Ettore Majorana tra realismo e astrazione

La famiglia Majorana

 

Ettore Majorana nasce a Catania il 5 agosto 1906, a distanza di un solo giorno da Giovanni Gentile jr, figlio del famoso filosofo, con il quale avrà poi un rapporto di amicizia durato per il resto della loro breve vita; anche Giovannino morirà giovanissimo appena quattro anni dopo la scomparsa di Ettore. Nel 1906 Enrico Fermi e Franco Rasetti, i futuri fondatori dell'attività scientifica della scuola romana di via Panisperna, avevano appena cinque anni. Quanto agli altri membri del gruppo, Emilio Segrè era già nato nel 1905, mentre Edoardo Amaldi nascerà nel 1908 e Bruno Pontecorvo addirittura nel 1913.

Nel 1900 era stata inaugurata la prima linea del Metrò di Parigi, dopo quella di Budapest, Londra e New York, l'automobile muoveva i primi passi come veicolo di lusso ed era forte il senso della promessa di un progresso illimitato. Il cinematografo aveva appena compiuto i dieci anni di vita e la Tour Eiffel era stata inaugurata da poco. Sono gli anni i cui trionfano le grandi esposizioni universali, le donne sfoggiano grandi cappelli e l'Art Nouveau conquista le capitali europee. Ma il primo decennio del secolo è anche caratterizzato dai movimenti di rivolta sociale e dall'espansionismo tedesco. L'Italia sta vivendo il decennio giolittiano. Le classi colte, i ceti più dinamici aderiscono al programma liberale e di sviluppo dell'industria perseguita da Giovanni Giolitti; la borghesia illuminata si allea al socialismo riformista e la borghesia intellettuale specialmente del Sud vede nel nuovo corso giolittiano la continuità con i valori risorgimentali e una possibilità di portare l'Italia, ultima arrivata nel concerto delle grandi potenze, a livello dell'Europa. E' questa l'atmosfera che si respira nella famiglia Majorana, una famiglia borghese di professionisti bene inseriti nell'insegnamento universitario e nella politica, dove appaiono prevalenti gli interessi per la scienza, la tecnologia e la politica. Tutti dimostrano una grande precocità negli studi conseguendo la laurea attorno ai vent'anni, per iniziare poi brillanti carriere che li portano a risultati di alto livello.

Ettore Majorana con il suo fraterno amico Gastone Piqué il giorno della licenza liceale nel 1923 (per gentile concessione di Barbara Piqué)

Il nonno di Ettore, Salvatore Majorana, professore ordinario all'Ateneo di Messina e poi di Catania, è eletto deputato per la Sinistra con un programma radicalmente liberale. I suoi insegnamenti e il suo stile di vita passano ai figli, che Salvatore Majorana raccoglie a studiare attorno al proprio tavolo.

Uno zio di Ettore, Quirino Majorana, che avrà poi col nipote una fitta corrispondenza scientifica, si laurea a 19 anni in Ingegneria e a 21 in Scienze Fisiche e Matematiche, diventa professore di fisica sperimentale all'Università di Bologna e presidente della Società Italiana di Fisica dal 1925 al 1947.

La tradizione politica è ripresa invece da Angelo Majorana. Precocissimo, a 16 anni è già dottore in legge, consegue subito dopo la libera docenza e non ancora ventunenne vince contemporaneamente tre concorsi per le Cattedre di Diritto Costituzionale di Catania, Messina e Pavia. A 29 anni è rettore dell'Università di Catania e successivamente sarà Ministro alle Finanze e al Tesoro con Giolitti.

Il padre di Ettore, Fabio Massimo, si laurea anche lui giovanissimo, a diciannove anni, in Ingegneria e poi in Scienze Fisiche e Matematiche, diventa un esperto di telefonia, che è all'epoca lo strumento più avanzato di comunicazione a distanza, prima della diffusione della radio di cui Guglielmo Marconi ha condotto nel 1901 i primi esperimenti di trasmissione di segnali attraverso l'Oceano Atlantico. Direttore per molti anni dell'Azienda Telefonica di Catania, sarà in seguito un alto dirigente del Ministero delle Comunicazioni. Ettore - che ha due fratelli e due sorelle: Rosina, Salvatore, Luciano, e Maria - frequenta i primi anni delle scuole elementari a casa. Ancora fanciullo si trasferisce a Roma al Convitto Massimo alle Terme dove studia dai Gesuiti. Nel 1921 la famiglia si sposta a Roma. Durante l'ultimo anno di liceo Ettore frequenta il Tasso, dove si trovano anche Emilio Segrè e Laura Fermi. Consegue la maturità nell'estate del 1923.

 

Gli anni universitari

 

Fermi si era laureato a Pisa nel 1922 e tra il gennaio e l'agosto del 1923, grazie a una borsa di perfezionamento del ministero della Pubblica istruzione, aveva soggiornato a Göttingen da Max Born, che il 22 settembre del 1923 aveva scritto a Tullio Levi-Civita: “… Il semestre scorso è stato da noi un giovane italiano, il Dr. Enrico Fermi, che è eccezionalmente dotato e su cui vorrei attirare la sua attenzione. Posso prevedere con certezza che il signor Fermi otterrà importanti risultati. La sua amabilità ci ha reso la sua personalità molto cara”. A partire dal 1916 Levi-Civita si era occupato a fondo di relatività, un tema a cui l'ambiente dei fisici italiani – formato quasi esclusivamente da fisici sperimentali – era tendenzialmente ostile. Fra questi figuravano lo stesso zio di Ettore Majorana, Quirino, Michele la Rosa e il notissimo Augusto Righi. Nel periodo 1905-1924 gli articoli pubblicati nel “Nuovo Cimento” su relatività e teoria dei quanti sono solo 18 su un totale di 222 articoli teorici. Argomenti come la teoria dei quanti all'epoca erano completamente fuori del panorama dei fisici italiani e a parte Corbino nessuno era ben cosciente dell'importanza di queste novità, probabilmente nemmeno i matematici. Fin dall'epoca in cui era studente, tra il 1921 e il 1922, Fermi si era fatto conoscere in particolare per alcuni notevoli lavori nel campo della relatività e per la sue competenza nel campo delle teorie quantistiche. In breve tempo entrò a far parte del circolo dei Castelnuovo, Levi-Civita, Enriques, frequentava i loro salotti e trascorreva con loro le vacanze in montagna, come testimoniano diverse fotografie dell'epoca.

A quell'epoca in Italia non esisteva ancora il concetto di “fisica teorica” considerato praticamente un sinonimo di fisica matematica. Si capisce quindi perché la fisica matematica, che all'epoca ancora imperava in Italia, dove era rappresentata ad altissimo livello, tra gli altri, da personaggi come Vito Volterra e lo stesso Levi-Civita, venisse scherzosamente chiamata “la fisica teorica del 1830” da Orso Mario Corbino: “La vecchia e gloriosa Fisica matematica aveva deviato verso una forma di trattazione puramente analitica dei problemi fisici, i quali spesso costituivano appena il pretesto per porre e risolvere delle questioni d'interesse esclusivamente matematico. Si era così perduto ogni contatto fra i cultori delle due discipline, che avevano finito per ignorarsi a vicenda, senza alcun turbamento per questa mutua incomprensione”.

Mentre Fermi si laureava, i suoi futuri allievi stavano iniziando l'università: “Terminai la scuola superiore nel luglio del 1922, mi immatricolai in ingegneria in base a un processo di eliminazione – racconta Emilio Segrè nella sua autobiografia - L'idea di una carriera come fisico sembrava ben lontana dall'essere attraente perché offriva scarse speranze di trovare un impiego qualsiasi […] I miei genitori, e io stesso, vedevano certamente con favore una carriera universitaria, ma questo tentativo presentava parecchi rischi perché all'epoca esistevano ben poche prospettive in Italia – in totale circa venti cattedre di fisica, tutte occupate. Al massimo si liberava un posto l'anno a causa di pensionamenti o morti. Per di più mi chiedevo con un certo timore se in Italia la fisica fosse aggiornata”. Emilio Segrè era di poco più grande di Ettore Majorana; fra i suoi compagni di corso c'erano Giovanni Enriques, figlio del matematico Federigo, appena chiamato a Roma sulla cattedra di matematiche superiori. Con Enriques e il carissimo amico Giovanni Ferro-Luzzi Segrè aveva frequentato la terza liceale al “Tasso”. C'erano anche Luciano Majorana, fratello di Ettore, e Enrico Volterra, figlio del matematico Vito. L'amicizia tra le famiglie Volterra e Majorana risaliva alla generazione precedente: Volterra era stato molto amico degli zii dei fratelli Majorana, Angelo e Quirino e aveva conosciuto anche il nonno Salvatore.

Negli archivi dell'Università di Roma “La Sapienza” sono conservati i libretti delle lezioni impartite in quegli anni (1923-1928) agli studenti di ingegneria, matematica e fisica. Il primo anno il corso di Algebra era tenuto da Francesco Severi e quello di Geometria da Guido Castelnuovo.Nel secondo anno Severi insegnava Analisi e Segrè ricorda che una volta aveva iniziato la dimostrazione di un teorema prendendo una strada sbagliata. Majorana aveva sussurato immediatamente che ben presto si sarebbe trovato nei guai: “[…] tutti eravamo preparati a quello che sarebbe accaduto. Dopo un minuto o due la faccia di Severi diventò rossa e fu evidente che non sapeva come continuare. Alcune voci mormorarono: ‘Majorana l'aveva detto'. Severi non sapeva chi fosse Majorana, ma disse con aria sprezzante: ‘Allora che venga avanti, questo signor Majorana'. Ettore fu spinto alla lavagna, dove cancellò quello che aveva scritto Severi e fornì la dimostrazione esatta. È degno di nota il fatto che Severi non si complimentasse con lui in alcun modo né facesse alcuno sforzo per fare la sua conoscenza”. Le qualità di Ettore erano ben note ai compagni che si rivolgevano a lui come consulente per la soluzione dei problemi più difficili, in particolare di matematica.

Il corso di meccanica razionale tenuto da Levi-Civita era scarsamente frequentato, benché il professore fosse famoso e le lezioni “buone, anche se un po' verbose”, secondo il ricordo di Segrè. Levi-Civita era di bassa statura e di vista corta, tuttavia si sforzava di raggiungere la cima della lavagna, avvicinandosi al massimo con il naso, alzando il braccio e scrivendo alla cieca. In questa posizione una volta fu raggiunto alla testa da un proiettile lanciato con una cerbottana da qualche studente villano. Levi-Civita si girò e con l'espressione più innocente che si potesse immaginare disse: ‘Ho sbagliato qualche segno?' Il suo candore e la sua buona fede erano tali che nessuno rise e nessuno osò più disturbarlo con la cerbottana. Di Levi-Civita Majorana possedeva il volume Fondamenti della meccanica relativistica , pubblicato nel 1927 e redatto da Enrico Persico, che dal 1922 era assistente di Corbino.

Segrè ricorda un altro notevole episodio che rivela come Majorana, accanto alle sue innate capacità, avesse già una cultura matematica raffinata: “In un'altra occasione, mentre aspettavo di essere chiamato per un esame orale, Majorana mi dette una prova sintetica dell'esistenza dei cerchi di Villarceau su un toro. Io non la capii del tutto, ma lì per lì la memorizzai. Quando entrai nell'aula d'esame, il professor Pittarelli mi chiese, come era sua consuetudine, se avessi preparato un argomento particolare. “Si, risposi, sui cerchi di Villarceau” e mi precipitai immediatamente a ripetere le parole di Majorana prima di dimenticarle. Il professore rimase colpito e si congratulò per quella dimostrazione così elegante che non conosceva”. Fin dall'epoca del liceo Majorana aveva sempre aiutato i compagni e all'università era considerato il grande consulente delle questioni difficili.

Nel terzo anno Volterra teneva un corso di fisica matematica e quell'anno si soffermò a lungo sul problema delle vibrazioni elastiche, ma a quanto pare Segrè trovava terribilmente noiose le equazioni alle derivate parziali e si addormentava regolarmente. Il corso di Fisica Generale era tenuto da Orso Mario Corbino. Nel 1920 era divenuto senatore e nel 1921 era stato anche ministro della Pubblica istruzione. Corbino non si iscrisse mai al partito fascista, ma conservò sempre un certo potere a livello politico e istituzionale. Nel suo corso di Fisica sperimentale per gli studenti del secondo anno, si studiava prevalentemente elettricità e non si toccavano argomenti come la termodinamica o l'ottica, per non parlare di soggetti più moderni; la termodinamica era relegata al terzo anno di corso, alla scuola per ingegneri, la insegnava Ugo Bordoni che la spiegava secondo Clausius, enfatizzandone tutte le sottigliezze. Il corso di Corbino, non dissimile in molte parti dai comuni corsi di insegnamento della fisica classica, era tuttavia costellato di “fughe” verso argomenti più moderni come la misura della carica specifica delle particelle o i raggi X.

Nel terzo anno Majorana, Segrè e gli altri si trasferirono alla Scuola di ingegneria. I corsi diventarono molto meno interessanti, pieni di “pratica ingegneristica a basso livello e senza immaginazione”, come racconta Segrè, che per tirarsi su il morale decise di frequentare il corso sulla teoria delle funzioni di variabile complessa tenuto da Ugo Amaldi, padre del suo futuro amico e collega Edoardo Amaldi. Il gruppo degli studenti più brillanti, con Majorana in testa, diventava sempre più critico sui sistemi di insegnamento. Amaldi riferisce che Ettore “sentiva che si perdeva troppo tempo su dettagli inutili e non ci si soffermava a sufficienza sulla sintesi generale necessaria a uno studio serio e sistematico. Questa convizione era profondamente radicata in lui, tanto che di frequente dava origine ad animate, e a volte accese discussioni con alcuni dei professori”.

Più o meno in questo periodo, a cavallo tra il 1924 e il 1925 Giovanni Enriques raccontò a Segrè che da suo padre aveva sentito parlare di una specie di genio, un certo Enrico Fermi, che di recente si era laureato a Pisa: “Quando andai a sentir parlare Fermi al seminario dei matematici, mi resi subito conto che quelle storie non erano esagerate; finalmente qualcuno che parlava di fisica moderna”.

A quell'epoca Fermi insegnava a Firenze, ma di tanto in tanto Enriques, Castelnuovo e Levi-Civita lo invitavano a parlare nei loro seminari matematici, anche se non si trattava di argomenti strettamente matematici. Il lavoro di Fermi L'interpretazione del principio di causalità nella meccanica quantistica ebbe origine, a quanto pare, da un acceso dibattito con Castelnuovo nel corso di uno di questi incontri. Fermi infatti non era molto incline ad occuparsi di questi problemi di interpretazione della meccanica quantistica.

Nel frattempo si era iscritto a ingegneria anche Edoardo Amaldi, molto amico di Giovanni Enriques con il quale condivideva la grande passione per l'alpinismo. Enriques a sua volta aveva presentato ad Amaldi Emilio Segrè. Anche Amaldi aveva delle perplessità riguardo al futuro di un laureato in fisica, aveva deciso di rinviare la scelta alla fine del biennio e intanto di frequentare anche il corso di laboratorio per i fisici, perché non gli piaceva l'idea di fare l'ingegnere.

“Il mio disgusto per gli studi di ingegneria aumentava costantemente – racconta Segrè - Per fortuna nella primavera del 1927, Giovanni Enriques mi presentò al nuovo assistente di Corbino, Franco Rasetti”. Di famiglia molto benestante, Emilio possedeva un'automobile, una Fiat 509, con la quale il gruppetto dei tre appassionati fece scorribande in lungo e in largo sui monti dell'Appennino. Nacque rapidamente un'amicizia e tra un coleottero e l'altro Rasetti insegnò a Segrè “i principi della meccanica statistica e la distribuzione di Boltzmann”. Gli spiegò che, ad eccezione di Fermi e di lui stesso, non esistevano in Italia professori di fisica in grado di parlare di teorie del genere. Poche settimane più tardi Segrè partecipò a una gita a Ostia e venne presentato a Fermi: “Mi sfidò a calcolare le vibrazioni di una corda pesante che dondolava, cosa che feci con sua soddisfazione. Così cominciò la nostra amicizia”. Ormai gli era chiaro che “a fisica c'era gente che sapeva il fatto suo”.

 

Via Panisperna 89/a

Nell'autunno del 1927 Emilio Segrè cominciò a frequentare regolarmente il laboratorio dell'Istituto di Fisica, in via Panisperna 89a, dove trovò Fermi e Rasetti, - basso e un po' tarchiato l'uno, alto e magro l'altro – “vestiti di camici grigi non proprio puliti”, che emanavano un leggero odore, talmente caratteristico da restare fissato per sempre nella sua “memoria olfattiva”. I due “cercavano di mettere a fuoco le frange di un interferometro di Jamin sulla fessura di uno spettroscopio Hilger di un antico modello racchiuso in una lucida cassa di mogano. Cercavano di impressionarmi con l'importanza del loro lavoro, una misura dell'indice di rifrazione del vapore di tallio”.

I fratelli Majorana in gita a Monte Gennaro con l'amico Gastone Piqué, dicembre 1926. Da sinistra: Ettore Majorana, Gastone Piqué, Luciano Majorana (il quinto). (per gentile concessione di Barbara Piqué)

Fin dall'inizio Fermi fece a Segrè “lezioni private”. Verso le sei e mezza del pomeriggio lo chiamava in ufficio e là, presente anche Rasetti, gli spiegava tutto quello che gli veniva in mente o quello che gli veniva chiesto. Mentre parlava Fermi riempiva dei fogli con una serie di formule. Insomma, come commenta Segrè: “Nessuno lo notò, ma ero diventato, almeno ufficialmente, il primo allievo di Fermi ed era nata la scuola di fisica di Roma”. Dopo poco la “classe” si arricchì di un nuovo elemento, Edoardo Amaldi, che molti anni dopo ricorderà le circostanze in cui si iscrisse a fisica, alla fine del biennio di ingegneria: “Avevo l'abitudine di frequentare le lezioni di Corbino. […] Corbino era estremamente brillante. Faceva delle belle lezioni, molto animate…Un giorno verso la fine del secondo anno, fece il famoso discorsetto in cui diceva: ‘Credo che se ci sono persone in grado di fare uno sforzo adeguato, questo è il momento giusto per cambiare da ingegneria a fisica. Abbiamo fatto in modo di avere Fermi qui a Roma. Forse non sapete chi è Fermi, ma sono sicurissimo che non abbiamo mai avuto in Italia da tanti, tanti anni un fisico con la sua classe. È molto giovane e conosce la fisica moderna. Noi anziani non ne sappiamo niente, ma lui sì; e se cambiate ci saranno un bel po' di opportunità per fare un lavoro molto interessante' […] Per due anni ero stato molto interessato, ma in un certo senso non avevo avuto il coraggio di farlo. Questa era l'occasione per decidere di cambiare. Così mi iscrissi a fisica”.

Ma Segrè aveva continuato a mantenere un piede a ingegneria: “Segrè era di natura cauta. Si diede a soppesare i vantaggi della fisica rispetto a quelli dell'ingegneria; ne discusse col suo compagno di scuola più intelligente, Ettore Majorana”. Laura Fermi ricorda anche che quell'autunno Segrè prese a frequentare insieme a Fermi e Rasetti casa Castelnuovo, nel cui salotto si radunavano Volterra, Levi-Civita ed Enriques, che era il fratello della moglie di Castelnuovo.

Alla fine, dopo avere a lungo riflettuto, Segrè si iscrisse a fisica come studente del quarto anno. Durante l'autunno e nella prima parte dell'inverno di quel 1927 Segrè parlava spesso delle straordinarie capacità di Majorana nel circolo dei fisici che nel frattempo si erano raccolti intorno a Fermi e nello stesso tempo continuava a cercare di convincerlo a seguire il suo esempio facendogli notare che la Scuola di ingegneria non era per lui, mentre gli studi di fisica sarebbero stati molto più in sintonia con le sue aspirazioni scientifiche e le sue attitudini speculative. Nel frattempo Ettore si era iscritto al nuovo anno accademico, ma decise di andare a dare un'occhiata di persona. A distanza di molti anni Edoardo Amaldi ricordava bene il primo colloquio di Majorana con Fermi: “Egli venne all'Istituto di Fisica di Via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell'occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un'andatura timida quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell'insieme, l'aspetto di un saraceno”.

Ettore decise di trasferirsi a fisica e cominciò a frequentare l'Istituto. Secondo Segrè, “Ettore Majorana era assai superiore ai suoi nuovi compagni sia come intelletto sia come profondità e estensione di cultura matematica e, per certi aspetti, soprattutto come potere di astrazione e abilità nella matematica pura, era anche superiore a Fermi”.

Su Fermi e Majorana si raccontavano storie mirabolanti. Fin da bambino Majorana era noto per avere una capacità di calcolo straordinaria: “Non solo faceva completamente a memoria calcoli numerici assai complessi, ma eseguiva a memoria, in venti o trenta secondi, anche il calcolo letterale di integrali definiti sufficientemente complicati da richiedere per un abile matematico un notevole numero di passaggi: eseguiva anche la sostituzione dei limiti letterali o numerici e dava direttamente i risultati finali”. A volte si divertivano a scrivere intere lavagne con qualche complicata espressione, poi ci inserivano i numeri e a quel punto cronometravano per vedere quanto tempo Majorana impiegava a calcolare il risultato. Lui guardava la lavagna, fumando tutto il tempo e poi dava il numero giusto.

Sempre a proposito di competizioni, Amaldi ricorda ancora che una volta Fermi e Majorana fecero una gara: “Si trattava di calcolare una espressione, se ben ricordo un integrale, che Fermi doveva calcolare facendo uso della lavagna e Majorana a memoria. Mentre tutti noi stavamo a guardare in silenzio, Fermi scriveva passaggi e passaggi a gran velocità tanto da riempirne una lavagna di dimensioni normali: Majorana stava voltato da un'altra parte con lo sguardo fisso a terra. Quando Fermi giunse al risultato e disse: ‘Ecco, ho fatto', Ettore rispose: ‘Anch'io' e diede il risultato numerico”.

Durante l'inverno del 1928-1929 Fermi aveva iniziato a studiare la teoria quantistica della radiazione sui fondamentale lavoro di Dirac The Quantum Theory of the Emission and Absorption of Radiation che nasceva dalla necessità di applicare la meccanica quantistica non soltanto all'atomo, attraverso l'equazione di Schrödinger, ma anche al campo elettromagnetico.

Fermi preferì riformulare la teoria in una forma matematica a lui più familiare, come faceva abitualmente. La formulazione astratta della meccanica quantistica “alla Dirac” doveva essere invece molto congeniale a Majorana, che possedeva il suo The Principles of Quantum Mechanics del 1930. La teoria di Dirac aveva affascinato Majorana fin dall'inizio; se ne trovano subito le tracce nei suoi appunti: il secondo volumetto che porta la data iniziale 23 aprile 1928 contiene varie note che si riferiscono alla teoria dell'irraggiamento. Ancora studente Majorana doveva avere una conoscenza approfondita dei primi lavori di Dirac sulla teoria relativistica dell'elettrone ( The Quantum Theory of the Electron ), e quindi dell'equazione di Dirac, benché si trattasse di un risultato pubblicato proprio nel 1928, perché insieme con Giovanni Gentile jr scrissero quello stesso anno un lavoro di spettroscopia che comparirà nel 1929 con il titolo Sullo sdoppiamento dei termini roentgen e ottici a causa dell'elettrone rotante e sulle intensità delle righe del cesio .

Majorana si laureò il 6 luglio di quello stesso anno insieme con Edoardo Amaldi e Gabriello Giannini, che in seguitò si spostò negli Stati Uniti e divenne industriale elettronico. La tesi di Amaldi riguardava la spettroscopia sperimentale, mentre Majorana presentò una tesi Sulla meccanica dei nuclei radioattivi di cui fu relatore Fermi. A parte l'articolo sulla Teoria dei satelliti di Rutherford , pubblicato da Gentile all'inizio del 1928, in cui veniva messo in discussione l'ultimo modello di nucleo presentato da Rutherford al convegno di Como del 1927, la tesi di Majorana rappresenta il primo lavoro riguardante la fisica nucleare prodotto a via Panisperna.

La tesi di Majorana si inseriva in un momento particolare della vita dell'Istituto romano. Come ricorda Segrè era ormai opinione di Fermi e Rasetti che l'avvento della meccanica quantistica “segnava il completamento della fisica atomica. Ormai che le sue questioni fondamentali erano risolte, la fisica del futuro doveva puntare sull'esplorazione del nucleo e delle strutture più complicate degli atomi”. Questo punto di vista fu espresso chiaramente da Corbino in un discorso pronunciato nel settembre di quell'anno alla Società Italiana per il Progresso delle Scienze. In questo discorso, discusso in precedenza con Fermi e intitolato I nuovi compiti della fisica sperimentale , Corbino osservava a proposito della spettroscopia atomica: “Ulteriori indagini sperimentali in questo campo non sembra possano destare un grande interesse scientifico”. E dopo aver esaminato l'assetto generale enunciava con chiarezza: “La sola possibilità di nuove grandi scoperte in Fisica risiede perciò nella eventualità che si riesca a modificare il nucleo interno dell'atomo. E questo sarà il compito veramente degno della Fisica futura”.

 

La teoria dei gruppi

 

Mentre l'intero gruppo dei “ragazzi di Corbino” è irrequieto e le nuove leve fanno soggiorni all'estero presso i più importanti centri della fisica europea, Ettore Majorana si dedica agli studi. I suoi rapporti con gli altri sono amichevoli, ma non si inserisce nella vita di gruppo, non assume responsabilità didattiche e sembra seguire la sua ispirazione personale. Amaldi ci dà il quadro dell'autunno 1929: “Dopo la laurea Majorana continuò a frequentare l'Istituto dove passava più o meno regolarmente un paio d'ore al mattino, dalle 10,30-11 alle 12,30-13, e qualche ora nel pomeriggio, dalle 5 alle 7,30. Queste ore venivano trascorse in biblioteca ove studiava soprattutto i lavori di Dirac, Heisenberg, Pauli, Weyl e Wigner. Gli ultimi due autori erano forse i soli per cui egli esprimesse ammirazione senza riserve. Questa era dovuta, almeno in buona parte, al suo interesse particolarmente vivo, quasi profetico, per la Teoria dei gruppi e le sue applicazioni alla fisica”.

Non è chiaro quando Majorana abbia iniziato ad interessarsi concretamente di Teoria dei gruppi, ma certamente nei suoi appunti manoscritti contenuti nel “volume” che porta la data iniziale 28 giugno 1929 compaiono in sequenza argomenti che riguardano anche i gruppi. Inoltre il 22 dicembre del 1929 scriveva a Giovanni Gentile Jr: “Quanto a me non faccio nulla di sensato, studio cioè la teoria dei gruppi con la ferma intenzione di impararla, simile in questo a quell'eroe di Dostoievski che un bel giorno cominciò a mettere da parte qualche spicciolo, con la persuasione di diventare presto ricco quanto Rothschild”.

La teoria dei gruppi nell'Italia di quell'epoca era completamente ignorata dai fisici, ma certamente Majorana condivise questo interesse con Giovanni Gentile Jr. Nella biblioteca di Ettore era presente il testo di Luigi Bianchi Lezioni sulla teoria dei gruppi continui finiti di trasformazioni , in un'edizione del 1928, e doveva anche risalire a questo periodo l'acquisto del fondamentale volume Theorie der Gruppen von Endlicher Ordnung di Andreas Speiser, pubblicato nel 1927, che faceva parte di una collana sui fondamenti della matematica diretta da Born, Courant, Runge e Blasche, ovvero personaggi dell' intelligentsia di Göttingen, che restò la mecca della matematica fino a quando il nazismo non sferrò il suo ferale attacco al mondo scientifico tedesco a partire dalla conquista del potere nel 1933. Qui la Teoria dei gruppi aveva trovato notevoli applicazioni alla fisica con il lavoro di Emmy Noether che nel 1918 aveva formulato il fondamentale teorema che stabiliva una relazione fra proprietà di invarianza di un sistema fisico e leggi di conservazione. Alla fine dell'Ottocento i fisici avevano ben chiara l'esistenza di quantità conservate grazie all'esistenza di alcune particolari simmetrie delle equazioni dinamiche sotto particolari trasformazioni. Tuttavia fu la Noether, la cui opera fu giudicata da Einstein un vero e proprio monumento del pensiero umano, a dare una forma matematica rigorosa a questa relazione, fornendo così ai fisici teorici uno strumento e una ragione per cercare nuove simmetrie. Il teorema di Noether , pubblicato nel 1918, rappresentò il trionfo dei gruppi di Lie stabilendo una relazione tra leggi di conservazione, simmetrie e principi di invarianza. La Noether dimostrò che dalle invarianze delle equazioni per traslazioni temporali, rotazioni e traslazioni spaziali seguono le leggi di conservazione, rispettivamente, dell'energia, del momento angolare e dell'impulso. L'esistenza, per ogni sistema isolato, di queste costanti del moto, vale per la fisica newtoniana quanto per la relatività ristretta. Queste leggi sono appunto l'espressione dell'omogeneità del tempo, dell'isotropia e dell'omogeneità dello spazio. In generale, se un sistema fisico è invariante sotto un certo gruppo di trasformazioni che riportano il sistema in se stesso, il teorema di Noether asserisce che da queste proprietà di simmetria segue la conservazione di una quantità fisica del sistema.

L' applicazione della teoria dei gruppi alla meccanica quantistica fu inaugurata da Eugen Wigner e Heisenberg alla fine del 1926 sulla Zeitschrift für Physik . Wigner aveva mostrato che i metodi gruppali potevano essere utilizzati per classificare i livelli energetici degli atomi, mostrando che la struttura dell'insieme degli stati atomici non dipende dai dettagli della dinamica, ma solo dalle proprietà di simmetria dell'atomo stesso rispetto alle rotazioni, alle riflessioni spaziali e alla libertà di scambiare fra loro gli elettroni grazie alla loro indistinguibilità, una caratteristica senza analogo classico. I metodi di Wigner erano stati applicati da Friedrich Hund e da Walter Heitler e Fritz London alla fisica atomica e molecolare. Tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30 operò a Göttingen anche il matematico Hermann Weyl che insieme a Eugene Wigner ebbe un ruolo rilevante nel trasferire i risultati della Teoria dei gruppi nel linguaggio della meccanica quantistica. Uno dei primi passi verso il programma di derivare le relazioni fondamentali della meccanica quantistica a partire da principi di simmetria di carattere gruppo-teoretico è rappresentato dal lavoro di Weyl Quantenmechanik und Gruppentheorie apparso nel 1927 sulla Zeitschrift für Physik , in cui Weyl aveva scritto: “Con l'aiuto della teoria dei gruppi credo di essere riuscito ad arrivare a una più profonda visione nella reale natura delle cose”. L'applicazione della teoria dei gruppi alla meccanica quantistica da parte di Wigner, Weyl, von Neumann e altri, non soltanto mostrò che molte proprietà dei sistemi atomici potevano essere dedotte attraverso l'analisi delle simmetrie dei sistemi stessi, senza che fosse necessario risolvere esplicitamente le equazioni, ma soprattutto fece intravedere che la simmetria del mondo microscopico si esprimeva attraverso il linguaggio matematico della teoria dei gruppi, un linguaggio da cui Majorana fu fortemente attratto assai precocemente e a cui dedicò sempre grande attenzione, tanto che, a quanto ricorda Segrè, in più occasioni Majorana espresse l'intenzione di scrivere un libro su questo argomento.

Nella biblioteca di Majorana era presente la prima edizione del volume di Weyl Gruppentheorie und Quantenmechanik pubblicato nel 1928. Addirittura, secondo quanto ricorda Segrè, questo era stato il solo trattato letto da Fermi dopo il suo arrivo a Roma. Tuttavia, come ha ricordato Chen Ning Yang, il libro di Weyl era “decisamente troppo astratto per la gran parte dei fisici”, la maggior parte dei quali all'epoca non era “abituata al modo in cui Weyl si concentra sugli aspetti strutturali della fisica e si trova a disagio con questa enfasi sui concetti”. Anche Gentile possedeva il testo di Weyl, insieme a Die Gruppentheoretischer Metoden in der Quantenmechanik (1932) di Bartel van der Waerden, ex allievo e collaboratore di Emmy Noether a Göttingen.

Le applicazioni della teoria dei gruppi alla meccanica quantistica non furono bene accolte dalla maggioranza della comunità dei fisici, reduce dalle fatiche di digerire inediti strumenti formali scaturiti dalla nuova meccanica quantistica di Born, Heisenberg, Jordan, Dirac, von Neumann, e impegnata a quell'epoca sul fronte delle nuove problematiche derivanti dalla nascente elettrodinamica quantistica. Perfino Dirac, che non aveva certo timore di esplorare nuovi livelli di astrazione nel campo della fisica teorica, era tra coloro che non volevano essere infettati dalla “peste dei gruppi”. Per di più, nel 1929 Slater aveva pubblicato il suo famoso Theory of Complex Spectra sul Physical Review , dove mostrava che tutti quei risultati potevano essere derivati utilizzando esclusivamente una matematica semplice e familiare. Il lavoro di Slater convinse la maggior parte dei fisici per circa vent'anni che sarebbe stata loro risparmiata la fatica di studiare una branca cosi ‘non-fisica' della matematica come la teoria dei gruppi. A parte rare eccezioni, come Giulio Racah, che nei tardi anni quaranta utilizzò la teoria dei gruppi nel campo della spettroscopia atomica e nucleare, i fisici ne riscopriranno le enormi potenzialità per la fisica molto più tardi; questo strumento prenderà decisamente il potere in fisica teorica all'inizio degli anni sessanta.

Fino al 1931/1932 Majorana pubblica lavori di fisica atomica e molecolare seguendo più o meno la linea di ricerca principale del gruppo di via Panisperna. È un fisico teorico fino al midollo, infatti non partecipò mai ad alcun lavoro sperimentale, ma aveva una conoscenza profonda dei risultati delle ricerche; somigliava a Wolfgang Pauli sotto questo profilo. In uno dei suoi lavori più noti, Atomi orientati in campo magnetico variabile , pubblicato nel 1932, Majorana mostra come il momento magnetico di un atomo possa invertirsi nell'attraversare un campo magnetico rapidamente variabile.

 

Le forze nucleari

 

Il 1932 è un anno mirabile per la fisica: a gennaio James Chadwick dimostra l'esistenza del neutrone, la tanto sospirata particella neutra costituente del nucleo atomico la cui esistenza era stata ipotizzata da Rutherford fin dal 1920. Comprensibilmente l'interesse di Majorana è attratto di nuovo dalla fisica nucleare e in pochi giorni riesce a formulare un modello secondo cui il nucleo atomico è costituito da protoni e neutroni che interagiscono attraverso forze di scambio che dipendono soltanto dalle loro coordinate spaziali. In questo modo riusciva a spiegare il motivo per cui le particelle alfa, composte da due neutroni e due protoni, siano entità molto più stabili rispetto ai nuclei del deuterio, composti soltanto da un neutrone e un protone, più debolmente legati. Fermi cerca di convincerlo a pubblicare, ma Majorana si rifiuta e impedisce a Fermi perfino di parlarne nel corso di un congresso internazionale sull'elettricità che doveva tenersi a Parigi nel luglio del 1932. Lo stesso Edoardo Amaldi ha ricordato la forte reazione emotiva di Ettore: “Majorana era furioso, era una di quelle volte in cui l'ho visto veramente su di giri. Disse: ‘Ti proibisco di far parola di queste cose così stupide. Non voglio che tu vada in giro a gettare discredito su di me'”. Il numero datato 19 luglio 1932 della Zeitschrift für Physi k conteneva il primo lavoro di Heisenberg sulle “Forze di scambio di Heisenberg”.

 

A quel tempo si riteneva ancora che il neutrone fosse una particella composta, uno stato legato protone-elettrone. Questa idea suggerì a Heisenberg di affrontare il problema analogamente al caso dello ione molecolare di idrogeno e della molecola di idrogeno: un neutrone e un protone si scambiano un elettrone, come accade nel primo caso, mentre due neutroni si scambiano i due elettroni, come accade nel secondo. Nel 1932 si conoscevano benissimo le proprietà delle particelle alfa, formate da due protoni e due neutroni, e la loro grande stabilità, ma quasi nulla si sapeva sul deuterio, un isotopo dell'idrogeno identificato appena dieci settimane prima del neutrone, il 5 dicembre del 1931. Questo episodio ha contribuito ad accrescere il mito di un Majorana restio a pubblicare, costantemente insoddisfatto e perennemente critico verso il proprio lavoro e quello altrui. Probabilmente Majorana giudicava la sua teoria, e anche quella di Heisenberg, un tentativo imperfetto, suscettibile di profondi cambiamenti, troppo fenomenologica per essere soddisfacente dal suo punto di vista. Si può quindi capire che Majorana fosse titubante nel consentire a Fermi di rendere noti i suoi risultati. Il fondamento delle ipotesi era tutto sommato fragile e non si poteva asserire che quella fosse l'unica teoria in grado di descrivere le proprietà nucleari. Per di più, probabilmente, al centro dei suoi interessi c'erano ormai l'equazione di Dirac e le problematiche ad essa connesse e la nascente elettrodinamica quantistica, che stava per misurarsi con le alte energie in gioco nella fisica dei raggi cosmici, all'epoca ancora in pieno regime di mistero e in una fase del tutto pionieristica. L'esistenza del neutrone tra i componenti del nucleo doveva ancora essere assimilata e integrata in una fisica teorica che cominciava appena a misurarsi con interazioni tra le particelle diverse da quelle elettromagnetiche. La coesistenza a livello del nucleo di entità neutre faceva sospettare l'esistenza di forze per descrivere le quali il modello di Heisenberg, Wigner e Majorana costituiva appena un inizio.

 

Majorana e l'equazione di Dirac

 

A partire dagli anni trenta i fisici si trovarono a dover superare il concetto di punto materiale newtoniano come espressione di un mondo semplice ed elegante costituito da due specie di piccoli corpi rigidi dotati di diversa massa e carica l'uno positiva e l'altro negativa. Le osservazioni dimostrarono che questo ideale di semplicità non corrispondeva alla complessità del mondo naturale. Lo zoo delle particelle elementari era destinato ad aumentare a dismisura; una folla di centinaia di particelle la cui vita in alcuni casi può durare solo frazioni infime di un secondo, era destinata ad entrare prepotentemente nel mondo della fisica fondamentale. Già da allora la descrizione di entità come gli atomi e le particelle come il protone e l'elettrone imponeva ai fisici concetti come l'indeterminazione e la complementarità, oltre a caratteristiche intrinseche lontanissime dalle qualità degli oggetti macroscopici. D'un colpo, scompariva il punto materiale con le sue traiettorie e nascevano, con grande disorientamento generale, “sistemi” materiali elementari che però non si sapeva bene che cosa fossero, un po' onde e un po' corpuscoli, a seconda di come li si osservava. Le variabili dinamiche classiche perdevano la loro qualità essenziale, quella di essere misurabili sempre e comunque e diventavano misurabili sotto specifiche condizioni , una per volta e compatibilmente: non la posizione e la velocità insieme (addio traiettorie!), non l'energia e il tempo (addio previsioni deterministiche!). I sistemi così descritti sono suscettibili di trovarsi più che in certi punti dello spazio e in certe condizioni di movimento in dati istanti, in certi “stati” e la loro evoluzione non veniva descritta da una successione temporale continua di posizioni ma da una successione, appunto, di “stati”, dall'uno all'altro dei quali si passa con una certa “probabilità di transizione”, che rappresenta ciò che la teoria consente di calcolare, senza che nemmeno si possa dire quando esattamente la transizione avverrà.

Nella seconda metà degli anni venti i fisici furono costretti ad abituarsi a una grande quantità di concetti nuovi e sconvolgenti, accanto allo sviluppo dell'adeguato formalismo matematico per esprimerli. Tuttavia, ancora negli anni trenta, la naturale resistenza umana nell'adottare idee nuove e poco familiari si concretizzava in atteggiamenti del tipo: meglio essere conservatori e negare attendibilità a una nuova teoria, piuttosto che ammettere l'esistenza di nuove particelle per spiegare fenomeni incomprensibili. Lo stesso Niels Bohr era disposto a rinunciare alle consolidate leggi di conservazione dell'energia e dell'impulso a livello microscopico, piuttosto che accettare l'ipotesi del neutrino, una nuova particella proposta da Pauli per risolvere alcuni paradossi connessi al decadimento beta, l'emissione di elettroni da parte di nuclei radioattivi. Tale fenomeno era strettamente collegato alla convinzione che il nucleo atomico fosse costituito da protoni e da particelle neutre formate da uno stato legato protoni-elettroni, per rendere conto della massa nucleare osservata. Nell'ambito dell'elettrodinamica quantistica il neutrino sarebbe stato incorporato da Enrico Fermi nell'autunno inverno del 1933 in una teoria del decadimento beta, che implicava l'esistenza di un nuovo tipo di interazione, l'interazione debole, responsabile del processo di decadimento. Attraverso il concetto coraggioso di “creazione” di nuove particelle (il neutrino e l'elettrone) nel corso del processo radioattivo, Fermi bandiva definitivamente gli elettroni come costituenti del nucleo e forniva una base concreta all'esistenza della fantomatica particella, tanto elusiva che soltanto nel 1956 sarebbe stata finalmente rivelata da Clyde Cowan e Fred Reines.

Lo stesso Dirac espresse all'epoca la convinzione che proprio le chiavi fornite dalla matematica consentono la definizione di un programma per superare un atteggiamento conservatore in fisica: “Il metodo più potente per progredire che si possa suggerire attualmente è quello di impiegare tutte le risorse della matematica pura in tentativi per perfezionare e generalizzare il formalismo matematico che costituisce la base esistente della fisica teorica e dopo aver raggunto il singolo successo in questa direzione, cercare di interpretare le nuove caratteristiche in termini di entità fisiche”. Naturalmente Dirac scrisse queste righe dopo che i fisici sperimentali a caccia di raggi cosmici ebbero fornito una prova eclatante che l'equazione di Dirac era ancora più intelligente di quanto il suo stesso creatore avesse osato sperare.

In ogni caso, fino al 1932 si supponeva universalmente che protoni ed elettroni negativi fossero i costituenti fondamentali del mondo fisico. Nell'autunno di quell'anno Carl Anderson confermava di aver osservato nella camera a nebbia la traccia di una particella la cui massa appariva molto vicina a quella dell'elettrone, ma carica positivamente. Subito dopo Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini dimostrarono a Cambridge l'esistenza delle coppie elettrone-positrone correttamente da loro interpretate come la creazione di materia e antimateria da parte di fotoni dotati di energia corrispondente almeno alla massa a riposo di tali particelle, secondo la relazione derivata da Einstein E=mc^2 . Queste osservazioni costituivano una prima conferma dell'equazione di Dirac, fino a quel momento oggetto di violente critiche, in particolare da parte di Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg, a causa della presenza degli stati ad energia negativa per gli elettroni, derivanti sempre dalla relazione di Einstein. Convinto che non fossero da scartare a priori, Dirac aveva cercato una spiegazione fisica per tali stati ed era stato indotto a considerare un mondo nel quale tutti, o quasi tutti, gli infiniti stati a energia negativa erano occupati da un solo elettrone, tenendo conto del principio di esclusione di Pauli che impedisce l'occupazione di un dato stato quantico a più di un elettrone. Tali stati formano quello che all'epoca venne chiamato il “mare di Dirac”. Normalmente le transizioni da uno stato ad energia positiva ad uno di energia negativa non possono verificarsi, il “mare” non è osservabile direttamente. Tuttavia, se un elettrone, sotto l'influenza di una sollecitazione esterna, lascia il suo stato di energia negativa e salta in uno stato a energia positiva, diviene visibile, così come la “lacuna” che ha lasciato nel mare di elettroni ad energia negativa. Restava quindi il problema dell'interpretazione fisica delle lacune, stati occasionalmente non occupati, che si comportano come particelle di carica positiva, che dopo un periodo di dubbi furono identificati come anti-elettroni particelle dotate della stessa massa, ma di carica opposta. Se un fotone di alta energia strappa un elettrone dal mare che riempie tutto il vuoto e lascia, al suo posto una “lacuna”, allora l'elettrone liberato e la lacuna si comportano come una coppia di particelle meccanicamente uguali ma diverse per il segno della carica elettrica e del momento magnetico: nasce una coppia elettrone-positrone. L'identificazione del positrone e delle coppie elettrone-positrone avvenuta alla fine del 1932, rappresenta uno dei momenti di massimo splendore della fisica teorica di tutti i tempi.

Majorana, come molti, era estremamente critico nei confronti del “mare” di stati a energia negativa - possibile che si debba pagare il prezzo di introdurre un mare infinito di elettroni? - e fin dal 1930 aveva cercato di aggirare il problema, approdando alla costruzione della prima teoria relativisticamente invariante di particelle con spin arbitrario, sia intero che semintero (in unità opportune). Va ricordato che all'epoca esistevano sostanzialmente l'elettrone e il protone (particelle cariche dotate di massa e spin semintero) e il fotone (particella senza massa di spin intero), e che la scoperta del neutrone (particella neutra di spin semintero) precede di pochi mesi la pubblicazione dell'articolo di Majorana, Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario, pervenuto alla redazione del Nuovo Cimento nell'estate del 1932, ma in realtà elaborato fra il 1930 e il 1931. Va ricordato che nemmeno il positrone era ancora stato individuato quando Majorana, facendosi guidare dal formalismo matematico e dalla richiesta fisica di evitare le masse negative, ebbe il coraggio intellettuale di speculare su particelle ipotetiche di spin qualsiasi approdando in un territorio del tutto inaspettato. Nella seconda metà degli anni trenta il problema fu affrontato da molti, prima di tutti dallo stesso Dirac, che nel 1936, con il lavoro Relativistic wave equations pubblicato sui Proceedings della Royal Society era mosso dall'opportunità di: “avere pronte le equazioni per una possibile futura scoperta di una particella elementare di spin maggiore di un mezzo”. Quasi tutti citeranno Dirac, mentre il lavoro di Majorana rimase all'epoca quasi sconosciuto per più di un motivo. Era stato pubblicato in italiano sul Nuovo Cimento, quando ancora questa rivista non aveva una diffusione internazionale, inoltre la scoperta del positrone avvenuta di lì a poco aveva rivestito di significato fisico gli stati di massa negativa, addirittura incorporando automaticamente l'antimateria nella teoria di Dirac. Tra le altre ragioni va di nuovo sottolineato che all'epoca i fisici non avevano alcuna familiarità con la teoria dei gruppi, che addirittura era vista con sospetto da molti. In quegli anni la fisica delle particelle elementari era ancora agli albori, mentre sorprendenti scoperte sperimentali e teoriche e una varietà di interrogativi misteriosi erano pronti a spuntare da ogni angolo. La fisica atomica, è vero, era stata ben inquadrata, ma i raggi cosmici e il nucleo atomico avevano in riserva sorprese inimmaginabili per i fisici degli anni trenta. Arrivati a gli anni Cinquanta i fisici sperimentali rischiavano di doversi trasformare in “botanici”, intenti a trovare un nome alle innumerevoli particelle nuove che man mano venivano scoprendo, sia nei raggi cosmici sia utilizzando gli acceleratori, che ormai avevano raggiunto energie superiori a quelle in gioco nelle particelle dei raggi cosmici. I fisici teorici dal canto loro si dibattevano nelle più grandi difficoltà cercando una spiegazione del perché le particelle di questo “zoo” si presentassero con quelle specifiche proprietà e non altre. D'altra parte, come aveva mostrato Majorana, le particelle elementari si comportano come se fossero elementi di un gruppo. Nei primi anni Sessanta molti fisici compresero che la teoria dei gruppi poteva essere utilizzata partendo dal punto di vista che le leggi di conservazione a cui obbediscono le particelle devono derivare dalle simmetrie sottostanti, simmetrie di tipo del tutto nuovo, caratteristiche delle particelle elementari, diverse dalle simmetrie geometriche dello spazio e del tempo a cui i fisici erano abituati. Naturalmente tutte le trasformazioni che conservano qualche proprietà possono formare un gruppo; infatti la potenza del metodo apparve chiara nel 1964, quando venne scoperta la particella W - , che occupava un posto rimasto vuoto nello schema con cui 10 particelle erano state classificate e raggruppate in base al gruppo di trasformazione SU(3), un gruppo formato da otto elementi. Da allora la teoria dei gruppi è entrata definitivamente a far parte dell'abituale bagaglio di strumenti matematici del fisico teorico.

 

Il neutrino di Dirac e di Majorana

 

All'inizio del 1933, Majorana partì per Lipsia, dove Heisenberg lo convinse a pubblicare la sua teoria delle forze di scambio nucleari, Über die Kerntheorie . Là van der Waerden gli spiegò che nella sua teoria relativistica era contenuta “una importante scoperta matematica”. Effettivamente, nel 1939, Eugene Wigner pubblicherà sugli Annals of Mathematics uno degli articoli più citati del secolo XX: On unitary representations of the inhomogeneous Lorentz group . Il lavoro rappresenta il culmine dell'approccio alla relatività per mezzo della teoria dei gruppi. Nel secondo paragrafo, quasi incidentalmente, Wigner cita il lavoro di Majorana: “La prima indagine [sulle rappresentazioni del gruppo di Poncaré] è dovuta a Majorana che effettivamente ha trovato tutte le rappresentazioni trattate nel presente lavoro eccetto due”. A sua volta il lavoro di Wigner stimolerà i successivi sviluppi in questa direzione dovuti a I. M. Gel'fand, KI. A. Naimark e V. Bargman.

Il viaggio in Germania è un momento culminante nella vita scientifica di Majorana e in qualche modo costituisce un vero e proprio spartiacque nella sua vita. Dalle lettere alla famiglia traspare un forte entusiasmo per Heisenberg, che analogamente aveva fatto colpo su Giovanni Gentile Jr e probabilmente anche su Gian Carlo Wick, che avevano soggiornato quasi contemporaneamente a Lipsia all'inizio degli anni trenta. Durante il suo soggiorno a Lipsia terribili avvenimenti segnano l'inizio della catastrofe che coinvolgerà nel giro di pochi anni il mondo intero. Il 30 gennaio 1933 Hitler prende il potere, chiamato dal presidente Hindenburg. Il 1° febbraio il Parlamento viene sciolto e vengono indette nuove elezioni per il 5 marzo, un primo decreto presidenziale limita diritto di riunione e libertà di stampa. Il 23 marzo, alla prima riunione del nuovo Parlamento, Hitler chiede e ottiene i pieni poteri. La fine di ogni garanzia giuridica per i cittadini e il principio delle discriminazioni vengono annunciati in modo esplicito, come è esplicito l'annuncio della violenza di Stato contro gli oppositori: “In futuro il tradimento della nazione e del popolo sarà punito con spietatezza barbarica”, sono le sue parole. In aprile, Göring istituisce la famigerata Gestapo (o polizia segreta di Stato) e promuove la creazione dei primi campi di concentramento. Intanto si avvia la campagna antisemita. Seguendo una direttiva di Goebbels, il partito nazista forma comitati di azione “per il boicottaggio sistematico di negozi ebraici, di merci ebraiche, di medici e avvocati ebrei”, mentre una legge stabilisce l'esclusione dalle pubbliche amministrazioni dei funzionari non graditi al governo o non di razza ariana. All'inizio di maggio, è la volta dei sindacati di essere aboliti, mentre l'attacco alla cultura democratica si fa brutale: il 9 maggio bruciano sulle piazze di Berlino i roghi dei libri “non tedeschi”.

Ettore torna da Lipsia ai primi di agosto 1933, alla fine del semestre estivo. Da qualche tempo ha problemi di salute, che ne minano anche l'umore. Nell'autunno le sue visite all'Istituto di fisica si diradarono. A partire dal 1934, anno della morte del padre, Majorana si chiuse gradualmente in un isolamento sempre più profondo, fino a non uscire quasi di casa. I suoi interessi intellettuali continuavano ad essere vivissimi, se si considerano il numero eccezionale di ore dedicate allo studio e la vastità dei suoi interessi. Dedicava molto tempo alla letteratura, alla politica e all'economia politica; i suoi interessi filosofici si accentuarono e le sue letture lo portarono a meditare a fondo l'opera di Schopenhauer, come ricorda Amaldi. In questo periodo scrisse il lavoro “Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali”, pubblicato postumo a cura dell'amico Giovanni Gentile Jr sulla rivista “Scientia” nel 1942, anno della morte precoce dello stesso Gentile, il quale così commenta: “Pensatore che univa a un acuto senso realistico uno spirito estremamente critico, ma non scettico, egli assume qui una chiara posizione di fronte al dibattuto problema del valore statistico delle ultime leggi fisiche. Questo che a molti sembra un difetto, come una denuncia d'indeterminismo nel divenire della natura, è invece per il Majorana un motivo per rivendicare l'intrinseca importanza del metodo statistico, sinora nella sua essenza applicato solo nelle scienze sociali e che nella nuova interpretazione delle leggi fisiche ritrova intero il suo significato originario”. Certamente con questo lavoro di critica e di riflessione sul senso ultimo della fisica e sulla sua connessione ad altri aspetti del mondo Majorana appare assai vicino a Gentile, che in varie forme dedicò una grande parte della sua breve vita alla ricollocazione della fisica nel panorama più ampio della cultura.

In quegli anni Fermi e il suo gruppo furono protagonisti delle ben note ricerche sulla radioattività artificiale indotta dai neutroni, ricerche per le quali Fermi ottenne il premio Nobel nel dicembre del 1938, prima di trasferirsi negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali emanate anche in Italia dal regime di Mussolini che colpivano sua moglie Laura e i suoi due figli.

Forse Majorana non dava più alla fisica la preminenza assoluta che le aveva attribuito un tempo, anche se certamente non aveva abbandonato i suoi studi, come appare evidente dall'ultimo lavoro scientifico pubblicato in occasione del concorso a cattedra bandito nel 1937 per la fisica teorica. Vinse una cattedra a Napoli fuori concorso, per meriti speciali; là tenne lezione a Napoli per un paio di mesi, prima di scomparire lasciando dietro di sé un enigma che non cessa di turbare e incuriosire. Con il suo ultimo lavoro, pubblicato nel 1937 Majorana ha lasciato una eredità scientifica che ancora oggi è oggetto di ricerca. Nell'articolo Teoria simmetrica dell'elettrone e del positrone Majorana è ugualmente mosso dall'intenzione sia di far “cadere la nozione stessa di stato di energia negativa” sia di evitare la necessità di “presumere per ogni altro tipo di particelle, particolarmente neutre, l'esistenza di ‘antiparticelle' corrispondenti ai ‘vuoti' di energia negativa”. Basandosi su queste richieste di natura fisica Majorana manipola matematicamente l'equazione di Dirac trovando il modo di separare le soluzioni in due parti che però soddisfano la stessa equazione di Dirac, con massa positiva; queste due soluzioni, si dimostra, non possono generare una densità di carica-corrente elettromagnetica, sicché esse corrispondono entrambe a particelle prive di proprietà elettriche. La rappresentazione delle matrici di Dirac scelta da Majorana cancella, per queste particelle, la distinzione fisica particella-antiparticella. I bosoni neutri come il fotone il pione neutro p0 ed altre scoperte successivamente sono effettivamente particelle neutre con spin intero (in unità opportune) identiche alla loro antiparticella. Nel caso delle particelle di Majorana si tratta di fermioni, particelle di spin semintero che fino ad ora non sono state osservate, poiché tale eventualità può essere dimostrata attraverso processi la cui osservazione è assai difficile. È ancora un problema fondamentale e irrisolto se il neutrino sia una particella di Dirac o di Majorana, un interrogativo a cui cercano di dare una risposta i fisici che lavorano alle frontiere della fisica fondamentale.

Secondo il Modello standard , la teoria in grado di descrivere essenzialmente tutti i fenomeni osservati in termini di interazioni fondamentali (che avvengono attraverso lo scambio di quanti elementari dei portatori di forza: il fotone per l'interazione elettromagnetica, i gluoni per l'interazione forte e i bosoni vettoriali W + , W - e Z 0 per le interazioni deboli) tutta la materia osservata nell'universo risulta spiegabile in termini di un piccolo numero di particelle elementari interagenti attraverso leggi di grande semplicità, secondo quanto dettato dalle simmetrie del modello, basato sul gruppo SU(3) ´ SU(2) ´ U(1), che combina in un'unica teoria la QCD (Cromodinamica Quantistica), una teoria delle interazioni forti tra quark e gluoni (mediatori dell'interazione forte) basata sul gruppo di simmetria SU(3) con la teoria elettrodebole (che ha unificato interazioni deboli e elettromagnetiche) basata sul gruppo SU(2) ´ U(1). Questo sviluppo rappresenta uno dei trionfi della fisica moderna, ma dal punto di vista teorico lasciava aperte una serie di domande e presentava molti punti deboli, che suggerivano l'esistenza di simmetrie ancora più profonde.

L'esistenza del neutrino di Majorana gioca un ruolo in teorie oltre il Modello Standard, che vanno alla ricerca di una teoria unificata di tutte le forze, di una più completa descrizione delle particelle fondamentali e delle loro interazioni utilizzando altri gruppi di simmetria. Se i tre tipi di neutrino oggi conosciuti sono dotati di massa e possono oscillare cambiando identità nel corso del tempo, come è stato messo ormai in evidenza dalle osservazioni degli ultimi anni, questa caratteristica implica l'esistenza di una nuova fisica oltre il Modello Standard, una vera e propria sfida per le nuove generazioni di fisici che negli ultimi settant'anni hanno imparato a creare e a utilizzare con successo i più sofisticati e astratti strumenti matematici.

 

Tra Fisica e Matematica

 

Nel corso di una lunga conversazione sulla teoria del neutrino, il fisico Antonio Carrelli, all'epoca direttore dell'Istituto di Fisica di Napoli, ritenne di capire che Ettore tenesse ai risultati del suo lavoro sulla “Teoria simmetrica” più che a quelli sulle forze nucleari e che fosse scettico sul carattere di sistemazione definitiva delle teorie quantististiche. A questo proposito è illuminante la lettera che Luciano Majorana scrisse il 18 giugno 1965 sotto la viva impressione destata in lui dalla lettura della Nota biografica appena scritta da Edoardo Amaldi: “Hai reso benissimo la sensazione di Ettore che tutto fosse da rifare. Egli adoperava da maestro le armi che si possedevano nelle guerra contro l'ignoto, ma la sua mente era rivolta alla ricerca di un'arma nuova, che tutto sconvolgesse semplificandolo. Era questa la sensazione che lo portava alla sua acuta critica che poteva sembrare spietata, ma che era rivolta esclusivamente alle opere e mai agli autori”. Il periodo centrale degli anni trenta fu caratterizzato da un diffuso sentimento di ambivalenza nei confronti dell'elettrodinamica quantistica, una teoria che a quell'epoca appariva spesso inadeguata per affrontare il comportamento delle particelle alle alte energie in gioco nei raggi cosmici, la cui natura si iniziava appena a intravvedere. Come tutti i fisici teorici dell'epoca, Majorana si è impegnato negli ultimi anni della sua vita per superare i nuovi formidabili scogli derivanti dal presentarsi di fenomeni la cui comprensione avrebbe richiesto ancora diversi anni.

Nell'introduzione al suo Gruppentheorie und Quantenmechanik Hermann Weyl aveva detto: “Il pensiero matematico allontana lo spirito dai tormenti del mondo verso una solitudine che rinuncia a svelare i segreti della natura, ma in compenso la matematica è meno legata al corso degli eventi del mondo rispetto alla fisica”. Majorana appare in bilico tra due universi, quello del matematico e quello del fisico, alla ricerca di forme di astrazione che gli permettono di esprimere la sua visione molto personale della realtà fisica. In una lettera a Edoardo Amaldi del giugno 1965, periodo in cui quest'ultimo stava scrivendo la biografia di Ettore, Segrè riferiva: “M. una volta mi fece delle riflessioni sulla immensità della matematica in paragone alla fisica”. Sul “Giornale” del 17 dicembre 1975 Segrè ricorda ancora che Majorana “aveva una abilità analitica, nonché numerica, eccezionali e una grande fantasia matematica. Ciò gli permetteva di risolvere problemi difficili in modi sorprendenti (e godeva della sorpresa). Tuttavia non ha lasciato lavori di matematica pura. Probabilmente essa non lo interessava abbastanza, anche se ricordo che mi vantò la vastità e libertà della matematica paragonata alla fisica, vincolata ai fatti sperimentali”. Probabilmente Segrè non ha colto il significato più profondo delle affermazioni di Majorana.In ogni caso viene la tentazione di interpretarle come un indizio di quale fosse lo spazio che dentro di lui occupava la matematica. Come diceva ancora Hermann Minkowski “La matematica deriva costantemente i più bei problemi nelle applicazioni scaturite dalle scienze naturali”, così Majorana sembra trarre ispirazione dalle problematiche del momento. Partendo da un atteggiamento pragmatico - la teoria di Dirac è un grosso passo avanti, ma ha un punto debole che rischia di comprometterne la credibilità - Majorana esplora le potenzialità del formalismo matematico secondo uno spirito più volte teorizzato da Dirac: “giocare con le equazioni per vedere cosa viene fuori”. Approda così ad una fisica apparentemente del tutto lontana dalla realtà. Nell'insieme la sua scarsa produzione scientifica appare una straordinaria avventura intellettuale, in cui fisica e matematica si intrecciano ed evolvono insieme alle regole del gioco, come constatava Dirac:

“The mathematician plays a game in which he himself invents the rules while the physicist plays a game in which the rules are provided by Nature, but as time goes on it becomes increasingly evident that the rules which the mathematician finds interesting are the same as those which Nature has chosen”.

 

Bibliografia

 

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E. Amaldi, La vita e l'opera di Ettore Majorana (Accademia Nazionale dei Lincei, 1966).

E. Segrè, Autobiografia di un fisico (Il Mulino, 1995)

L. Fermi, Atomi in famiglia (Mondadori, Milano 1965; La Fisica nella scuola , Quaderno 12, 2001)

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