Il neutrino non era più veloce della luce. Le dimissioni di Antonio Ereditato. Un commento di Giovanni Battimelli
Pare dunque accertato che Einstein può dormire sonni tranquilli, e che i neutrini non viaggiano a velocità superiore a quella della luce. Dopo un’accurata analisi dei dati, delle procedure e delle possibili fonti di errore, il risultato clamoroso annunciato mesi fa – con tutte le cautele del caso – dal gruppo di fisici dell’esperimento OPERA, e immediatamente amplificato – senza le dovute cautele – dalla cassa di risonanza dei media, si è rivelato un effetto spurio prodotto da una irregolarità del sistema di rilevazione, tanto banale in linea di principio quanto sottile e difficile da individuare. Non è certo la prima volta che un risultato sperimentale che sembra rimettere in discussione principi saldamente acquisiti sia reso pubblico e, in tempi più o meno rapidi, smentito da successivi controlli. E non c’è in questo, laddove la pubblicazione del risultato sia fatta senza un deliberato intento fraudolento – come certamente è il caso di OPERA - nulla di patologico: è il normale procedimento di trasparenza dei dati, ragionevole interpretazione dei medesimi, e loro consolidamento o smentita attraverso procedure definite di controllo fondate sulla ripetibilità dell’esperimento, che sta alla base della ricerca sperimentale.
Non è comune, invece, che a seguito di un annuncio successivamente ritirato il leader dell'esperimento si senta costretto a dare le dimissioni dalla propria posizione di responsabile, e che questa rinuncia vada a occupare uno spazio di rilievo sulle pagine dei giornali. La vicenda degli ipotetici neutrini superveloci di OPERA, aldilà del suo intrinseco interesse per l'analisi del rapporto tra teoria ed esperimento e dell'efficacia delle tecniche di controllo e correzione degli errori che la Fisica delle alte energie ha messo a punto, mette in primo piano l'attenzione su due aspetti “sociologicamente” interessanti della ricerca scientifica. Il primo, non particolarmente nuovo ma sempre più rilevante data la continua crescita delle dimensioni delle collaborazioni in questo settore della ricerca, ruota intorno alla domanda: a che punto il risultato incerto acquista una fisionomia sufficientemente definita da rendere ragionevole, o ineludibile, la sua presentazione? E che grado di consenso all'interno della collaborazione deve essere raggiunto perché si possa, senza reticenze ma anche senza forzature, passare dalla fase delle discussioni interne al gruppo a quella della esposizione al dibattito scientifico attraverso la pubblicazione?
Si tratta insomma di capire come si compongono le inevitabili tensioni all'interno di un gruppo di ricerca numeroso, in cui è fisiologico che esistano punti di vista, aspettative, valutazioni e ambizioni anche molto diverse tra loro. Ma ciò che rende la vicenda dei neutrini di OPERA in qualche misura inedita e solleva interrogativi preoccupanti, è il secondo aspetto della questione, che riguarda l'effetto prodotto sul lavoro degli scienziati, e sulle modalità della sua presentazione, della sovraesposizione mediatica cui questo tipo di ricerche viene sottoposta. Che i risultati del lavoro degli scienziati vengano comunicati al grande pubblico è evidentemente cosa non solo utile, ma anche doverosa. Non è ovvio però che operino utilmente, in questa dinamica, le inevitabili forzature che in questo modo possono generarsi su quella che dovrebbe essere la successione deontologicamente corretta dei passi della ricerca.