La storia della "Mèchanique analitique"
Dal numero monografico di Lettera matematica pristem dedicato a Giuseppe Lagrange (n. 88-89), presentiamo l'articolo di Sandro Caparrini, curatore del volume in oggetto, che ripercorre gli studi del matematico torinese di Meccanica e la pubblicazione dell'opera Mèchanique analitique.
1. La Meccanica dopo Newton
Pochi leggono i classici della letteratura, pochissimi i classici della scienza e solo una sparuta minoranza va oltre le prime pagine dei classici della Matematica. In una graduatoria ideale di libri molto citati ma poco letti, la Méchanique analitique di Lagrange (pubblicata nel 1788) occuperebbe uno dei primi posti. Le note a piè di pagina dei libri di Meccanica superiore si limitano a dire che diede origine a quella disciplina detta appunto "Meccanica analitica". Le storie generali della scienza spiegano che è il punto d'arrivo della Meccanica del Settecento, ma raramente aggiungono altro.
Per comprendere il ruolo della Méchanique analitique nella storia della scienza, dobbiamo tornare alla pubblicazione dei Principia di Newton nel 1687. Una vecchia tradizione storiografica lascia credere che Newton abbia scoperto la maggior parte della Meccanica classica, lasciando ai suoi successori il semplice compito di sviluppare gli aspetti formali. In realtà, le cose andarono diversamente. Nei Principia si trovano risolti con metodi semi-geometrici parecchi problemi importanti sul moto di un punto sottoposto all’azione di una forza centrale, ma non vi è nulla che si avvicini a una teoria dei sistemi vincolati. La meccanica dei fluidi vi è esposta in forma primitiva, mancano quasi del tutto i corpi rigidi e i sistemi vibranti vi sono appena accennati. Per sviluppare queste teorie, occorreva nuova Matematica ma soprattutto c'era bisogno di nuovi princìpi fisici.
Nei decenni successivi alla pubblicazione dei Principia, il problema titanico della creazione di una meccanica dei sistemi in forma analitica fu affrontato da tre generazioni di fisici matematici di prim’ordine.
La prima generazione era formata da contemporanei di Newton. Tra il 1690 e il 1710, Pierre Varignon e Johann Bernoulli tradussero in notazione leibniziana parecchi risultati dei Principia. Jacob Hermann, nella Phoronomia (1716), espresse la seconda legge di Newton tramite la formula f = m dv/dt. Con la soluzione di Johann Bernoulli del problema della catenaria (1691) e l'analisi di suo fratello Jacob della deformazione elastica di una trave infissa in un muro (1694), ebbe inizio la meccanica dei continui. La seconda generazione arrivò sulla scena poco prima del 1730. I suoi principali esponenti erano Daniel Bernoulli, Leonhard Eulero, Alexis Clairaut e Jean le Rond d'Alembert.
Avevano in comune il fatto di essere nati all'inizio del secolo, di aver imparato le sottigliezze del calcolo leibniziano nell'adolescenza e di aver assorbito i Principia prima di compiere diciotto anni. Direttamente o indirettamente, erano tutti allievi di Johann Bernoulli. Le loro scoperte furono tante e di tale portata che persino un semplice elenco richiederebbe troppo spazio. Limitiamoci a ricordare che ci hanno lasciato in eredità la dinamica dei corpi rigidi, la teoria dei fluidi perfetti e alcuni capitoli fondamentali dell'elasticità lineare. A loro dobbiamo i teoremi di conservazione, il concetto di potenziale, i princìpi della Statica e della Dinamica per i sistemi e la teoria delle perturbazioni in Astronomia.
Attorno al 1760, la Meccanica cominciava ad assomigliare a quella che viene insegnata oggi nelle nostre Università. Per rendersene conto, basta porre fianco a fianco una memoria di Eulero e un capitolo dei Principia. Un bravo laureato in Fisica o in Matematica dei nostri giorni può riuscire con qualche sforzo a capire Eulero (purché conosca il latino) mentre solo un esperto è in grado di apprezzare Newton. Tuttavia, nonostante gli enormi progressi, la Meccanica di quel periodo appariva ancora come una collezione di teorie separate. Non esistevano né una formulazione generale né un collegamento ben definito tra i diversi princìpi. È a questo punto che entra in scena Lagrange, il principale rappresentante della terza generazione di successori di Newton. Aveva circa trent'anni meno di Eulero e d'Alembert. All'età in cui i ragazzi del giorno d'oggi escono dalle scuole medie, in un paio d'anni si era impadronito completamente di tutta la Matematica e la Meccanica prodotte nei decenni precedenti. Conosceva a fondo la recentissima teoria delle equazioni a derivate parziali, la chiave per accedere alla meccanica dei continui. Forte di queste armi, Lagrange si pose fin dall'inizio l'obiettivo di unificare tutta la Meccanica conosciuta ai suoi tempi.