Intervista a John Tate, "premio Abel" 2010

John Torrence Tate, premio Abel 2010, intervistato per MADDMATHS da Maria Gualdani.

Il 24 marzo 2010 è stato annunciato che il Premio Abel 2010 è stato assegnato al matematico americano John Tate dell'università del Texas a Austin, per il suo vasto e duraturo impatto dei suoi lavori in teoria dei numeri. Leggi la notizia pubblicata sul nostro sito.

INTERVISTA ESCLUSIVA A MADDMATHS - John  Torrence Tate, premio Abel 2010, intervistato per MADDMATHS da Maria Gualdani Ringraziamo la redazione di MADDAMATHS per averci permesso di riproporre l'intervista ai nostri lettori. Sul loro sito (clicca qui per visitare MADDMATHS). Sul loro sito, oltre al video in inglese e al testo tradotto in italiano che riportiamo di seguito, potete trovare anche il testo dell'intervista nella versione originale inglese. Lo suggeriamo in quanto può essere un buon esercizio interdisciplinare tra lingue stranieri e matematica.

 

 

 

Pere leggere la traduzione italiana apri l'approfondimento.

Intervista con John Tate raccolta da Maria Gualdani Austin (Texas), 31 marzo 2010.
M.G.: La prima domanda che vorrei farle è che ci spieghi in poche parole qual'è stato secondo lei  il suo maggiore contributo alla teoria dei numeri, quello che le ha preso un tempo maggiore ad ottenerlo.
J.T.: Beh, prenderò in prestito qualche cosa che ho letto, che fu detto dal primo vincitore di questo premio quando gli fu posta la stessa domanda. Disse: “chiedereste a una madre quale dei suoi figli sia il suo preferito, o il migliore?

M.G.: Va bene, spesso si hanno figli preferiti, quello con cui c'è maggiore intesa...
J.T.: Credo sia vero. Oddio! … Insomma...

M.G.: Allora forse quello che le ha preso un tempo maggiore
J.T.: Un tempo maggiore. Non mi hanno mai preso molto tempo perché non ho mai... Va bene, uno dei miei preferiti è certamente il mio Teorema sulle isogenie di varietà abeliane (ndr.: nel video dice curve Ellittiche, corretto in seguito da J.T.) su campi finiti, e l'enunciato ha senso sopra ogni campo. Avevo l'impressione che dovesse essere vero su di un qualsiasi campo numerico di un campo finitamente generato. Ero capace di dimostrarlo sopra i campi finiti, e provai, provai e provai sui campi numerici. E non ci riuscii mai. Ma ci riuscì Faltings nel 1983. Riuscì a dimostrare la mia congettura, insieme con quelle di Shafarevich e Mordell. Tutte insieme. Un pacchetto unico. Fu un grandissimo risultato.

M.G.: C'è una congettura di di Tate?
J.T.: Sì. È stato ciò che ha fatto Faltings... Quello che avevo fatto io era solo un caso particolare e Faltings fece un caso più generale.

M.G.: Va bene, ma c'è un congettura di Tate che ancora non è stata risolta?
J.T.: Certamente c'è.

M.G.: Quanto ritiene probabile di vederla risolta?
J.T.: Beh, sono abbastanza vecchio. Non credo ci siano molte probabilità.

M.G.: Di che si tratta?
J.T.: Un filone di studio è che certi gruppi sono finiti, ossia hanno un numero finito: il gruppo di Brauer di forme più generali, direi. Dato il gruppo di Brauer di un campo numerico, quali sono le condizioni tali che un buono schema …. uno schema proprio su “Spec Z” sia finito? C'è anche una congettura di Tate più generale sugli Jacobiani intermedi o su cose come i cicli. Invece di semplici divisori di cicli di codimensione uno, anche cicli di dimensione più alta, ma su questo sono meno fiducioso.

M.G.: Ok, e sempre sui grandi problemi aperti, qual'è la sua opinione in generale, qual'è il problema aperto che per lei è il più importante, e su cui i matematici dovrebbero lavorare e concentrarsi?
J.T.: Non sono sicuro che quello più importante sia lo stesso di quello su cui uno si dovrebbe concentrare. Ma posso dire con certezza che qualcuno come un giovane che vuole diventare un matematico non dovrebbe lavorare sull'Ipotesi di Riemann...

M.G.: Non dovrebbe...
J.T.: si, non dovrebbe, poiché le possibilità di riuscita sono molto poche, molti ci hanno lavorato per 150 anni, i migliori, i più grandi matematici al mondo...

M.G.: senza successo...
J.T.: si, e per me è il più importante problema aperto.

M.G.: E lei ci ha lavorato?
J.T.: No, non molto.

M.G.: Come ha scoperto la sua passione per la matematica quando era ragazzo? Forse i suoi genitori erano già in ambito universitario?
J.T.: Mio padre era un fisico sperimentale. Mia madre conosceva i classici, niente a che fare con le cose scientifiche. Ma io ho sempre amato la matematica a scuola e la trovavo molto facile. Mi ricordo ancora, non ricordo che età avessi, ma è interessante che lo ricordi ancora: un'improvvisa comprensione, dovevo avere quattro o cinque anni, che 25 volte 40 è uguale a mille. Non so con cosa avessi a che fare, un biglietto da 10 dollari in quarti di dollaro...

M.G.: Forse mille era un numero troppo grande, e voleva ridurlo a numeri più piccoli...
J.T.: E poi mi ricordo che capitai su questo libro quando ero un adolescente, “Gli uomini della matematica” di E.T. Bell, non proprio un titolo politicamente corretto, gli uomini della matematica...

M.G.: sì, ma a quel tempo...
J.T.: e mi piacque molto, era sui grandi della storia, ogni capitolo conteneva la vita di uno dei più grandi matematici della storia: Archimede, Gauss, Newton. Lessi questo libro e fui affascinato, ma decisi che io non ero come queste persone, in nessun modo avrei fatto matematica. Ma anche, è perché io … Penso che lei abbia una domanda su cosa mi abbia affascinato di più quando ero giovane: fu una cosa che imparai in quel libro, nel capitolo su Gauss, ed era la reciprocità quadratica,  e ne fui molto impressionato. Provai a dimostrarla, un enunciato così semplice. Certo, a Gauss erano stati necessari uno o due anni per dimostrarla. E io pensai che non sarei mai stato capace di farlo. Ma il miracolo fu che, quando finii il college, decisi che avrei fatto un dottorato in Fisica. Potevo essere un fisico e mi piaceva la fisica. Mio padre o chiunque altro poteva essere un fisico. Pensavo che nessuno potesse essere un matematico. Abbastanza stupido, non so dove avessi preso questa idea...

M.G.: Forse in quel periodo in America essere un fisico era più alla moda...
J.T.: No, non era un problema di moda. Pensavo proprio di non avere la capacità di dimostrare nuove cose in matematica. E così mi iscrissi alla Graduate School di Fisica di Princeton, e dopo un semestre non potei resistere e cercai di passare a matematica e di tutte le cose, chi trovai nel dipartimento di matematica? Si chiamava Emil Artin (ndr.: uno dei più grandi studiosi della teoria dei numeri dell'epoca, che poi sarebbe diventato il suo direttore di Tesi e co-autore di un libro e di numerosi articoli) ed era proprio lui che aveva fatto la grande generalizzazione finale del lavoro sulla reciprocità quadratica, la cosa che mi aveva colpito di più quando ero un ragazzino. Diventai suo studente. Non avrei potuto avere un migliore inizio per la mia vita matematica. Mi diede l'idea per la mia Tesi.
M.G.: E così ha cominciato.
J.T.: Si, ho iniziato così...

M.G.: E ottenne il dottorato a Princeton e andò a Harvard subito dopo?
J.T.: Rimasi a Princeton. Avevamo un seminario sulla teoria dei campi delle classi. Ero un Post-doc. Così rimasi per altri tre anni e quindi un anno alla Columbia University e poi ad Harvard.

M.G.: E rimase lì per 30 anni.
J.T.: 35!

M.G.: E quindi venne qui giù nel Texas!
J.T.: E venni in Texas. Ed è stato veramente un gran previlegio per me passare i successivi vent'anni qui. Ci piacque moltissimo, molto collegiale, tutti erano molto amichevoli.

M.G.: Ha avuto molti studenti? Le piaceva anche la parte di insegnamento del suo lavoro?
J.T.: Mi piace insegnare e ho avuto molti studenti.

M.G.: Ed è ancora in contatto con loro, immagino...
J.T.: Con alcuni di loro, molti di loro.

M.G.: Ha altre passioni importanti nella sua vita a parte la matematica?
J.T.: Non so quanto siano importanti. Mi piace camminare, ma ora ho una caviglia malandata. Ma principalmente la matematica. Non sono un uomo del rinascimento in nessun senso. La matematica è la mia più grande passione.

M.G.: Qual'è il consiglio che darebbe a un giovane matematico o a un giovane che volesse iniziare una carriera accademica? Se dovesse dare un solo consiglio, in qualsiasi campo: matematica applicata, numerica, teoria dei numeri...
J.T.: Non dovrebbero non fare matematica a meno che non ne possano fare a meno, a meno di non esserne fortemente attratti.

M.G.: Così, uno deve avere un passione molto forte...
J.T.: Non so, è solo un mio parere.

M.G.: Al giorno d'oggi, con la crisi economica, molti devono lasciare l'università dove invece vorrebbero stare.
J.T: Uno non dovrebbe fare matematica se pensa di non trovare un buon lavoro o un lavoro facile.

M.G: La separazione tra matematica pura e applicata. Può fare un commento su questo?
J.T.: Spesso è difficile da dire. Quando avevo la sua età non avevo proprio idea che la teoria dei numeri potesse servire a qualche cosa, ma ora, con i computer super veloci, è diventata utilissima. Conservare informazioni, codificarle e decodificarle, tutto il mondo commerciale è basato su queste cose. Per cui, è molto pratico. Ma non è la ragione per cui l'ho fatto. Non pensavo che sarebbe mai stata usata. Non saprei dire cosa è matematica applicata e cosa non lo è. Ma ancora la faccio (ndr.: matematica applicata), principalmente facendo alcune consulenze in criptologia. Ma il mio cuore è per matematica pure, nella sua bellezza. Penso però che tutte e due le cose siano importanti. Hanno diversi criteri: la matematica pura deve dimostrare, quella applicata deve funzionare, non ha bisogno di dimostrare.

Commento del Prof. Felipe Voloch sul premio: Molto meritato. È un grande onore per l'Università del Texa a Austin, non ci poteva essere una scelta migliore.
Domanda dal Prof. Richard Tsai : La ragione per fare ciò che ha fatto è stato solo perché le piaceva e nient'altro?
JT: Giusto! Esatto. Come dirlo? Per la gloria dello spirito umano...

MG: Ha mai avuto qualche intuizione che la sua ricerca sarebbe stata fondamentale a scopi pratici?
JT: Veramente no. A Princeton, a quell'epoca, Von Neumann stava costruendo un computer veloce, con valvole al posto dei transistor. Riempiva uno spazio enorme a causa del calore generato dalle valvole. Lo conoscevo bene, ma non fui abbastanza sveglio da capire che avrebbe rivoluzionato il commercio e le comunicazioni. Non fui capace di pensare così a lungo raggio.


di Maria Gualdani

Photos by courtesy of Prof. Richard Tsai