L'IAC-CNR di Roma
Un bilancio provvisorio, tra successi ed incertezze, nell'intervista a Michiel Bertsch (Direttore dell'IAC) e a Roberto Natalini, dirigente di ricerca presso lo stesso Istituto.
La sede dello IAC in viale del Policlinico a Roma
Come è organizzato oggi l'IAC? |
(M. BERTSCH) L'IAC ha oggi quattro se di, a Roma, Bari, Firenze e Napoli. Vi la vorano complessivamente una cinquantina di ricercatori, più un numero variabile (ma in alcuni momenti quasi equivalente) di collaboratori, postdoc e dottorandi.
L'Istituto si occupa di numerosi progetti di Matematica applicata, in un senso direi molto inclusivo e avanzato del termine. Sarebbe lungo elencare tutti i temi trattati ma questi comprendono, tra gli altri, la dinamica dei sistemi complessi, lo studio dei materiali nuovi, la modellizzazione del traffico automobilistico, il controllo robotico, la Matematica finanziaria, l'elaborazione di immagini biomediche, la Biomatematica, l'analisi del degrado dei beni culturali, la gestione e l'analisi dei dati da telerilevamento satellitare. Questi studi sono inquadrati in progetti del CNR che afferiscono a ben 6 diversi Dipartimenti. Insomma, un panorama pienamente interdisciplinare che stenta però a ritrovarsi nella presente organizzazione del CNR.
Nel 1927, Mauro Picone fondava a Napoli l'Istituto per le Applicazioni del Calcolo, che è dunque il più antico Istituto esclusivamente dedicato alla Matematica applicata del mondo. Non è sorprendente, visto il ritardo che ancora oggi vive questo settore in Italia? |
(R. NATALINI) Sicuramente. Quando qual che anno fa lo venimmo a sapere. quasi non volevamo crederci. Tra l'altro, l'informazione ci fu "girata" dal grande fisico-matematico Grigory Isaakovich Barenblatt che, sincronicamente, compie anch'egli ottant'anni in questi giorni. La nostra sorpresa veniva dal fatto che la Matematica italiana ha una grande tradizione teorica, che raramente ha prodotto risultati nel settore applicativo (se vogliamo, con l'eccezione di Volterra). Va comunque detto che sicuramente la Matematica tra le due guerre mondiali era molto diversa da quella odierna. Non esistevano i calcolatori elettronici e, di conseguenza, anche gli orizzonti applicativi erano spesso alquanto limitati. In molti casi, era difficile persino risolvere una semplice equazione differenziale ordinaria non lineare o sistemi algebrici anche di dimensioni contenute. Insomma, quando oggi parliamo di Matematica applicata, intendiamo veramente qualche cosa di molto diverso. Però, anche in quel contesto, Picone fu molto bravo a capire le potenzialità implicite nella Matematica e anche bravo a intuire che presto i mezzi di calcolo avrebbero permesso quel cambiamento radicale che poi è avvenuto. Purtroppo, dopo la guerra, Picone (e più in generale la Matematica italiana) non seppero, o meglio non poterono, partecipare a quello sviluppo tecnologico e scientifico che avrebbe visto protagonisti in primo luogo gli USA, ma anche Gran Bretagna, Francia e Germania, per tutta una seria di ragioni che sarebbe lungo analizzare ma che ancora oggi influenzano il nostro lavoro. Per dirne so lo due: la scarsa propensione all'innova zione delle nostre industrie e il corrispondente scarso credito di cui, più di una volta, godono i matematici applica ti presso la comunità accademica.
Leggendo i documenti di presentazione dell'Istituto (che si trovano tra l'altro nel sito della sede centrale, http://www.cnr.it/istituti/DatiGenerali.html?cds=004 ), spesso si parla di "un ritorno alle origini" ma anche di un "Istituto moderno di Matematica applicata " . Le vecchie idee di Picone erano poi così vi cine alla Matematica applicata moderna? Quali sono le caratteristiche di un Istituto moderno? |
(M. BERTSCH) Picone fu uno dei primi in Italia a capire che per rendere la Matematica veramente utile, per lo sviluppo tecnologico, bisognava investire in primo luogo in ricerca di alto livello. Lo testimonia l'eccellenza della sua scuola, da Caccioppoli a De Giorgi, solo per citare due nomi. Questo per il suo contributo, che per l'epoca fu sicuramente innovativo. È chiaro però che oggi i problemi sono molto diversi.
E allora bisogna fare una considerazione di fondo. I problemi "veri", quelli che realmente si indirizzano ai bisogni reali della scienza, della società e dell'industria – insomma le grandi sfide scientifiche e tecnologiche – sono spesso mol to complessi. Molti, a partire proprio dalla grande industria, continuano a pensare che questi problemi si possano risolvere con la Matematica esistente. Anzi, peggio: con pacchetti software commerciali, spesso usati come vere e proprie scatole nere. Insomma, in molti casi la Matematica applicata viene vista come una specie di servizio di trasferimento, dalla ricerca pura alla realtà economica e industriale, senza un gran contenuto scientifico. In realtà, appena si cominciano a considerare meglio dei problemi realmente applicativi, ci si rende conto di due cose.
La prima è che la Matematica può dare, su ogni specifico problema, un contributo importante e profondo, capace a volte di far fare un salto di qualità ai metodi usati per risolverlo. E questo anche per problemi che, a prima vista, sembrerebbero difficili da matematizzare. Per esempio, se parlate con un esperto di restauro, difficilmente gli verrà in mente che la Matematica potrebbe – come in effetti può – fornirgli strumen ti diagnostici utili per il suo mestiere. Se, anche solo vent'anni fa, aveste parlato con un medico, avreste sicuramente avuto difficoltà a fargli capire che la Matematica è uno strumento indispensabile nella ricerca sul cancro.
La seconda cosa è che spesso un vero problema applicativo richiede l'uso di competenze matematiche estremamente avanzate e per di più in diversi set tori. Bisogna connettere domini fino ad allora distinti e spesso inventarsi nuove teorie per rispondere a nuove domande. Insomma, ci vogliono matematici eccellenti e con una grande apertura mentale. Solo in questo caso può esserci quel salto di qualità di cui parlavo prima.
Potete fare un esempio concreto dell'interazione ricerca innovativa - applicazioni "vere"? |
(R. NATALINI): Un settore in cui, da tempo, i matematici hanno dato contributi interessanti è senz'altro quello del traffico automobilistico. Con approcci diversi, si sono cercate di modellizzare e poi di simulare le diverse scale spaziali e temporali del fenomeno. Per esempio, se si vuole disegnare una rete, i ricercatori operativi utilizzano i modelli statici della teoria delle code. Invece, ad un livello microscopico, è possibile utilizzare l'approccio discreto, modellizzando cioè il flusso dei singoli veicoli, per studiare dinamicamente l'evolversi delle situazioni di congestione.
Oggi, con l'utilizzo della tecnologia satellitare e i sistemi di guida assistita che diventano ogni giorno più efficienti, si prospetta un diverso ruolo per la modellizzazione del traffico. In pratica, sarebbe già oggi possibile dotare i veicoli di meccanismi di guida assistita che, oltre a ottimizzare il percorso, evitando possibili ingorghi, permetterebbero di ottimizzare lo stile di guida, evitando così troppi cambiamenti di velocità con un conseguente risparmio di carburante (in alcuni casi del 20/30%) e anche una maggiore fluidità del traffico.
In questo nuovo scenario, sono diventati molto utili dei modelli intermedi che descrivono l'evoluzione nel tempo della densità dei veicoli. Questi modelli, che esistevano già dagli anni '50 (introdotti da Lighthill e Whitham), avevano però un difetto di fondo: funzionavano abbastanza bene su tratti di strada isolata, come autostrade o tangenziali, ma non erano affidabili per le reti di strade con intersezione e questo per difficoltà teoriche, connesse all'unicità e alla stabilità delle soluzioni. Da qualche anno, grazie al contributo del gruppo di ricerca guidato da Benedetto Piccoli presso l'IAC, le maggiori difficoltà matematiche sono state risolte e questi modelli stanno cominciando ad essere adot tati a livello internazionale.
Un altro esempio è il lavoro che alcuni colleghi della sezione di Napoli, sotto la guida di Claudia Angelini, stanno svolgendo nell'elaborazione di algoritmi statistici avanzati per la Genetica, in stretto contatto con biologi e genetisti. Questo studio è iniziato da poco e si occupa dell'identificazione di geni differenzialmente espressi in esperimenti di serie temporali con microarrays, per arrivare all'individuazione di fattori di tra scrizione in gruppi di geni coregolati.
Quali sono le difficoltà principali per mettere in pratica le vostre idee? |
(M. BERTSCH) Partiamo dalle cose positive. Anche se la formazione, essenzialmente intesa come formazione post-laurea, non sarebbe la missione principale dell'Istituto, riteniamo che sia impossibile fare ricerca senza giovani. No nostante le difficoltà della ricerca italiana, e una certa crisi delle "vocazioni", segnalata da quasi tutti i dottorati di Matematica in Italia, il nostro Istituto ha visto in questi ultimi anni un costante flusso di studenti, dottorandi e anche ricercatori postdoc, italiani e stranieri. Tutti di alto livello e di grandi motivazioni. Le nostre ricerche creano un note vole entusiasmo nei giovani, per la novità dell'approccio e anche per la con cretezza degli obiettivi. Nel recente passato, quando ce ne è stata data la possibilità, siamo riusciti ad essere molto competitivi sul mercato in termini di reclutamento. Le persone che si formano da noi di solito riescono a trovare sbocchi interessanti: nell'Università, presso lo stesso CNR, ma anche nel privato, come ad esempio nei centri studi delle banche.
Ma i problemi ci sono e non sono certo trascurabili. In primo luogo, la crisi che sta attraversando il CNR a partire almeno dal 2003, con l'inizio del processo di riforma innescato dalla Moratti e che sta in parte rallentando la nostra crescita. Non è un caso che, proprio nel 2003, un folto gruppo di matematici del CNR – molti dei quali dell'IAC – abbia scritto una lettera all'allora Ministro per segnalare il disagio dell'intera comunità interna verso quel progetto di riforma che, di fatto, non prevedeva un posto per le Scienze matematiche. La realtà ci ha dato purtroppo ragione. L'attuale struttura è estremamente dispersiva e burocratica e non offre nessun reale vantaggio ai ricercatori. Il lavoro di tutti i giorni è appesantito da un'assurda centralizzazione, che spesso soffoca molte iniziative. Un ultimo esempio di questo processo è dato dal bilancio di quest'anno che ha tolto fondi agli Istituti per trasferirli di fatto sui capitoli di spese centralizzati. Noi abbiamo appena subito un taglio del 35% dei finanziamenti ordinari, molto superiore a quello subito dall'amministrazione centrale.
(R. NATALINI) Il nostro Istituto ha oggi anche un altro grosso problema. La sede principale di Roma, in viale del Policlinico, è stata venduta dal CNR nel quadro delle discusse cartolarizzazioni. La vendita presenta vari aspetti preoccupanti. In primo luogo, il prezzo di vendita di 7,2 milioni di € sembra inferiore di circa il 30% rispetto al prezzo di mercato. Una svendita, dunque, anche se la mancanza di trasparenza sull'operazione non facilita la comprensione dei dati del problema. Inoltre, il CNR ha riaffittato il palazzo (sic!) ad un prezzo molto elevato (oltre 320.000 € l'anno, più un contributo dello stesso ordine di grandezza del Ministero), che viene ceduto come interessi alla società finanziaria che lo ha acquistato. Insomma, questi investitori si ritrovano ad aver acquistato il palazzo ad un prezzo molto basso e ricevono complessivamente dal loro investimento oltre il 7% (sic!) di interesse annuo! L'operazione, anche se ha risolto dei problemi di cassa contingenti, alla lunga si risolverà in una perdita finanziaria notevole.
Questo per l'aspetto economico. Quello che ci preoccupa di più è però l'aspet to scientifico. Già si parla infatti di trasferire l'Istituto in una nuova sede (sembra ormai certa l'area di ricerca di Montelibretti, a quasi un'ora dal centro di Roma) dove si starebbe già studiando la costruzione di nuovi edifici. Ora, al di là della maggiore o minore comodità per il personale, il problema che vediamo è la possibilità concreta di un declino senza precedenti dell'Istituto o peggio la sua scomparsa. Una buona parte del nostro lavoro applicativo viene svolto dai giovani che operano presso l'Istituto, spesso con retribuzioni molto basse e molti sacrifici. Inoltre, molti dei nostri contatti con altri ricercatori (ma anche con la pubblica amministrazione) si svolgono con facilità grazie alla vicinanza delle sedi. Un istituto di Matematica non ha bisogno di grandi spazi e nemmeno di costose attrezzature. Però, ha bisogno di giovani, di contatti, di poter facilmente interagire con altre realtà, di poter ospitare seminari e corsi. Di essere quindi in posizione centrale e ben collegata con i mezzi di trasporto. Se dovessimo essere trasferiti in una posizione troppo disagiata, temo che molte delle nostre attività potrebbero cessare definitivamente. A me sembra incredibile che la città di Roma, che tanto interesse ha mostrato recentemente per la Matematica in tutte le sue forme, dopo 80 anni perda un'istituzione che pure le ha dato molto prestigio scientifico e che potrebbe essere di aiuto nella risoluzione per molti dei problemi di questa città, dal traffico al degrado dei monumenti.
(M. BERTSCH) Ci sono altre difficoltà. La principale è forse il problema delle risorse umane. Sei anni fa, abbiamo bandito gli ultimi concorsi aperti. Da allora, non abbiamo più avuto un posto. I dottorandi bravi trovano posto altrove; gli studenti bravi cominciano a vedere il nostro Istituto come un vicolo cieco. I nostri giovani ricercatori trovano avanzamenti di carriera nell'Università – e questo sarebbe anche ammissibile – ma nessuno viene chiamato a sostituirli. In 3 anni, abbiamo perduto 4 ricercatori che sono divenuti professori associati, senza avere nulla in cambio. Per tenerceli avremmo dovuto avere gente meno brava, forse... Sul nostro Istituto, si sommano gli effetti della crisi del CNR con gli effetti di indebolimento specifico che di fatto la riforma Moratti ha creato per noi. Tempo fa, scrissi al Ministro Mussi per porre nuovamente il problema delle risorse per il rilancio della Matematica nel CNR ma non ho ancora ricevuto risposta.
(R. NATALINI) Un altro aspetto problematico riguarda la mancanza quasi totale di ricercatori di Matematica nel privato. Noi abbiamo bisogno di interlocutori validi, che possano dialogare con i nostri ricercatori. L'industria non viene da noi spesso perché non si rende conto di quello che possiamo offrire, sia in termini di qualità che di costo finanziario. Per fare un esempio, per trovare chi fosse interessato ai nostri algoritmi di prezzaggio delle opzioni finanziarie siamo dovuti andare in Francia, entrando in consorzio con le banche di quel Paese. In Italia nessuna banca, nonostante alcuni contatti informali, si è ancora di mostrata interessata. In questo senso, la formazione può aiutare, ma non basta il nostro sforzo. Ci deve essere un più generale cambiamento di mentalità.
Quali sono le sfide principali del futuro? |
(R. NATALINI) Sicuramente uno dei settori dove la Matematica potrà incidere più direttamente nel futuro prossimo è quello delle applicazioni biologiche. Assistiamo ad una vera e propria esplosione di richieste di modelli sempre più dettagliati e pertinenti che aiutino i biologi, e ad un altro livello anche i medici, ad organizzare l'immensa mole di dati che è oramai a loro disposizione. Senza modelli è difficile capire come certi meccanismi funzionino, sia a livello di organizzazione cellulare che a livello subcellulare, ed è impossibile soprattutto organizzare queste informazioni utilizzando le corrette scale spaziali e temporali. Dai tumori all'HIV, ai meccanismi di riparazione neuronale mediante cellule staminali, ai problemi di trasmissione di segnali all'interno della cellula, la Matematica può offrire ai biologi degli strumenti veramente innovativi per risolvere i tanti interrogativi rimasti aperti e che richiedono una conoscenza quantitativa dei problemi e del loro sviluppo dinamico nel tempo. Stiamo lavorando in questa direzione, ma siamo solo agli inizi.
(M. BERTSCH) Sono perfettamente d'accordo. Tante altre sfide si potrebbero aprire nel settore delle nanotecnologie, del risparmio energetico, del controllo robotico o della salvaguardia dei beni culturali. Ma credo che quello che prima debba cambiare sia il quadro di riferimento culturale e politico. La Matematica applicata è oggi una realtà interdisciplinare che dovrebbe essere messa al centro di un rilancio della scienza. Al di là della singola esperienza dell'IAC, noi crediamo che sia necessario che la società si renda conto di quanto le scienze matematiche possano offrirle. In altri Paesi europei, questo cammino è cominciato da tempo. Basti pensare ai grossi centri che si stanno formando altrove, come il Centro di Ricerca Matheon di Berlino o il Centre of Mathematics for Applications di Oslo. Oppure i massicci investimenti che gli inglesi, i francesi e i tedeschi stanno facendo nel settore della Biomatematica. Sono belle esperienze, che già stanno dando i loro frutti. Da noi, non è ancora troppo tardi per recuperare il tempo perduto.
Sull'IAC si può vedere il fascicolo monografico curato da P. NASTASI, "I primi quarant'anni di vita dell'Istituto per le Applicazioni del Calcolo "Mauro Picone", Bollettino dell'Unione Matematica Italiana, Dicembre 2006/2. |