I matematici nel mondo della finanza
Ho letto con interesse l’articolo di Jonathan Korman e vorrei offrire la mia differente prospettiva, quella di una persona non accademica ma matematicamente istruita che ha lavorato a lungo a livello direzionale in un’impresa che si occupava della gestione di risorse mondiali e che ha ricoperto anche incarichi governativi.
Capisco la reazione viscerale alla devastazione che persone istruite matematicamente hanno portato nel mondo degli investimenti bancari. La banca in cui ho lavorato ha subito 55 leve finanziarie nel culmine della crisi finanziaria. È più del doppio del livello di prestiti impiegati dall’infame fondo “Long Term Capital Management” (LTCM) che esplose nel 1998, polverizzando enormi somme di denaro degli investitori. In quel fondo erano coinvolti anche premi Nobel, come Myron Scholes e Robert Merton, a conferma che la capacità matematica non è sempre correlata all’abilità di prevedere il comportamento dei mercati.
Quello che sta succedendo è più un problema economico che ideologico. Le persone vanno dove ci sono i soldi. Tutto qui. Se la National Security Agency decidesse di pagare i crittografi unmilione di dollari all’anno, più gli extra per ogni codice decriptato, si vedrebbero sicuramente tantissime persone appassionarsi alla teoria dei numeri. Nel 2002, ho assunto un Ph.D in fotonica per un lavoro finanziario che era l’equivalente analitico di un lavoro da netturbino. Non era riuscito a trovare un lavoro nel suo campo a causa della crisi tecnologica del 2000, ma nella “gestione risorse” è poi riuscito a raddoppiare il suo stipendio svolgendo un lavoro quantitativo per una banca e guadagnando molto di più dei suoi colleghi accademici. Non è certo una questione di abilità: questi salari altissimi erano il risultato di un lungo mercato al rialzo. Ora stiamo invece assistendo a un lento declino delle imprese finanziarie a causa dell’assenza di investimenti e dello stress generato dalla crisi finanziaria globale.
Nel risk management si era soliti ricorrere ad attuari poco istruiti e conservatori, poco interessati al calcolo stocastico. Poi, la formula di Black-Scholes sul prezzo di arbitraggio di un’opzione ha strappato dalle mani degli attuari il monopolio della quantificazione del rischio. Adesso, questa può essere fatta da chiunque sia in grado di maneggiare un foglio Excel. Parlo dall’Australia, dove la remunerazione degli attuari è iniziata a calare nel momento in cui esperti di finanza applicata hanno iniziato a competere con loro. Con più persone capaci di quantificare il rischio, le cose sono ovviamente diventate più rischiose. Dal momento in cui la gente ha visto il giro di soldi che c’era dietro, vi è stato un flusso netto di talenti verso questo settore e vi è stata anche una generale tendenza ad “alzare la posta”.
Sono d’accordo con Ivar Ekeland che un addestramento matematico molto più incisivo potrebbe aiutare le persone a valutare meglio i rischi. L’errore degli accademici è quello di sottovalutare i rischi che nascono dall’uso dei vari modelli finanziari. C’è una vasta letteratura sulla Matematica del rischio, ma ben poca su come i modelli finanziari possano rendere ampiamente irrilevante un’analisi teorica.
I modelli finanziari vengono adesso compresi molto meglio. Per gli uomini di affari diventerà sempre più difficile speculare con i soldi altrui perché le regole stanno cambiando, in modo da rendere le operazioni di capitalizzazione molto più costose. Dalla mia esperienza di lavoro nelle industrie, ho imparato che le persone ai vertici delle istituzioni finanziarie non rischiano mai il proprio capitale ma sono ben felici di rischiare con i soldi degli altri. Le regolamentazioni possono contenere la voglia delle società di Wall Street di succhiare la linfa vitale di altri.
Le persone impareranno a comportarsi in accordo con le nuove regole. In Australia, il mercato sta già dando precisi segnali alle persone indicando che le banche di investimento potrebbero non essere un settore così in crescita come è stato in passato e i giovani stanno cercando nuove aree di crescita, come ad esempio il gaming. Per un matematico accademico non è certo il momento migliore per saltare sulla barca della finanza. Queste osservazioni non giustificano certi comportamenti negli affari, a dir poco oltraggiosi, che si sono verificati ultimamente a livello gestionale nelle istituzioni finanziarie internazionali ma almeno li rendono spiegabili.
Un’osservazione finale. Al culmine della crisi finanziaria globale molti pezzi grossi delle banche di investimento, che erano “vicine all’azione”, hanno convertito i loro titoli in contanti così da preservare il proprio capitale mentre il sistema per cui lavoravano continuava a vendere azioni ai loro clienti. Hanno insomma adoperato le loro conoscenze per minimizzare il rischio sul proprio capitale e contemporaneamente hanno incitato gli altri a rischiare, continuando quindi ad alimentare il circolo vizioso. Purtroppo, nei libri di testo non si trovano simili intuizioni.