Giochi di parole, giochi di numeri. Intervista a Stefano Bartezzaghi

10 domande a Stefano Bartezzaghi

a cura di Rosi Tettamanzi Guerraggio, responsabile italiana dei Campionati Internazionali di Giochi Matematici

Siamo su un sito di Matematica, abbia pazienza! Scopriamo subito le carte: quale è stato il suo rapporto con la Matematica sui banchi di scuola?

Mah, direi alternante. Ho fatto una media sperimentale, dove usavo delle mele per fare dell'insiemistica. Ricordo una brava insegnante, che poi però precipitò dal lucernario del suo palazzo nella tromba dell'ascensore, salvandosi per miracolo. Dalla sua convalescenza in poi c'è stato un tourbillon di supplenze che mi ha accompagnato anche per tutto il Liceo, scientifico. In alcuni momenti mi ci sono impegnato, in altri momenti mi ci sono totalmente perduto provando quel particolare, desolato sentimento di incolmabile stupidità che la Matematica sa tanto validamente donare. Le analisi di funzioni avevano qualcosa che mi attirava fortemente. Mi sono arreso agli integrali. La mia decorosa performance all'esame di maturità fu appena increspata da un errore di calcolo, considerato veniale dalla professoressa (l'unica indulgente di un collegio veramente da paura). Da lì in poi, il distacco.

La richiesta di un'intervista per un sito di Matematica, la sorprende?

Per principio non mi sorprendo più di nulla: ma in realtà molti pensano che ci siano delle analogie possibili fra il mio lavoro (che si svolge in una zona di confine tra l'enigmistica e i giochi di parole) e alcuni aspetti della Matematica. Anch'io lo penso, tra l'altro.
 

A me, non matematica di professione, l'idea è venuta seguendo un incontro cui lei ha partecipato. L'argomento della serata era letterario, ma di quella letteratura "particolare" prodotta dai membri dell'OULIPO, gruppo fondato in Francia da Raymond Queneau e François Le Lionnais, un letterato con la passione per le scienze esatte e un matematico amante delle belle lettere. Una relazione al convegno è stata tenuta anche da Jacques Roubaud, membro dell'OULIPO, matematico e scrittore. Come vede lei questo rapporto matematici/letterati? O, con un'analisi certamente più difficile, tra Matematica e Letteratura?

Vedo con favore i rapporti di tutto con tutto, e della Matematica con la Letteratura in particolare. Sappiamo che ci sono aspetti matematici in molte zone dell'attività letteraria, e nel mio campo se penso a territori come la crittografia o la combinatoria non so decidere bene dove finisca la linguistica o l'enigmistica e dove incominci la Matematica.
Detto questo, diffido un po' delle pure suggestioni: i matematici leggono Borges, ascoltano Bach, i letterati leggono Hofstadter... tutti autori che rispetto o venero, ma talvolta ho l'impressione che ci sia un approccio molto superficiale e direi "turistico". Posso visitare una regione esotica, inebriarmi di architetture e usanze che mai conoscerò e tornarmene a casa con il mio rullino di diapositive. Questo è ciò che chiamo suggestione.
Un rapporto più profondo, invece, implica un vero e proprio "bilinguismo": Gadda era perfettamente "bilingue" (perfetto scrittore, perfetto ingegnere) e ha saputo raccontare complesse equazioni nel suo linguaggio irresistibile. Bilingue è Roubaud. Bilingue era Queneau. Coloro che irridono alle loro sperimentazioni spesso cercano un alibi per il proprio ignorante monolinguismo.

E poi l'OULIPO (con il rituale delle sue riunioni, circondate da una più o meno voluta aria di mistero, con i suoi membri uniti in un rapporto di "compagnonnage" serio e gioioso insieme) mi ha fatto pensare a Bourbaki, a questo gruppo di matematici "prestigiosi" che hanno cambiato il volto della matematica nella metà del secolo appena passato Ci vuole raccontare un po' l'avventura degli oulipisti?

Non è possibile negli spazi di un’intervista. Si può solo dire che all'inizio degli anni Sessanta alcuni scrittori si raccolsero in un gruppo dominato dalle figure del matematico François Le Lionnais e dello scrittore Raymond Queneau per esplorare nuove forme letterarie, vincolate a regole fisse abbastanza stravaganti. Dal surrealismo e dalla "patafisica"questi personaggi impararono l'importanza di darsi gerarchie e regolamenti paradossali, grazie a quell'inesportabile tocco di fantastique che a loro non manca mai e a noi invece manca sempre.
 
 

E a proposito di divertimenti "seri" e avvicinandoci ad una delle iniziative più importanti del nostro Centro, i "Campionati di Giochi matematici" - giochi, appunto: ad un lettore di "Lessico e Nuvole", che le faceva notare che "prima di giocare con l'italiano bisognerebbe conoscerlo", lei risponde : "Come si potrebbe imparare l'italiano senza giocarci?". Il concetto mi piace moltissimo. Vorrebbe argomentarlo per noi?

Era una risposta polemica a un lettore che poi si è anche accorto dell'eccesso di pedanteria che aveva messo in una provocazione (fra l'altro molto sballata). Questa idea, che poi si ritrova nel precetto "prima il dovere poi il piacere", mi mette sempre un po' i nervi. Prima si fa quel che piace, e poi quel che si deve: le cose caso mai vanno così, se pensiamo a cos'è il linguaggio per i bambini e cosa diventa quando incominciano ad andare a scuola e a essere sottoposti alle forche caudine della valutazione. Il gioco è (anche) apprendimento, un apprendimento che avviene attraverso la manipolazione libera. Gli aaaa eeee uuuu dell'infante lo portano a dominare il proprio apparato fonatorio: e poi si va avanti così.

Possiamo parlare un po' di lei adesso? Stefano Bartezzaghi, figlio d'arte?

Mio padre si chiamava Pietro (in realtà tutti lo chiamavano Piero) ed è stato il cruciverbista della "Settimana Enigmistica". Aveva esordito subito dopo la guerra, tredicenne, sulla "Domenica del Corriere". A quindici anni pubblicò il primo cruciverba sulla "Settimana Enigmistica". A ventisette diventò un redattore di quel venerabile giornale. Negli anni Settanta e fino alla sua scomparsa (nel 1989) il suo cruciverba era notoriamente il più difficile che si potesse trovare.
Il vero figlio d'arte è mio fratello maggiore, Alessandro, che è autore di cruciverba anche lui, anche lui per la "Settimana Enigmistica".
Io naturalmente ho imparato a leggere e a scrivere sulla "Settimana Enigmistica" ma poi, per esperienze personali e forse anche per reazione, mi sono dedicato a giochi e a forme enigmistiche o enigmistoidi meno rigorose.

La seguo su "Repubblica", gioco con Lei su "Diario" (che piacere quei quadretti di Silvio!), ma, mi dica, cosa bolle nella sua pentola?

La pentola, sempre sul fuoco, contiene le decine di e.mail che mi arrivano ogni giorno attraverso la mia rubrica quotidiana "lessico e nuvole" sul sito Internet di "Repubblica". Il resto è la solita quantità di articoli, il materiale per la pagina giochi di "Repubblica" in agosto, e un libro in uscita a fine giugno da Einaudi. Il titolo è: "Lezioni di enigmistica" ed è un manuale – sia pure sui generis - sui modi che sono stati inventati per nascondere e per manipolare le parole. Quindi non soltanto i giochi della "Settimana Enigmistica" e di altre riviste specializzate, ma anche giochi meno noti al grande pubblico o giochi relativamente inediti. Secondo me l'enigmistica del futuro dovrà cambiare molte delle sue vecchie regole: se lo farà avrà qualche chance di vivere sui nuovi mass-media e magari di entrare nelle scuole.

Per finire, mi scusi,ma questa domanda non glielo posso proprio risparmiare: se da piccolo Cesare giocava a dadi, Pico della Mirandola a Memory e Bill Gates a Monopoli, a cosa giocava da piccolo Bartezzaghi? A verbi?

Piccolo chimico!