Intervista a Andrew Wiles
Andrew Wiles ha 52 anni, ma ne dimostra assai meno. Inglese, vive e insegna a Princeton negli Stati Uniti. Ha tre figlie, che adora e di cui parla volentieri. Dieci anni fa, è stato l’artefice dell’impresa matematica per antonomasia. È lui che ha guarito i matematici da un’ossessione durata tre secoli: dimostrare l’ultimo teorema di Fermat. Oggi, Wiles è il matematico più famoso del mondo ma, nonostante la fama e la grandezza della sua opera, è rimasto una persona gentile, paziente, con uno spiccato senso dell’umorismo.
Lo scorso anno ha vinto, a Crotone, la prima edizione del Premio internazionale di matematica Pitagora. Quest’anno il premio andrà a Edward Witten, il fisico della teoria delle stringhe, medaglia Fields nel 1990.
Andrew Wiles non ha vinto la medaglia Fields per un soffio. Quando ha dimostrato il teorema di Fermat, aveva appena passato i quarant’anni che –come è noto– costituiscono il termine ultimo per poter essere insigniti di un premio che costituisce l’equivalente, per i matematici, del Nobel. Ma questo non gli ha impedito di diventare uno dei maggiori matematici viventi, un uomo che può raccontare una esemplare storia di vita per la scienza.
Wiles ha dedicato otto anni di lavoro “matto e disperatissimo” alla risoluzione dell’ultimo teorema di Fermat. Solo la moglie sapeva a cosa stava lavorando ma non sapeva che fosse “la nostra spina nel fianco”, ha detto Wiles a Simon Singh (nel libro a lui dedicato nel 1997). A distanza di anni, Wiles mantiene il suo atteggiamento rigoroso anche nel rispondere all’ennesima domanda su come si è sentito dopo tanti anni di duro lavoro in solitudine, quando si è improvvisamente trovato sotto gli occhi e all’attenzione di tutto il mondo. Andrew Wiles impiega diversi (e per noi lunghi) secondi per cercare le parole giuste. Poi, finalmente, risponde.
Quando ho finito la dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat, ero naturalmente molto eccitato. Allo stesso tempo, ero però anche sollevato perché avevo concluso il lavoro e risolto il problema. Poi, è subentrata anche un po’ di malinconia. Avevo convissuto così a lungo con questo problema che sentivo di trovarmi di fronte a una svolta nella mia vita.
È difficile concentrarsi per anni sulla stessa cosa (che forse non si riuscirà a fare) senza demoralizzarsi? Dove ha trovato tutta questa fiducia in se stesso?
Ho sempre creduto che ci fosse un modo per risolverlo e che potevo trovare la chiave del problema. Era solo una questione di tempo e di capire come. Ero convinto che la soluzione sarebbe arrivata. Certo, quando il lavoro è diventato difficile, è stato veramente frustrante. Ma sapevo che alla fine ce l’avrei fatta.
Nella prima dimostrazione, nel 1993, c’era un errore. Ha mai pensato che tutta l’impostazione fosse sbagliata?
In fondo, alcuni grandi matematici avevano creduto di aver dimostrato il teorema di Fermat, sbagliandosi. In altri termini: è grande la distanza tra l’intuizione di un matematico e la prova rigorosa degli enunciati?
È vero: ho capito che c’era un errore nella mia dimostrazione, ma ero convinto della bontà del metodo e dell’idea di fondo che avevo seguito per dimostrare il teorema. Ero soprattutto convinto che sarebbe bastata una variazione, una modifica per riuscire a far funzionare tutto. La mia preoccupazione era che ci sarebbero voluti diversi anni e che sarebbero stati davvero stressanti. All’inizio, quando ho cominciato a lavorare alla dimostrazione, il mio lavoro si svolgeva in solitudine. La gente non sapeva cosa stavo facendo. Ma una volta trovato l’errore, il lavoro è diventato pubblico e continuare è stato molto più difficile, con tutti che ti osservano e aspettano.Evidentemente, all’inizio ho avuto una svista. Soprattutto ho dato l’annuncio troppo presto, perché non mi ero accorto di questo errore. Forse avevo capito male qualcosa e dovevo cambiarla. È una cosa normale nel lavoro di un matematico. Quindi –ho pensato– dovevo solo rivedere la risposta.
Crede che in futuro il teorema di Fermat sarà dimostrato in un altro modo, magari più semplice? Lei ha sostenuto che Fermat non possedeva la dimostrazione.
Come è possibile che si sia sbagliato? Il concetto di dimostrazione era così diverso, allora da oggi?
Forse potrà essere dimostrato in un altro modo, ma non credo che ci possa essere una dimostrazione elementare, semplice, dell’ultimo teorema di Fermat. Inoltre, non credo proprio che Fermat avesse una dimostrazione. Per noi matematici, forse è meglio così. È molto più eccitante e coinvolgente che tutta la Matematica sviluppatasi negli ultimi due-trecento anni, possa essere usata per risolvere problemi così complessi. Se ci fosse stata una dimostrazione semplice, che Fermat poteva conoscere, questa sarebbe stata la prova di quanto noi matematici siamo stati incompetenti negli ultimi tre secoli. Invece, nella mia dimostrazione ho dovuto utilizzare le strutture e le invenzioni matematiche più recenti e questo, in un certo senso, ha reso giustizia del lavoro e dello sforzo di tutti i matematici.
Negli ultimi anni alcuni importanti teoremi sono stati dimostrati a partire dal teorema dei quattro colori. Poi Fermat. Adesso si parla come di un fatto certo della dimostrazione della congettura di Poincaré. Come mai, dopo tanti secoli, la Matematica sembra essersi svegliata? È solo un effetto numerico, dovuto al maggior numero di ricercatori, oppure la tecnica è realmente migliorata rispetto al passato?
Credo che, dal 1950 a oggi, possiamo parlare di una età dell’oro per la Matematica e credo che questo periodo continuerà ancora. Ci saranno molti problemi da risolvere e molti altri da sottoporre all’attenzione dei matematici.
Anche se oggi può sembrare difficile fare meglio di quanto fatto negli ultimi anni, sono sicuro che anche i prossimi saranno ricchi di soddisfazioni.
Su cosa ha lavorato negli ultimi anni?
Ci sono un altro paio di problemi sui quali sono molto concentrato e impegnato, ma niente potrà mai sostituire, per me, il teorema di Fermat. Risolverlo è stato il mio sogno di bambino.
Allora, auguri Andrew Wiles!