La storia di Finmeccanica: a colloquio con Giovanni Paoloni
In questa intervista a Giovanni Paoloni ripercorriamo la storia di Finmeccanica e approfondiamo alcune questioni sul possibile futuro del gruppo industriale italiano.
Quali sono le origini della Finmeccanica?
Benché il gruppo Finmeccanica sia stato costituito nel 1948, in realtà affonda le sue radici in una storia che è più antica dei 150 anni dell'Unità d'Italia. L'Ansaldo - che è una delle principali aziende del gruppo sin dalla sua fondazione - nasce a Genova nel 1853 ed ha attivamente partecipato alla formazione e alla crescita dello Stato Unitario fin dal Risorgimento.
Partendo dalla nascita “ufficiale” di Finmeccanica, qual è la storia del gruppo?
Nel '48 l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) costituì la “Società Finanziaria Meccanica – Finmeccanica” come nuova finanziaria del settore meccanico. Le principali componenti erano Ansaldo, Alfa Romeo, Salmoiraghi e altre società aeronautiche, automobilistiche, motociclistiche, costruttrici di veicoli industriali e agricoli e, soprattutto, società di sviluppo dell’elettronica per la Difesa. Divenne così uno dei principali motori del miracolo economico che vide protagonista l'Italia per tutti gli anni '60, entrando anche nell'immaginario collettivo con la produzione della “Giulietta” da parte dell'Alfa Romeo.
Come affrontò Finmeccanica gli anni Settanta e Ottanta, decenni segnati dalla crisi energetica e industriale prima e dall'inflazione poi?
Con la crisi degli anni '70, iniziò una nuova fase: per affrontare i grandi mutamenti dell’economia italiana, Finmeccanica rivendicò un proprio spazio di autonomia all’interno delle partecipazioni statali, rilanciando lo sviluppo del gruppo attraverso un sistema di alleanze industriali e di grandi progetti di cooperazione internazionale. Puntò su alcuni settori strategici quali difesa e sicurezza, attività aerospaziali, elettronica correlata a tali settori e infine energia e trasporti. Nel 1980 partì la ristrutturazione di Ansaldo e la diversificazione di Ansaldo Trasporti e Ansaldo Sistemi Industriali. Nel 1990 nacque l'industria aereonautica Alenia e nel 1991 Ansaldo Energia.
Arriviamo all'ultimo ventennio di storia.
All'inizio degli anni Novanta, con le privatizzazioni dell’industria pubblica, Finmeccanica, che rappresenta un’eccellenza, venne quotata in Borsa pur restando sotto il controllo pubblico: infatti l'azionista di riferimento è il Ministero dell'Economia. Continua così la sua espansione e, dalla metà degli anni '90, acquisisce forti capacità di strategia e leadership. Guida joint-venture e consorzi, dispone di 146 siti produttivi in Italia e di 245 sedi all’estero. E' una grande realtà internazionale (oltre ai dipendenti italiani, impiega all’estero oltre 25.000 persone, in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) e punta su tre settori strategici: elicotteri, elettronica per la difesa e la sicurezza, aeronautica e aerospaziale. E' quindi la più grande realtà industriale italiana di carattere pubblico e ha una spiccata vocazione multinazionale.
Qual è il ruolo del gruppo industriale nel settore della ricerca?
Da sempre si è distinto per i suoi investimenti in ricerca nei comparti di punta (civili e militari) ma anche per gli sforzi nella creazione e nel successo dell'aerospaziale italiano. A differenza di gran parte dell’attuale realtà industriale italiana, rappresentata da piccole-medie imprese poco interessate alla ricerca, Finmeccanica rappresenta un operatore che investe molto in ricerca e innovazione. Se guardiamo all'insieme dell’investimento italiano in ricerca, sia pubblico che privato, Finmeccanica rappresenta il principale investitore nazionale nella ricerca industriale contribuendo in misura molto significativa al dato complessivo del Paese, che zoppica soprattutto su questo fronte.
Le cronache di questi giorni dipingono un quadro drammatico. Che cosa ne pensa?
Non ho la competenza per valutare i comportamenti più o meno virtuosi della dirigenza di Finmeccanica. Però, se andiamo a guardare la storia recente del gruppo, il bilancio secondo me è positivo: grandi investimenti e ricavi in settori chiave possono essere un volano per la ripresa economica. Quindi, le voci su una possibile cessione o privatizzazione del gruppo Finmeccanica rappresentano a mio avviso un motivo di allarme per il futuro del nostro Paese.
Quali sarebbero le conseguenze della fuoriuscita dall'orbita pubblica del colosso italiano?
Perderemmo un’enorme possibilità di crescita. Già in passato abbiamo perso la grande industria in settori come quello chimico, in cui avevamo una presenza italiana molto importante. Se anche questa partita finisse male, allora dovremo rinunciare a un protagonista strategico per la politica economica nazionale. La cessione ai privati, nella storia delle privatizzazioni italiane, ha in genere significato una riduzione drastica degli investimenti in ricerca e innovazione e, nel caso di Finmeccanica, questo potrebbe significare un declino del ruolo internazionale svolto finora o il suo passaggio sotto bandiere non italiane.
Non è la prima volta che Finmeccanica si trova nell'occhio del ciclone.
Già in passato ci sono state delle crisi e si è parlato di privatizzazione come possibile via d'uscita. Qui si entra in un discorso difficile e ricco di scenari ma è certo che Finmeccanica, in quanto azienda tutta italiana con un ruolo importante in settori strategici rilevanti, non solo incontra le fisiologiche dinamiche della concorrenza ma suscita forse anche qualche prevenzione di altra natura. Non si dimentichi che ha nell'azionariato anche un fondo sovrano libico, sia pure con una quota minima (il 2,01% n.d.r.).
Possiamo affermare che, comunque vada, la soluzione di privatizzare o scorporare Finmeccanica è quella meno conveniente?
Penso che sarebbe una soluzione sbagliata. Per mantenere il controllo italiano e avere un grado elevato di sviluppo è meglio che Finmeccanica resti pubblica e, secondo quel che accerteranno i giudici, cambi dirigenza.
(Intervista a cura di Jacopo De Tullio)