INTRODUZIONE A ...A.M.TURING: UN CONTRIBUTO DI GABRIELE LOLLI


 

Nel 1994 per i tipi della Bollati Boringhieri è stato pubblicato il testo che raccoglie gli interventi di Turing relativi alla "Intelligenza meccanica " degli anni 1945-1950.
Il volume inizia con una "Introduzione" di Gabriele Lolli che ci sembra utile riproporre proprio per poter approfondire la conoscenza di Turing e capire l'originalità del suo lavoro a distanza ormai di quasi cinquanta anni dalla sua morte.

Ringraziamo l'autore e la Casa editrice che ci hanno concesso di metterla in rete.

 

Introduzione

di Gabriele Lolli


Nel 1943, mentre lavorava a progetti di crittografia di interesse militare per la Government Code and Cypher School a Bletchley Park, Alan Turing confessava al collaboratore Donald Bayley la sua ambizione di voler "costruire un cervello"1. La storia successiva del sogno di Turing - che se non ha costruito un cervello ha avviato il progetto del primo calcolatore elettronico inglese, ha gettato le basi dell'informatica e ha tracciato le linee di sviluppo dei successivi studi sull'intelligenza artificiale - è negli scritti che sono proposti al lettore, elaborati in rapida successione dal 1945 al 1950. L'antefatto, cioè la storia di come Turing sia arrivato alle soglie di un simile progetto, sarà l'oggetto di queste brevi note introduttive.

Alan M. Turing


Alan Mathison Turing (1912 - 1954) riuniva in sé una combinazione unica di competenze teoriche e di abilità e di passione per la matematica applicata, la statistica e l'ingegneria, eguagliata in quel periodo straordinario solo da John von Neumann sull'altra sponda dell'Atlantico. Nel 1943 aveva poco più di trent'anni, di cui alcuni spesi nell'anonimato del servizio bellico, ma era già conosciuto - almeno tra coloro che contavano, da Gödel a von Neumann - come autore di un articolo di logica di importanza storica. "Alcuni anni fa - scrive nel 1947 - conducevo ricerche che oggi si potrebbero definire come un'indagine sulle possibilità teoriche e sui limiti delle macchine calcolatrici digitali. Presi in considerazione un tipo di macchina che aveva un meccanismo centrale, e una memoria infinita che era contenuta su un nastro infinito. Questo tipo di macchina sembrava sufficientemente generale. Una delle mie conclusioni fu che i concetti di " processo secondo regole empiriche" e di "processo meccanico" erano sinonimi ". Con " regole empiriche " (rules of thumb) Turing si riferisce a processi che non sono espressi da leggi: un "processo secondo regole empiriche" è da intendersi come un processo che può essere svolto seguendo alla lettera una lista di istruzioni che dicono cosa fare caso per caso.


A Cambridge, nel 1936, Turing voleva dimostrare l'esistenza di un problema indecidibile. Il problema della decisione, o Entsclgeidungsproblem, era un'indagine un po' esoterica, ma all'ordine del giorno tra i logici; proposto da David Hilbert, consisteva nel dimostrare se la logica potesse essere decisa con una funzione "calcolabile con mezzi finiti". Una prima difficoltà sorge dal fatto che il concetto di funzione numerica "calcola. bile con mezzi finiti" richiede una definizione più esplicita, Turing 2 si orienta verso la definizione di una macchina, a differenza degli altri logici impegnati oltre oceano nella stessa impresa. Ma il modo in cui Turing descrive le macchine è peculiare: usa parole come "esplorazione" o "tavole di comportamento ", e avverte il lettore di tenere presente come guida l'osservazione "che la memoria umana è finita".


La macchina di Turing
ha un nastro infinito - potenzialmente infinito, all'occorrenza prolungabile - diviso in caselle, ciascuna delle quali può contenere al massimo uno tra un insieme finito di simboli; a ogni istante la macchina vede una casella, e può trovarsi in uno tra un numero finito di stati. Se si trova in uno stato e legge un simbolo, la macchina può sostituire il simbolo con un altro di quelli disponibili, spostarsi a destra o a sinistra di una casella e cambiare stato, il tutto secondo certe istruzioni, o "tavole di comportamento ", che sono definite per tutte le possibili eventualità. "La mia tesi - scrive Turing - è che queste operazioni includono tutte quelle che sono usate nel calcolo di un numero".


Turing descrive poi la macchina universale: questa, se ha sul nastro una rappresentazione della tavola di una qualsiasi macchina e un argomento adatto ad essa, esegue le stesse operazioni che farebbe la macchina particolare su quell'argomento. La machina universale interpreta la descrizione della macchina scritta sul suo nastro, ed è programmata per eseguire ogni insieme di istruzioni decodificate. Usando una tecnica ben nota di diagonalizzazione dei numeri reali calcolabili, Turing ricostruisce l'antinomia di Richard 3, da cui esce osservando come la situazione implichi non una contraddizione ma l'indecidibilità del problema del printing, della scrittura di un simbolo determinato da parte una macchina. Ne segue poi l'indecidibilità del problema della decisione per la logica, dimostrata anche da Church.


Kurt Gödel

Alonzo Church


Gödel non era soddisfatto della sua definizione del concetto di calcolabilità effettiva, né di quella data da Alonzo Church: la nozione doveva servire a precisare i concetti logici, e invece entrambe le definizioni erano basate sulla logica. L'analisi e la proposta di Turing lo convincono che si sia ottenuta una definizione dell'idea di calcolabilità che, pur equivalente alle altre, si presenta come assoluta, cioè indipendente da assunzioni e concetti logici.


La tesi di Turing
consiste nell'affermazione che tutte le funzioni intuitivamente calcolabili sono calcolabili mediante una macchina di Turing 4. L'argomentazione più forte a favore della tesi è basata sul fatto che i comportamento delle macchine sono ricavati da un'analisi dell'operatore umano, quando calcola scrivendo simboli su fogli di carta: "Noi possiamo paragonare un uomo nel processo di calcolare un numero a una macchina che è capace solo di un numero finito di configurazioni, o stati".

Nell'articolo del 1937 l'analisi del calcolo manuale è sviluppata in dettaglio. I fogli sono divisi in quadretti - su due dimensioni, ma questo non è ritenuto essenziale; il numero dei simboli è finito; la riflessione su questa condizione è rivelatrice. Turing, parlando di " simboli", non si riferisce in termini comportamentistici agli alfabeti umani, ma osserva invece che, se fossero infiniti, sarebbero "arbitrariamente vicini "; questo perché egli " sa vedere " la matematica nelle cose: considera i simboli come insiemi di punti di un quadrato - come nella moderna arte della tipografia - e osserva che se si accettano come simboli solo gli insiemi misurabili, per essi è possibile definire una distanza, e giustificare l'osservazione precedente. Si potrebbe pensare a un'infinità discreta numerabile di simboli - come nelle lingue ideografiche - allo stesso modo in cui si considera un simbolo diverso ogni numero razionale in forma decimale; ma allora l'indistinguibilità si riproporrebbe come un problema psicologico di percezione: per decidere uguaglianza e differenza si dovrebbero spezzare i simboli in parti più corte, e ritornare a una base finita.

Il comportamento del calcolatore umano è determinato dai simboli che osserva e dal suo " stato della mente ": "Supporremo anche che il numero di stati della mente che debbono essere presi in considerazione sia finito. La ragione è simile a quelle che ci hanno fatto ristringere il numero dei simboli. Se noi ammettessimo un'infinità di stati della mente, alcuni di essi saranno "arbitrariamente vicini" e confusi. Di nuovo, la restrizione non ha alcuna seria conseguenza sui calcoli, perché l'uso di stati della mente più complicati può essere evitato scrivendo più simboli sul nastro ". Nel parlare di stati " complicati ", Turing pensa probabilmente alla percezione o alla memoria di fatti complessi. Cosa intenda esattamente con "stato della mente" non è chiarito altrimenti che con le note di istruzione: sembra che si riferisca all'attenzione, alla percezione e alla memoria di lavoro, perché il contenuto della memoria a lungo termine può essere, al contrario, estratto ed esplicitamente oggettivato.

Turing invita poi a immaginare le operazioni divise in "operazioni semplici", così elementari da non potersi concepire una loro ulteriore suddivisione. Ciascuna operazione comporta la modifica del sistema fisico costituito dal calcolatore umano e dai suoi supporti, la più semplice delle quali è ovviamente la modifica di una casella. Ecco quindi la " dimostrazione " che la sua macchina è in grado di svolgere gli stessi compiti di un calcolatore umano.

Si potrebbe riassumere il senso dell'argomentazione di Turing dicendo che egli voleva provare che "le procedure mentali non possono andare oltre le procedure meccaniche"; sono parole di Gödel, il quale, dapprima soddisfatto dall'analisi della "procedura meccanica" offerta da Turing, tornerà nel 1972 sull'argomento per dichiarare di non condividere il significato che essa sembra essere venuta ad avere nello studio della mente. Turing avrebbe trascurato il fatto che la mente si evolve, e che il numero dei suoi stati, anche se finito ad ogni istante, può tendere all'infinito. L'evoluzione si realizza, per quanto si vede dalla matematica, attraverso la progressiva miglior comprensione di termini astratti, che a sua volta si attua attraverso metodi sistematici, "che potrebbero far parte della procedura".5 Gödel sperava che in futuro si sarebbe potuto smentire il pregiudizio secondo A quale non si può dare mente senza materia, magari dimostrando che nel cervello non ci sono abbastanza cellule nervose per giustificare l'ammontare della nostra attività mentale.

Questo è l'antefatto; la tappa successiva è invece una storia di macchine reali, a cui Turing è sempre stato interessato proprio in quanto matematico. Già nel 1939 aveva pensato di adattare la "macchina di Liverpool" per il calcolo degli zeri della funzione zeta di Riemann; la macchina di Liverpool era una macchina analogica, usata per il calcolo delle maree, che simulava le funzioni circolari tramite un meccanismo a ruote e le misurava con un nastro avvolgentesi su un'asta. Poi viene la guerra, e a Bletchley Park si riunisce una squadra di matematici, ingegneri, umanisti e campioni di scacchi, impegnati nel controspionaggio: inizialmente nella decodifica di Enigma, la macchina usata dai tedeschi per cifrare i messaggi navali, poi in altri compiti vari di crittografia. Turing partecipa alla decifrazione di Enigma con diversi contributi, il più interessante dei quali è l'idea di guess a word (cercare di indovinare una parola) per poi verificarla, invece che passarle in rassegna tutte; è un'idea che si ritrova oggi nel concetto di calcolo non deterministico.

L'ambiente di Bletchley Park è importante per la formazione di Turing, che vi dà e riceve molto. Sono gli anni in cui si passa dai circuiti elettrici a quelli elettronici; la macchina usata per la decifrazione di Enigma, il Colossus, è la prima completamente elettronica. Altri colleghi hanno idee feconde, come Donald Michie, che riesce a modificare il Colossus in modo tale da rendere possibile la ricerca e la scelta automatica delle parole, che prima erano fornite dall'esterno. Ma sono utili anche le discussioni che si tengono fuori dall'orario di lavoro, intorno a una scacchiera, su argomenti che vanno dalle strategie dei giochi all'apprendimento.


Bletchley Park

Nel 1942 Turing compie un viaggio negli Stati Uniti, dove ai Bell Laboratories conosce Claude E. Shannon, il fondatore della teoria dell'informazione, con cui racconta che si trova a suo agio a discutere animatamente di cervelli. Sempre negli USA, il gruppo dell'Università della Pennsylvania diretto da J. Presper Eckert jr e da John W. Mauchly, che aveva già costruito il calcolatore tradizionale ENIAC, progetta per l'EDVAC un sistema di memoria a linee di ritardo acustiche e sperimenta la memorizzazione dei programmi. Nel 1945 si unisce al gruppo John von Neumann, che si dedica alla parte del circuito logico e del linguaggio di programmazione.

In America von Neumann è un personaggio che svolge un ruolo analogo a quello di Turing; anche lui proviene da studi di logica, dall'Università di Gottinga, ma è un matematico universale, con interessi pratici. Egli vuole mettere il calcolatore alla prova soprattutto su problemi complessi: equazioni differenziali non lineari alle derivate parziali, problemi di dinamica dei fluidi, di meteorologia, di fisica nucleare. Il primo compito affidato al calcolatore costruito dall'Institute for Advanced Studies di Princeton su progetto di von Neumann, nel 1946, è un problema di fisica nucleare per i laboratori di Los Alamos, che lo impegna per sessanta giorni ininterrotti. Per il disegno logico dei circuiti, von Neumann si basa sulle reti di McCulloch e Pitts, il cui intento originario era però quello di ottenere un modello della macchina universale di Turing; 6 pur lavorando con altri formalismi, von Neumann riconosce esplicitamente con i suoi collaboratori che le idee fondamentali provengono dallo scritto di Turing del 1937.7


Visti i progetti americani, gli inglesi decidono di seguirli. Viene chiesto a Turing, che conosce e cita il rapporto sull'EDVAC di elaborare una proposta: ne risulta il rapporto del 1945 sul progetto dell'ACE (Automatic Computing Engine), che è proposto qui nella sua parte introduttiva. È uno scritto in cui si può apprezzare la vasta competenza di Turing e il suo interesse per ogni tipo di problema, non solo di carattere logico e ingegneristico, ma anche pratico: costi, localizzazione, accesso a distanza, obsolescenza tecnologica, il tutto con un piglio da manager ed economista.

 


Non siamo qui interessati a ricostruire la storia del calcolatore, 8 quanto la storia di come sia nata l'idea geniale che possa essere intelligente. Proprio allo scopo di apprezzare meglio questa idea è importante rendersi conto di quanto sia banalmente semplice la struttura di base del calcolatore - di quello reale, non della macchina teorica. L'epoca è quella dei pionieri, e tutto deve essere giustificato e spiegato senza un retroterra a cui riferirsi. Dopo, si capirà meglio l'importanza di quelle poche soluzioni logiche e tecniche escogitate per ottenere la flessibilità necessaria a rendere semplice ciò che appare complesso in partenza, e ad affrontare qualunque compito.

Naturalmente l'idea centrale è quella di includere all'interno, nella memoria, i programmi stessi, anche se non è l'unica del suo genere. 9 La memorizzazione dei programmi "dà alla macchina la possibilità di costruirsi i suoi propri ordini ". Secondo Turing occorre fare sì che la macchina scelga tra due prosecuzioni alternative a seconda dei risultati ottenuti, tecnica in seguito detta branching condizionale: le istruzioni diventano metaistruzioni che decidono a quale istruzione orientarsi. Non è escluso che l'ispirazione gli venga anche dal suo lavoro come crittografo: in crittografia, infatti, i messaggi inviati contengono nella prima parte il proprio codice di interpretazione.

Una possibilità che si rivelerà molto feconda è quella di spezzare il calcolo in operazioni sussidiarie, che vengono memorizzate e riutilizzate quando servono nell'esecuzione di altri compiti. Per le operazioni sussidiarie, note in seguito come subroutine, Turing concepisce l'idea di un automa a pila (stack) per controllarne l'entrata e l'uscita, per mezzo di istruzioni chiamate BURY (seppellisci) e UNBURY (disseppellisci); l'introduzione di una gerarchia di programmi memorizzati e il controllo della loro esecuzione gerarchica sono un decisivo passo avanti nella programmazione.

Un'altra idea geniale di Turing è quella dei vari livelli di scrittura delle istruzioni, in particolare di quella che chiama la popular form, una rappresentazione simbolica che viene messa sulle schede accanto a quella numerica per poterne facilmente interpretare il significato: è l'origine dei cosiddetto codici autosimbolici, tradotti dal calcolatore in codici numerici eseguibile, e alla lunga dell'assembler e dei linguaggi ad alto livello. Turing richiede che le istruzioni si presentino ripetute in tre forme: in " forma macchina ", come successioni di operazioni fisiche, in " forma permanente ", eseguibile su diverse macchine, e in popular form; deve anche essere data una descrizione del processo che si vuole ottenere, cioè un "commento" al codice.

Nel rapporto sull'ACE Turing indica alcuni problemi di calcolo matematico su grande scala affrontabili con il calcolatore, alcuni tradizionali, altri più originali di tipo combinatorio. La macchina viene presentata inizialmente come capace di eseguire qualunque compito che non richieda comprensione; verso la fine dello scritto, però, sottovoce e quasi contraddicendosi, Turing si serve del gioco degli scacchi per iniziare a porsi il problema dell'intelligenza, che sarà approfondito negli scritti successivi.
Nel frattempo il progetto dell'ACE, pur andando avanti, rallenta. Alla fine sarà affiancato da quello dell'Università di Manchester, istituzione nella quale Turing si trasferisce. Alan, pur non abbandonando i problemi di informatica,10 si dedica ora con più impegno alla questione dell'intelligenza. I risultati di queste riflessioni sono sorprendenti, come il lettore potrà vedere nella lettura degli scritti qui presentati. Le idee di Turing anticipano e indirizzano tutta la ricerca successiva: nulla va perso o è tralasciato.

Turing, va detto, non è abile con la penna: la sua sintassi è povera e il lessico ripetitivo, ma la sua prosa è ricca di immagini semplici e illuminanti che vanno dritte al cuore del problema. In ognuno di questi scritti si vede come un'idea accennata alla fine del precedente venga sviluppata nel successivo. Così accade anche per quel che riguarda i compiti ritenuti possibili per la macchina, che dal secondo scritto in poi sono molto più complessi e "spregiudicati": compaiono il test di Turing, le prime obiezioni all'idea di macchina pensante e l'idea di "educazione della macchina".

A proposito dell'intelligenza, Turing inizia lo scritto del 1948 in modo generico e metaforico, proponendosi di indagare "se sia possibile per ciò che è meccanico manifestare un comportamento intelligente". Il suo linguaggio però diventa subito più impegnativo e diretto: dopo due pagine parla di costruire "macchine intelligenti " e anche "macchine pensanti". Immagina di costruire una macchina completa di televisione, microfoni, ruote, servomeccanismi e " cervello elettronico ", e di mandarla in giro per le strade a "farsi un'esperienza " e imparare a sviluppare l'intelligenza; ma per Turing questo è un obiettivo non realizzabile - al contrario di quanto sembrano affermare talvolta i costruttori di robot - se non altro perché sarebbe una macchina enorme, e quindi un " pericolo per gli abitanti "normali " ". Si propone allora "di vedere cosa possa essere fatto con un "cervello" che sia, più o meno, senza un corpo, provvisto al massimo di organi di vista, parola e udito " per il necessario contatto sociale. Secondo Turing un tale progetto deve concentrarsi su pochi obiettivi: i giochi, l'apprendimento di linguaggi - il più affascinante, ma troppo condizionato anche dagli organi di senso e di locomozione -, la traduzione dei linguaggi, la crittografia, la matematica. Egli prevede anche che le macchine saranno in grado di manipolate effettivamente le formule algebriche - il calcolo simbolico - se esisteranno speciali sistemi logici adeguati. È da notare che quelli indicati da Turing sono proprio i settori principali in cui si è orientata la ricerca nel campo dell'intelligenza artificiale, una denominazione, quest'ultima, risalente solo al 1956.



Alan Mathison Turing

La "Bomba"

Consapevole dell'esistenza di una preclusione pregiudiziale nei confronti dell'intelligenza nelle macchine, riflessa nel linguaggio comune da espressioni come "comportarsi come una macchina", Turing si dedica a una preliminare refutazione delle obiezioni,. sia quelle implicite nelle locuzioni popolari sia quelle più tecniche e " sofisticate ". Questa discussione, iniziata nel 1948, è ripresa due anni dopo nell'ormai classico articolo su " Mind ".

Il " gioco dell'imitazione " è intravisto già nel 1948 come antidoto o correttivo di reazioni emotive alla parola " intelligenza ". Turing afferma di aver eseguito un esperimento, probabilmente con esiti interessanti, in cui ha costruito una "macchina di carta " - un insieme di istruzioni scritte affidate a una persona dotata di fogli, matita e gomma - per giocare a scacchi; se una macchina del genere, operata da un esperto perché possa applicare in fretta le istruzioni, viene fatta giocare contro un giocatore mediocre, quest'ultimo può avere difficoltà a scoprire se il suo avversario è un umano o una macchina.

L'articolo del 1950 inizia proprio con la descrizione precisa di questo " gioco dell'imitazione ": vi sono tre persone, un uomo, una donna e un interrogante, che attraverso le sue domande, senza vedere gli altri, deve capire chi è l'uomo e chi è la donna. Turing si chiede poi cosa succede se l'uomo è sostituito da una macchina, o meglio se le probabilità di indovinare per l'interrogante medio siano significativamente diverse quando gioca la macchina rispetto a quando gioca l'uomo: "Queste domande sostituiscono quella originale: "Possono pensare le macchine?" ".


In seguito il gioco è stato chiamato test di Turing, anche se di tale termine Turing non fa mai uso; non lo propone infatti come un criterio discriminante o definitorio, ma solo come descrizione delle circostanze che potrebbero giustificare un nostro modo di parlare. Il superamento del test non è un criterio necessario per l'attribuzione di intelligenza, né, forse, sufficiente; non esiste neanche un modo chiaro per definire " superato " il test, ma solo la possibilità di stabilire " giocate " più o meno buone, nel senso di difficoltà di riconoscimento per l'interrogante più o meno paragonabili al caso di un interlocutore umano. Dice Turing (infra, p. 133):


Credo che entro circa cinquant'anni sarà possibile programmare calcolatori con una capacità di memorizzazione di circa 10', per far giocare loro il gioco dell'imitazione così bene che un esaminatore medio non avrà più del 70 per cento di probabilità di compiere l'identificazione esatta dopo cinque minuti di interrogazione. Credo che la domanda iniziale: " Possono pensare le macchine?", sia troppo priva di senso per meritare una discussione. Ciò nonostante credo che alla fine del secolo l'uso delle parole e l'opinione corrente si saranno talmente mutate che chiunque potrà parlare di macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetto.


John R. Searle 11 ha parlato del test di Turing come del criterio scientifico per stabilire il successo o il fallimento dell'impresa di creare menti scrivendo programmi, impresa che egli chiama "intelligenza artificiale forte ", e che si è proposto di confutare. Secondo questo criterio, se un calcolatore riesce a comportarsi in modo tale che un esperto non sia in grado di distinguere le sue azioni da quelle di un essere umano che possegga una certa capacità cognitiva, allora anche il calcolatore possiede questa capacità. Questa versione è ben diversa dal gioco proposto da Turing, che non si riferisce a singole capacità, che non richiede un esperto come interrogante, che non propone una prova da superare da parte della macchina ma una prova da superare da parte degli interroganti rispetto alle macchine, e che non afferma comunque, anche in caso di superamento della prova, che il calcolatore abbia la capacità in questione. La confutazione di Searle consiste nell'affermare che una macchina non si può dire intelligente anche se supera il test; allo scopo, egli immagina un esperimento con una "macchina di carta", costituita da un insieme di istruzioni per rispondere in cinese a frasi scritte in cinese, senza però conoscere quella lingua. Secondo Searle, anche se l'operatore riesce a rispondere in modo da indurre l'interrogante a riconoscerlo come cinese, non si può affermare che egli abbia imparato tale lingua.

Macchina crittografica

Le obiezioni mosse nei confronti di Searle sono varie; gli si è anche detto di provare a realizzare l'esperimento, come faceva Turing con i suoi: può darsi che nel giocare impari proprio il cinese. Turing, che riteneva possibile insegnare alle macchine a capire la logica simbolica, probabilmente risponderebbe che la possibilità di giocare alla "camera cinese " è soltanto una prova che chi ha tradotto in regole il cinese ha fatto un lavoro completo, e che il cinese è traducibile in regole.

Il gioco serve a Turing per discutere le obiezioni alla possibilità di costruire macchine pensanti, valutate in base all'accezione di "pensante" data dall'ipotesi che possano essere costruite macchine in grado di giocare il gioco dell'imitazione. In alcuni casi egli anticipa obiezioni che in seguito avranno un grande successo, come quella basata sul teorema di Gödel, che avrà tante reincarnazioni.12 È la prima presentata in questi scritti; discutendola, Turing introduce l'idea che essere "intelligenti" implica anche commettere errori. A proposito di errori, egli immagina tra l'altro una macchina che sia dotata di un suo metodo per trarre conclusioni per induzione scientifica, rivelandosi ancora una volta un anticipatore: metodi per trarre conclusioni e congetturare ipotesi per induzione sono stati sviluppati a partire dal 1981.13

Un altro argomento forte è quello della coscienza. Turing osserva che è possibile appurare se un soggetto ha davvero capito quello che fa solo attraverso domande che "girino intorno " all'argomento, che facciano collegamenti, propongano metafore, figure allegoriche; egli immagina, ritenendolo evidentemente fattibile, un dialogo a proposito di figure letterarie, di analogie e di paragoni che assomiglia molto a quelli che saranno realizzati nel 1966 nel programma ELIZA di Joseph Weizenbaum.14

La sorpresa maggiore che riserva la diffusione postuma dello scritto del 1948 riguarda forse la concezione di architetture diverse da quella della macchina di Turing. Una drastica variante concepita da Turing (oltre a quella delle macchine non deterministiche) è quella delle macchine " non organizzate ". Una macchina del genere è costituita da molte unità, ciascuna fornita di terminali di ingresso e di uscita che le collegano tra di loro. A ogni istante, lo stato di un'unità è determinato da una regola che lo fa dipendere dagli stati delle unità collegate agli ingressi. Macchine del genere " sono importanti perché sono forse il più semplice modello di un sistema nervoso con una distribuzione casuale di neuroni ".

Il cervello è per Turing una macchina probabilmente continua, ma molto simile a una discreta. A volte la sua presa di posizione è più netta: " Il sistema nervoso non è certamente una macchina a stati discreti. Un piccolo errore nell'informazione circa la misura dell'impulso nervoso in arrivo a un neurone può fare una grande differenza rispetto alla misura dell'impulso di uscita ". Turing è consapevole dell' "effetto farfalla": "Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato", potrebbe significare la differenza tra il fatto che un uomo è ucciso oppure no da un valanga un anno dopo. Per le macchine discrete la predizione è possibile, ma " a rigor di termini, macchine del genere non esistono. Tutto, in realtà, si muove in modo continuo. Ma esistono molte specie di macchine che possono essere convenientemente pensate come macchine a stati finiti ", e quando è possibile è meglio farlo. Nelle condizioni del gioco dell'imitazione l'interrogante può non accorgersi della sostituzione di una macchina discreta con una continua, "purché questa fornisca la risposta in forma verbale scritta". Le macchine continue possono essere emulate da macchine discrete, almeno nei compiti a risposta discreta.

Per Turing il linguaggio degli stati discreti è utile per una descrizione fisica che però non scenda fino al livello degli atomi, o alla fisiologia. La sua analisi del calcolatore umano può essere vista come una descrizione dei processi mentali indipendente dalla loro radicazione fisica, e quindi con la possibilità di incorporarli nelle macchine. E così è stata vista, facendogli così attribuire la paternità della posizione "funzionalista" in filosofia della mente.15

Sulla struttura della corteccia cerebrale, Turing osserva che esistono parti riservate a scopi definiti, " ma le attività più intellettuali del cervello sono troppo varie per essere gestite su una simile base" di moduli strettamente determinati. Il parlare inglese o francese non è dovuto a diversità delle parti devolute alla parola, " ma al fatto che i centri linguistici sono stati assoggettati a un diverso addestramento". E più avanti: "Noi crediamo che ci siano ampie zone del cervello, soprattutto nella corteccia, la cui funzione è in larga misura indeterminata ". Nel neonato queste zone non hanno un grande ruolo, nell'adulto un effetto forte e orientato: "Tutto questo suggerisce che la corteccia del neonato sia una macchina non organizzata, che può essere organizzata con un opportuno addestramento tramite interferenza".

Pur non prendendo alla lettera l'identificazione del cervello con una macchina universale, l'analogia è abbastanza forte da suggerire di descrivere il passaggio dall'infante all'adulto come la trasformazione da una macchina non organizzata alla macchina universale. Sulla base della propria esperienza educativa, Turing esegue prove con macchine non organizzate sottoposte a due tipi definiti di interferenza, uno stimolo di "piacere" e uno stimolo di " dolore ". Egli descrive in dettaglio un particolare sistema piacere-dolore; aggiungendo una memoria su cui le interferenze possono occorrere nella forma di scrittura dall'esterno, riesce a trasformare una macchina non organizzata in una macchina universale. Non ritiene però il risultato soddisfacente, perché non corrisponde a quello realistico visibile nei bambini: la macchina è stata fatta girare a lungo, e le " punizioni " sono state troppo numerose. Ma sarebbe importante proseguire questi esperimenti, che al momento sono soltanto manuali, perché secondo Turing le macchine non organizzate potranno presto essere simulate dalle macchine determinate, e i processi educativi tradotti in programmi. Prendendo in considerazione architetture modificabili che apprendono dall'esperienza, il matematico inglese anticipa dunque anche le idee del moderno connessionismo,16 soprattutto quando pensa a macchine che, come gli uomini, apprendono e seguono regole senza che sia possibile enunciarle



Locandina film "Enigma"

 


Immagine dal film "Enigma"