è facile, però, dare una definizione precisa e nello stesso tempo chiara del termine. Anzi, spesso, si ricorre a discorsi "complessi" che lasciano nel vago e nell'ambiguo il concetto che si vuole definire.
Su un dizionario, la definizione di complesso è analoga in italiano (Vocabolario della Lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Treccani: "Che risulta dall'unione di più parti o elementi") e in inglese (Chambers Dictionary: "Ciò che è composto da più di una cosa, ovvero di molte parti"), mentre il termine contrario semplice è definito come "ciò che è costituito da un solo elemento" ovvero, rispettivamente, "ciò che consiste di una cosa o un elemento".
Vi sono però almeno due diversi significati, che si possono dare a questo termine. Il primo e più comune modo di intendere la complessità è legato alla interdisciplinarietà, nel senso che in un dato problema possono concorrere aspetti legati a diverse discipline (Chimica, Fisica, Economia, Biologia,...) e compito della Matematica è allora quello di trovare un linguaggio unificante che consenta una formulazione chiara e rigorosa, al fine di poter pervenire a risposte unitarie che si possano poi, eventualmente, frammentare in risposte specifiche per i vari settori. L'altro significato, che fa riferimento a proprietà "interne" ad un sistema (qualunque fenomeno questo sistema voglia descrivere), è invece correlato a fenomeni in cui intervengano effetti di multiscala, cioè effetti legati a proprietà che si esplicano a livelli di scala diversi. Si tratta di riuscire a stabilire una formulazione che tenga conto – ad uno stesso "livello" – dei fenomeni che avvengono a livelli diversi, con interazioni reciproche che portano a esiti non descrivibili da modelli semplici (che tengano conto separatamente dei singoli livelli di scala). Per esempio, in Economia sono noti e diffusi da tempo modelli microeconomici, macroeconomici o a livelli di scala intermedi: ben diversi sono i problemi economici e finanziari a livello di famiglia, di piccola attività artigianale, di piccola azienda, di media azienda, di grande multinazionale, per non parlare di economia a livello di amministrazioni locali, nazionali, sovranazionali. D'altro canto, è banalmente ovvio che effetti economici previsti per macrosistemi hanno notevoli ricadute su microsistemi: politiche monetarie stabilite a livello mondiale possono provocare in singole nazioni effetti inflazionistici o deflazionistici, con successive conseguenze a tutti i livelli inferiori.
In entrambi i casi cui si è fatto cenno si vuole operare nel senso contrario a quello seguito nel modellare i fenomeni, quando si cerca di spezzettare i problemi nelle loro componenti più piccole al fine di semplificare al massimo l'analisi. Molto più difficile è rimettere assieme i pezzi, cioè ricostruire la complessità dalla semplicità. L'approccio è quello di studiare il fenomeno nella sua interezza e nella sua complessità, anche se con questa affermazione non si vuole dire che bisogna ogni volta ricorrere a una visione olistica, totale, del mondo nel suo insieme, rischiando di sconfinare nella metafisica (disciplina di alto profilo ma estranea alla scienza quale si intende ora). Si tratta di riuscire a individuare i principali fattori di complessità e di trattare il problema specifico in modo unitario, cercando di mettere in evidenza gli effetti di interazione tra questi fattori, che non sono in generale rilevabili con una analisi frammentata di modelli semplici indipendenti.
Si osservi ancora, che semplicità e complessità non sono necessariamente correlate a facilità di risoluzione o a complicazioni di calcolo. Non necessariamente complesso significa complicato. È ovvio che problemi complessi possono richiedere tecniche risolutive complicate, ma non sempre più complicate di quelle usate per risolvere problemi "semplici".
Ad esempio, l'ultimo teorema di Fermat o la mappa quadratica di Mandelbrot: zn+1=zn2+c (con c, zn,zn+1 numeri complessi) sono problemi "semplici", e anche di semplice enunciato e comprensione, ma hanno dato luogo a situazioni molto complicate, tanto dal punto di vista dello studio e della risoluzione, quanto a esiti ed evoluzioni "non semplici" come la funzione zeta di Riemann o la Teoria dei frattali. Anche la mappa quadratica, in campo reale, xa+1=c–xn2 porta a una situazione non semplice quale quella descritta dai diagrammi di Feigenbaum, ma in questo caso la via è nella direzione della complessità, perché si entra nel dominio della Teoria delle biforcazioni e del caos deterministico.
Gli algoritmi ricorsivi sono un tipico esempio di modelli semplici in grado di descrivere strutture complesse. Variando scale e fenomeni presi in esame, originano una specie di zoo matematico, popolato da cavallucci marini e uragani, lampi e fulmini a zig-zag, macchie di leopardo e strisce di zebre, fino a evidenziare la necessità di introdurre modelli a loro volta complessi che partano dall'alto, cioè da strutture complesse da studiare nelle loro interezza.
Come si è visto da questi esempi semplici relazioni ricorsive non lineari - la Teoria delle biforcazioni, il loro equivalente geometrico della Teoria delle catastrofi, la Teoria del caos - hanno stretti legami con la complessità. In altri termini, un aspetto strutturalmente connesso con la complessità è la non linearità. Non bastano più modelli lineari, caratterizzati da idee quali la proporzionalità tra causa ed effetto e il principio di sovrapposizione lineare (con le note conseguenze rilevanti quali il concetto di buona posizione dei problemi e la relativa possibilità di dimostrare ogni volta teoremi di esistenza, unicità e dipendenza continua dai dati delle soluzioni). In tutti i casi in cui si ha a che fare con strutture complesse, gli aspetti non lineari non possono più essere trascurati e comportano effetti rilevanti, non eludibili, sia a livello di previsione teorica (non unicità della soluzione, sensitività ai dati iniziali, biforcazioni e situazioni critiche) che a livello sperimentale o, se si vuole, nella realtà fenomenologica. Basti pensare ai cedimenti di strutture o a fenomeni di buckling dovuti alla combinazione di non linearità con effetti di scala (come nel caso di distribuzioni di imperfezioni microscopiche tipiche della Teoria delle dislocazioni o dei microcracks).
In tutti i settori finora ricordati, questi aspetti sono presenti a livello immediatamente riconoscibile. Gli effetti di microscala di batteri e virus provocano ripercussioni ben note a livello di macroorganismi, così come il comportamento di operatori di borsa a livello "microscopico" - cioè piccoli risparmiatori e investitori - può avere notevoli ripercussioni sull'andamento del mercato azionario, dopo un innesco di tendenza dovuto a macrooperatori. La crescita impetuosa della borsa per un certo periodo, nel recente passato, è stata certo innescata da manovre finanziarie e speculative (la ben nota bolla speculativa) a livello macroeconomico, ma questo andamento ha influenzato fortemente i piccoli operatori che, a loro volta, hanno avuto una influenza crescente e molto forte sul successivo andamento borsistico. È un chiaro esempio di sistema complesso, dove convergono sia elementi di scala che fenomenologie molto diverse, quali l'Economia, la Finanza, la Sociologia, la Psicologia, caratterizzate da metodologie piuttosto distanti tra loro.
In larga misura si ritiene che la teoria della complessità abbia come riferimento modellistico la teoria dei sistemi dinamici, e questo è vero solo in parte. Anzi, i sistemi dinamici rappresentano una visione piuttosto restrittiva della teoria dei sistemi complessi.
Come prima precisazione di carattere generale, che è anche - ma non solo - di tipo linguistico, vorrei ricordare che per sistema dinamico si intende un sistema di equazioni differenziali del primo ordine in forma normale del tipo dxi/dt=fi(xh, t), (i, h = 1, 2, ..., n) che viene usato per costruire modelli validi per ampie classi di fenomeni, con l'esclusione però di classi almeno altrettanto ampie, quali quelli descrivibili dalla Meccanica dei Continui nelle sue varie accezioni (solidi, fluidi, gas). Qui - in casi quali i materiali con memoria, le popolazioni con fattori ereditari, la crescita di tessuti biologici, l'evoluzione di cellule cancerogene, la dinamica della diffusione, per non parlare poi dei modelli economici - la struttura matematica fa riferimento a equazioni alla derivate parziali, equazioni integrali, equazioni integro-differenziali, equazioni funzionali in generale.
Un caso di notevole importanza è quello dello studio dei materiali usati nella tecnologia contemporanea, spesso caratterizzati da una struttura complessa proprio per poter soddisfare le molteplici richieste di utilizzo. Si tratta di diversi tipi di materiali - quali i solidi policristallini, le ceramiche di materiali compositi, le leghe, i materiali granulari, certi tipi di tessuti "non tessuti" ecc. - dove è necessario far ricorso a spazi con scale diverse intrinseche, come una struttura cristallina periodica, le dimensioni dei cristalli o dei granuli e le distanze tra le micro imperfezioni (nel caso di danneggiamenti microscopici). La teoria classica dei continui presuppone una certa regolarità strutturale mentre questi tipi di materiali contengono irregolarità, con una o più scale interne. Si parla così anche di materiali con microstruttura, anche se il termine "micro" si riferisce a scale che sono di ordine di grandezza maggiori del livello atomico o molecolare (si parla talora anche di nanostrutture o di mesostrutture, dove l'ordine di grandezza cresce da nano a micro, a meso). Chiaramente il comportamento dinamico di tali materiali non può essere spiegato con la teoria classica della meccanica dei continui, anche se il quadro di riferimento metodologico resta lo stesso (nel senso che non si fa ricorso a teorie quantistiche o a modelli del tipo termodinamico statistico).
I punti fondamentali di una teoria di questo tipo sono allora un modello che tenga conto delle scale interne; una struttura gerarchica delle onde, ovvero delle perturbazioni che si possono propagare in questi mezzi, dovuta alle diverse scale e legami sforzo-deformazione non lineari, per tener conto degli effetti di deformazioni "grandi".
La sfida per la Matematica è di riuscire a trovare linguaggi universali unificanti e nuove grammatiche e sintassi, che consentano di integrare aspetti diversi di fenomeni di sempre maggiore importanza a livello tanto teorico quanto applicativo.
Dai tentativi di formalizzare modelli per poter fare previsioni nei diversi campi, emerge la necessità di una Matematica della (o per la) complessità. In tale ambito, si può introdurre anche la scienza del management come scienza della complessità. Le interazioni tra impresa e mondo esterno sono certamente non lineari ed entrambi i sistemi delle strutture complesse risultano adattivi, cioè tali da saper evolvere in base alla reciproca interazione, con meccanismi di feed-back, di autoorganizzazione e di evoluzione continua. Le previsioni su tempi lunghi diventano però impossibili e si devono introdurre nei modelli caratteristiche come la flessibilità e l'adattabilità, senza che per ora la Matematica sappia fornire un linguaggio che tenga conto di tali concetti. Si può arrivare così a una visione estrema del concetto di complessità, come impossibilità di descrizione formale di un sistema complesso. In tal caso non è pensabile di poter sviluppare una nuova Matematica che ci fornisca una visione unitaria e, nello stesso tempo, operativa. Vorrei però ricordare come un modello matematico non pretenda mai di essere in grado di descrivere un fenomeno, anche semplice, in tutti i suoi aspetti. Anzi, spesso, ci si accontenta di trovare risposte parziali ma utilizzabili nella pratica.
In tal senso, la capacità dei matematici di adattare, costruire e inventare metafore che consentano di unificare linguaggi e fornire strumenti di analisi utili a risolvere i problemi posti è la sfida nella sfida. Si tratta di una sfida per certi versi vitale, forse unica possibilità per la Matematica di essere fonte di sviluppi futuri di grande respiro. Il rischio che corre, invece, è quello di chiudersi in se stessa, come già in parte accade, in una sorta di Castalia, in una società però in cui il gioco delle perle di vetro non è un grande evento nella vita di quel Paese, ma un'attività per pochi isolati giocatori. I loro scopi ed esiti - questo è il rischio! - sfuggono alla conoscenza della società che li circonda, pur dietro grandi attestati di riconoscimento della importanza della Matematica in ogni aspetto del mondo scientifico e tecnologico. Ma, nello stesso tempo, non viene migliorata la qualità e la quantità di Matematica nelle scuole. Anzi, si riduce il suo ruolo a quello di semplice ancella, cioè di fornitrice di strumenti (spesso semplici), e non di idee (semplici e complesse che siano).
Il problema è certamente complesso (qualunque significato si voglia dare a questa parola) e solo una visione unitaria di questa complessità può far sperare che si arrivi alle soluzioni corrette del problema, senza transizioni al caos - ancorché deterministico - ma nel modo rigoroso, chiaro e logico così caro ai matematici.