Le ceneri di Gramsci
Le Ceneri di Gramsci
introduzione di Pietro Nastasi
Pier Paolo Pasolini (1922-1975), poeta e scrittore di origini friulane, giunse a Roma nell'immediato dopoguerra, con l'accusa infamante – scriveva nel trentennale della morte Antonio Debenedetti – di «corruzione di minori» (“Trent'anni dopo”, Corriere della Sera, 7 settembre 2005). Vi arrivava, fuggendo da Casarsa, il 28 gennaio 1950, insieme alla madre Susanna – che per aiutarlo farà la governante in una casa signorile – e insieme alla moltitudine di pellegrini dell'anno santo. “Deve farlo”, scrive ancora Debenedetti, perché pesa sulla sua «disperata vitalità» di poeta e di militante del PCI, appena escluso però dal Partito con motivazioni moralistiche, una denuncia «per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico». Si è anche voluto colpire, attraverso questa grave accusa, un astro nascente della letteratura e della politica, mortificandone il carisma. Più tardi il processo contro questo «peccatore», colpevole anzitutto del suo volersi a ogni costo sentire «vivo fra i vivi», si concluderà «con una condanna a tre mesi con la condizionale per atti osceni» mentre cadrà «l'imputazione di corruzione di minori». Dietro il fuggiasco, costretto a dibattersi «in una catena di vergogne», cresce intanto il poeta dotato di una formidabile attrezzatura culturale, dovuta anzitutto ai maestri dell'università di Bologna. È del 1955 il romanzo Ragazzi di vita, è di due anni dopo la raccolta di versi Le ceneri di Gramsci.
La raccolta, una sorta di romanzo in versi, è organizzata in terzine, con poche rime e scarsa musicalità, ma sempre intense e colme di vitalità. Pasolini vi appare come un grandissimo manipolatore della lingua scritta, e tutto ruota sulla vita politica italiana e sulla vita dell'autore. La poesia che dà il titolo al libro è forse la migliore ed andrebbe letta sotto i cipressi del cimitero protestante di Piramide in Roma, di fronte alla tomba di Gramsci.
Della raccolta pasoliniana, segnaliamo due poemetti: «Le ceneri di Gramsci», che dà il titolo al volume, e «Il pianto della scavatrice», che colpì la fantasia di Leonardo Sinisgalli, l'ingegnere-poeta di Montemurro, il quale ne fece una presentazione nella rivista della Finmeccanica, Civiltà delle Macchine, l'anno stesso della sua pubblicazione (1957, n. 4 – luglio-agosto – p. 75, rubrica: Semaforo).
Pasolini davanti la tomba di Gramsci
Le ceneri di Gramsci (1954)
Come si è anticipato, Antonio Gramsci – grande dirigente del comunismo italiano – è sepolto in Roma, nel cosiddetto “Cimitero degli Inglesi” (ora “Cimitero acattolico di Roma”), fra Porta San Paolo e il quartiere del Testaccio, non lontano dalla tomba del poeta inglese Shelley. È il pomeriggio di una giornata uggiosa di maggio e, davanti alla tomba di Gramsci, Pasolini riflette sulla sua vita di uomo già maturo, con alle spalle gli stenti dei primissimi anni romani, che sente il bisogno di fare il punto, perché la sua vita è cambiata – ora è «vestito dei panni che i poveri adocchiano in vetrine» – e anche l'Italia intorno a lui sta cambiando.
Della raccolta, abbiamo scelto di presentare, come invito alla (ri)-lettura, la prima strofa e una parte della terza, che ci sono sembrate le più idonee per questo “Giorno della Memoria” 2013:
– I –
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l'abbaglia
con cieche schiarite… questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio… Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
tra le vecchie muraglie l'autunnale
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri – non padre, ma umile
fratello – già con la tua magra mano
delineavi l'ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d'incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
la sua giornata, mentre intorno spiove.
– III –
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l'urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d'adolescente di sesso con morte...)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
la tua tensione, sento quale torto
– qui nella quiete delle tombe – e insieme
quale ragione -– nell'inquieta sorte
nostra – tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
Ecco qui ad attestare il seme
non ancora disperso dell'antico dominio,
questi morti attaccati a un possesso
che affonda nei secoli il suo abominio
e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
quel vibrare d'incudini, in sordina,
soffocato e accorante – dal dimesso
rione – ad attestarne la fine.
Ed ecco qui me stesso... povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in vetrine
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui stranito
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
del mantenermi in vita; e se mi accade
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese: e ora, scisso
– con te – il mondo, oggetto non appare
di rancore e quasi di mistico
disprezzo, la parte che ne ha il potere?
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
perché non scelgo. Vivo nel non volere
del tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio – nella sua miseria
sprezzante e perso – per un oscuro
scandalo della coscienza…
Pier Paolo Pasolini