Guerra, pace e matematica
Possiamo usare un modello matematico per prevedere se l’Iran costruirà la bomba atomica? Secondo Bruce Bueno de Mesquita, professore di Scienze Politiche presso la New York University e ricercatore presso la Hoover Institution di Stanford, la risposta è affermativa, come lui stesso spiega in una recente intervista pubblicata dal New York Times (http://www.nytimes.com/2009/08/16/magazine/16Bruce-t.html?_r=1).
Ad onor del vero, la reputazione di questo studioso presso chi queste previsioni le fa per mestiere, ad esempio la CIA, è ottima. Bueno de Mesquita ha azzeccato moltissime previsioni, anche fra quelle controverse, tanto che alcuni documenti della CIA affermano che il suo tasso di successo sia doppio rispetto a quello degli esperti interni. D’altro canto, il consenso accademico sui suoi modelli non gode della stessa salute.
Cerchiamo dunque di capire cosa c’è alla base di queste previsioni. Per farlo, dobbiamo tornare all’inizio degli anni Ottanta, quando gli strumenti standard della teoria economica cominciano ad essere applicati allo studio dei conflitti internazionali, dando origine alla teoria della scelta razionale per i conflitti (rational choice to conflict).
Questo filone di ricerca introduce due importanti assunti. Il primo afferma che una corretta teoria dei conflitti internazionali deve prendere come unità di analisi non le singole nazioni ma i loro leader. Nell’analizzare le decisioni di una nazione, infatti, non dobbiamo dimenticare che è il leader che sceglie cosa fare, sebbene sotto svariati vincoli; pertanto, le sue decisioni promuovono il suo interesse personale, anche laddove questo non coincida con l’interesse nazionale (cosa che gli italiani sembrano spesso trascurare!). Il secondo assunto riconosce che, nel fare le sue scelte, il leader ragiona in modo strategico, cioè tiene conto delle reazioni e dei comportamenti degli altri attori, domestici (elettori, opposizione, ecc.) ed internazionali. Pertanto, le scelte devono essere analizzate utilizzando la teoria dei giochi.
Questi due semplici assunti sono sufficienti a gettare una nuova luce su questioni antiche. Qui ne citiamo due. La prima concerne la razionalità della guerra. A parità di risultato un conflitto armato è più costoso di un negoziato e quindi è un modo inefficiente di promuovere il benessere dei cittadini. Se guardiamo ai conflitti esclusivamente dal punto di vista dell’interesse dei popoli, la guerra è una decisione irrazionale che va imputata ad errori di calcolo (ad esempio, sulla propria forza o sulla reazione dell’avversario). Tuttavia, se ci concentriamo sull’interesse personale, le cose cambiano: molti leader hanno beneficiato della guerra. Ad esempio, molti concordano sul fatto che la guerra inglese per le Falklands, da molti giudicata irrazionale, ebbe l’effetto di assicurare a Margaret Thatcher la rielezione nel 1983, prospettiva che sembrava molto improbabile prima del conflitto; quindi essa era una guerra razionalissima, almeno dal punto di vista della Thatcher.
Una seconda questione è la cosiddetta “pace democratica” cioè l’osservazione, già avanzata da Immanuel Kant nel 1795, che i paesi democratici difficilmente entrano in guerra tra di loro. Se utilizziamo la teoria delle scelte razionali per analizzare le decisioni dei leader democratici, ci accorgiamo che essi, essendo soggetti a rielezione, incontrano maggiori limiti nelle decisioni che comportano alti costi per i cittadini, quali sono le guerre. La necessità di ottenere un adeguato sostegno elettorale, infatti, li costringe a prendere decisioni i cui benefici netti sono distribuiti su un numero sufficientemente alto di persone. Al contrario, un leader non soggetto ad elezioni potrebbe promuovere il proprio interesse personale e quello della stretta cerchia di persone che lo mantengono al potere anche a scapito dell’interesse generale della sua nazione. Si pensi a Saddam Hussein in Iraq o a Marcos nelle Filippine.
Questi e numerosi altri esempi mostrano come la teoria della scelta razionale possa essere utile nell’analisi dei conflitti internazionali perché in grado di spiegare molti fenomeni e situazioni. Ma un conto è spiegare e un conto è prevedere. Qui le cose si fanno molto più complicate. Un parallelo con l’economia rende evidente la differenza: anche se ogni economista può spiegare oggi come alcune recenti innovazioni nei mercati e negli strumenti finanziari abbiano innescato la crisi economica iniziata nel 2008 sono pochissimi quelli che possono vantare di averla “saputa prevedere”.
Su cosa si basano, dunque, le previsioni di Bruce Bueno de Mesquita? Esattamente nessuno (a parte il diretto interessato) può dirlo con esattezza perché i modelli che egli utilizza sono di proprietà della società di consulting Mesquita & Roundell e, pertanto, sono segreti. Ma Bueno de Mesquita ha seminato abbastanza indizi, prima nei suoi lavori accademici e ora in un libro per il grande pubblico (The predictioner’s game: using the logic of brazen self-interest to see and shape the future), da permettere di farci almeno un’idea.
Gli ingredienti sono molti. Ad esempio, il modello dell’Iran di Bueno de Mesquita schiera quasi 90 attori, poiché include tutti coloro che, sia all’interno del paese sia a livello internazionale, faranno pressioni per influenzare le decisioni dell’Iran. Per ciascuno di questi giocatori è necessario specificare l’intensità dell’interesse personale, che Bueno de Mesquita chiama determinazione. Ad esempio, se consideriamo la dotazione nucleare a fini bellici dell’Iran, bisogna stabilire quanto ciascun giocatore sia disposto a favorirla o a contrastarla. Attraverso interviste a persone che conoscono bene la situazione geopolitica dell’Iran e quella internazionale, Bueno de Mesquita attribuisce un numero da 0 a 200 a questa variabile, dove 0 indica estrema contrarietà e 200, al contrario, massima determinazione. In un certo senso questo definisce le preferenze dei giocatori.
Conoscere i giocatori e le loro preferenze, tuttavia, non basta per analizzare il gioco che rappresenta questa situazione strategica. E’ necessario tenere conto anche delle reali possibilità che ciascun giocatore ha di influire sul risultato finale e quindi, in un certo senso, fare delle ipotesi sulle possibili strategie a disposizione dei giocatori e su come esse determinino il risultato finale. In questa fase, nei lavori accademici di Bueno de Mesquita sono spesso presenti due livelli: uno domestico e uno internazionale. Il primo riguarda il modo in cui all’interno del paese maturano le decisioni mentre nel secondo le possibili azioni sono spesso semplificate: da un lato c’è la scelta fra avanzare delle pretese/richieste o accontentarsi dello status quo e, dall’altro, c’è la decisione se assecondare tali richieste o opporvi resistenza.
Se individuare i giocatori, attribuire loro delle preferenze e individuare le loro possibili strategie, cioè se la definizione degli “ingredienti” della situazione strategica, vi sembrano già operazioni che esulano dai percorsi classici del ragionamento matematico, sappiate che le cose non finiscono qui. Questi ingredienti devono ancora essere elaborati.
L’elaborazione incomincia con il calcolo degli equilibri, cioè del risultato del gioco. In questa fase, data la complessità del problema strategico in cui la decisione di ognuno dipende da ciò che egli si aspetta sul comportamento di tutti gli altri giocatori, nei lavori accademici di Bueno de Mesquita si introducono molte ipotesi semplificatrici, che sono forse matematicamente eleganti ma sicuramente anche poco convincenti. La sovrapposizione di numerose ipotesi rende veramente arduo valutare quanto i risultati del modello siano robusti rispetto a queste semplificazioni. Tanto più che, in lavori successivi, le ipotesi semplificatrici sono state progressivamente affinate, modificate e migliorate e nessuno può dire quali di queste sia effettivamente parte del modello usato per fare le previsioni.
Infine, l’elaborazione termina con una simulazione dell’evoluzione temporale dell’equilibrio uniperiodale: il modello viene reso dinamico utilizzando il risultato di equilibrio di un periodo come condizione iniziale del periodo successivo. Questo aspetto è sicuramente positivo poiché le crisi internazionali prendono effettivamente forma nel tempo, a seconda della azioni e delle reazioni di tutti gli attori coinvolti.
In modo un po’ stilizzato, possiamo vedere le elaborazioni sottostanti al calcolo degli equilibri e alla simulazione dinamica come l’inserimento forzato degli ingredienti del gioco in un “frullatore” che produce come risultato finale un numero. Quest’ultimo esprime una previsione sulla determinazione con cui l’Iran perseguirà il progetto di diventare una potenza militare nucleare. Ad esempio, partendo nel 2009 da un valore della determinazione dell’Iran pari a 160 (sulla scala da 0 a 200 di cui sopra), Bueno de Mesquita prevede per il 2010 un risultato pari a 118: l’Iran andrà via via ripiegando sull’ambizione di costruirsi una capacità nucleare solo a scopi civili e non militari.
Come valutare la bontà di questa previsione? Secondo Bueno de Mesquita l’unico punto debole della procedura è la parte relativa alla valutazione soggettiva della determinazione dei giocatori; quindi nel nostro caso, ad esempio, il passaggio in cui gli esperti valutano che la determinazione iniziale dell’Iran è 160 piuttosto che 180 o 100. Per dirla con le sue parole: “garbage in, garbage out”. Se gli ingredienti non sono buoni non lo può essere neanche la previsione. Sinceramente, però, qualche dubbio viene anche sul “frullatore”.
1. Sbagliò, però a prevedere le sorti della riforma sanitaria di Hillary Clinton del 1994.
2. Ma non solo. Le stesse tecniche torvano applicazione in qualsiasi situazione di conflitto. Infatti Bueno de Mesquita offre le sue consulenze anche ad imprese private circa conflitti che nulla hanno a che vedere con la politica internazionale.
3. Alcune di queste ipotesi sono poco allineate con la necessità di derivare le aspettative dal comportamento di equilibrio. Citiamo, a titolo di esempio, l’ipotesi che le aspettative di un giocatore possano essere descritte dalla funzione seno e quelle del suo avversario dalla funzione coseno: una prevedibile ciclicità nelle aspettative dei giocatori è difficilmente compatibile con l’approccio strategico.