Cosa fa " 3 + 2 " ?

Pubblichiamo, a proposito del dibattito sulla riforma universitaria - il cosiddetto "3 + 2 "" - l'intervento di Ciro Ciliberto, già comparso (ma in forma sintetica) sul n. 43 di "Lettera Matematica Pristem".

 

E' facile, quando si prova a parlare dei grandi cambiamenti che l'insegnamento universitario sta subendo in questi anni, cedere alla tentazione di dire ovvietà. Di sicuro lo farò anch'io, ma almeno prendo un impegno con me stesso e con i lettori: la brevità. Anche a rischio di tralasciare importanti aspetti del problema, che tuttavia, ne sono certo, verranno sollevati e commentati da altri.

Sull'opportunità della riforma dei corsi di laurea molto si potrebbe dire. Anzi se ne dovrebbe parlare perché dalla necessità di certe scelte dovrebbe seguire il significato. E da qui il passaggio alla fase operativa. Non credo però sia il caso, in questo breve intervento, di addentrarmi su un terreno assai difficile, che intendo solo indicare, nella speranza che qualcuno voglia approfondirlo e farne oggetto di un dibattito che non riguarda soltanto l'area matematica, ma ha anzi risvolti culturali, sociali e politici assai vasti.

La riforma dei corsi di laurea si è contraddistinta, a mio avviso, per una caratteristica assai peculiare. Si è trattato infatti di una riforma culturalmente e tecnicamente assai complessa, riguardante larghe fasce della società (si pensi a studenti, docenti e futuri fruitori delle competenze dei nuovi laureati) che è stata portata avanti in modo in gran parte decentralizzato, per non dire acefalo. Ovviamente, come sappiamo tutti, ci sono state delle linee guida e vari vincoli, talvolta anche molto pressanti, da rispettare, sia nella ristrutturazione nei vecchi corsi di laurea che nella creazione di nuovi. Tuttavia, nel dire acefalo, voglio indicare che nessuno orientamento culturale di tipo centralistico ha sotteso, a mio avviso, la riforma. È stato un bene o un male? Troppo presto per dirlo. Riforme come questa si giudicano nell'arco dei decenni. Personalmente sono portato a pensare che, in mancanza di idee guida di alto profilo, forse è stato più un bene che un male. Certo, alcune scelte locali possono sembrare originali o bizzarre, o addirittura sbagliate, e ci sarà tempo e modo per modificarle. Tuttavia sarei stato molto più perplesso se scelte originali, bizzarre o sbagliate fossero state imposte a tutti per decreto.

C'è d'altra parte da dire che, al contrario di altri settori disciplinari, in Matematica non c'è stato, a livello nazionale, un reale sforzo di confronto e di coordinamento. E questo non credo sia stato un bene. Né per i corsi di laurea in Matematica né per il ruolo giocato dai matematici presso altri corsi di laurea. Il risultato è che è difficile che qualcuno di noi abbia le idee chiare sulle scelte fatte in corsi di laurea diversi da quello al quale afferisce, se pure le ha chiare su quello.

Tuttavia da quel che ho potuto capire, nei corsi di laurea in Matematica in ogni sede è stato fatto un gran lavoro non ancora del tutto concluso (si pensi alle lauree specialistiche ancora in fieri). Esso ha portato a nuovi curricula nei quali si legge sovente un tentativo di profittare della riforma, se non per realizzare un deciso rinnovamento della didattica, almeno per inserire nel primo biennio della laurea (triennale) alcuni elementi applicativi coi quali prima gli studenti non entravano in contatto se non, per la propria scelta di uno specifico indirizzo, al terzo o quarto anno. Parlo di qualche laboratorio di programmazione e analisi numerica, qualche cenno di informatica, elementi di probabilità , perfino applicazioni di discipline di solito considerate puramente teoriche come algebra e geometria (ad esempio alla crittografia o ai codici). Questo mi sembra un fatto positivo, e non potrà non avere qualche buon effetto sulla cultura di base dei nostri laureati.

Cultura, che, va da sé, sarà forse meno approfondita di prima, visto che il corso di laurea dura di meno. Ma proprio per questo è a mio avviso necessario che sia più equilibrata di un tempo, senza rinunciare peraltro ai requisiti di base che vanno richiesti ad un matematico: attenzione al rigore logico, capacità di astrazione e di valida impostazione teorica dei problemi. Sarà necessario vedere poi come verranno adoperate, nel concreto, le lauree specialistiche, nonché i dottorati (che nell'ottica della tre-più-due risultano più integrati di prima nel processo formativo) per completare la cultura dei matematici professionisti e indirizzare i giovani più promettenti alla ricerca.

Per concludere vorrei brevemente riferire sulla mia esperienza di insegnamento negli ultimi due anni presso un corso di laurea di nuova istituzione attivato nella mia sede, la Facoltà di Scienze dell'Università di Roma Tor Vergata. Si tratta del corso di laurea di Scienza dei Media e della Comunicazione, il cui obiettivo è fornire una cultura assai variegata e una professionalità flessibile in un settore assai attuale e in rapida espansione. Si pensi che, accanto a corsi di Matematica, Fisica ed Informatica, gli studenti hanno la possibilità di seguire corsi di storia della fotografia, di giornalismo ecc. Non mi dilungherò oltre, anche perché meglio di me potrebbe illustrare questi argomenti il presidente del Corso di laurea, prof. Massimo Picardello. Vorrei solo aggiungere che il corso da me insegnato è un primo modulo (36 ore) di "Metodi numerici per la grafica". Al di là del nome, il contenuto è, per buona parte, geometria descrittiva, la quale gioca un ruolo fondamentale nella grafica al computer. Gli studenti, che seguono parallelamente i corsi di CAD (Computer Aided Design), sono affascinati dallo scoprire il "perché matematico" dei programmi di grafica e delle loro applicazioni. E seguono con un interesse e un profitto che, a dire il vero, non mi sarei aspettato. Ma la vecchia geometria descrittiva non era un po' snobbata, per non dire odiata? Quando ero studente in Matematica era da poco stata soppressa dai programmi di Geometria 2, con un senso di liberazione da parte di discenti e docenti. Motivo: era "noiosa" e "inutile"! Giudizi forse un po' sommari, che magari si applicavano più al modo di insegnare la disciplina che ad essa stessa.

Insomma, non sarà piuttosto che il meglio del futuro sta anche nel passato? Che non dobbiamo affrettarci a mettere in soffitta i nostri piccoli o grandi patrimoni di conoscenze e il patrimonio didattico accumulato, ma dobbiamo cogliere proprio questa occasione per sforzarci di offrirli agli studenti in modo più accessibile e utile per il mondo in cui viviamo e per le eventuali applicazioni?