Matematica e finanza: un disagio etico
La recente crisi finanziaria e la successiva crisi economica e sociale hanno richiamato l’attenzione sul ruolo che la Matematica ha giocato, a partire dagli anni ’70, nella finanza internazionale. I matematici possono essere considerati responsabili della crisi? La domanda, sollevata da diversi media, ha imposto nell’agenda dei matematici il tema dell’etica implicata dalla loro disciplina ma finora questo dibattito si è svolto sotto voce. Le critiche pubbliche sono state poche e la maggior parte dei commenti ha riguardato più che altro il ruolo tecnico svolto dalla Matematica in campo finanziario. Lo scopo di questo articolo è di proporre qualche riflessione che sottolinei invece il ruolo politico e sociale della nuova Matematica finanziaria. Mi riferisco al caso francese ma, verosimilmente, la stessa analisi è valida per molti altri Paesi occidentali.
Un disagio di lunga data, che peggiora improvvisamente
Una versione preliminare di questo articolo è stata rifiutata dalla Gazette des Mathématiciens, rivista pubblicata dalla Société Mathématique de France, sulla base del giudizio che “i nostri lettori potrebbero provare una certa noia verso questioni di Matematica finanziaria”. C’è disagio nell’aria, ma parlarne potrebbe essere noioso. Eppure il disagio dei matematici francesi verso l’applicazione della loromateria alla finanza non è certo una novità. Uno dei suoi primi sintomi risale già a qualche anno fa. Durante un incontro del marzo 1997 (sponsorizzato tra l’altro dalla Société Mathématique de France) Ivar Ekeland, che presumibilmente voleva mostrare come la Matematica potesse essere particolarmente efficace, fece la seguente asserzione: “Negli ultimi 15 anni, il flusso di azioni a livello mondiale è cresciuto di 10.000 volte”. Rimasi allibito da questa affermazione e ancora più dall’assenza di reazioni da parte della platea di eminenti matematici che era presente: dopo tutto, se gli scambi di beni e servizi si fossero veramente incrementati di 10.000 volte, sicuramente ce ne saremmo accorti! Doveva quindi trattarsi di una crescita parassitaria del settore finanziario avvenuta – secondo Ekeland – proprio grazie alla Matematica.
Dopo è arrivata la crisi finanziaria ed economica, a cui sono seguite numerose polemiche sui giornali a proposito del ruolo e della responsabilità della Matematica. Ho cercato di fare del mio meglio per seguire queste discussioni (e non è cosa semplice per chi non conosce le tecniche della Matematica Finanziaria e che conosce ben poco la stessa finanza). Molte delle questioni sollevate e molti degli argomenti proposti mi sono sembrati abbastanza fuorvianti rispetto al tema principale. Come Ivar Ekeland dice nella sua notevole relazione “Modèles économiques emorales” del gennaio 2009, uscita su Pour la Science, l’Economia (e quindi la finanza, pur matematizzata) è solo una tecnica e sta alla politica sceglierne il particolare utilizzo. Come utilizzarla, e per chi, è proprio la questione cruciale.
Per quali interessi si è sviluppata la Matematica finanziaria?
Le mie osservazioni prendono spunto da una conferenza tenuta durante un Convegno di Matematica finanziaria, organizzato nel febbraio 2005 dall’Académie des Sciences proprio sul ruolo della Matematica nella finanza: “Dando un’occhiata al mercato finanziario europeo come descritto dalla fluttuazione dell’indice Eurostoxx negli ultimi 12mesi, si può vedere una traiettoria molto irregolare (…). Vista l’incertezza che regna, il mercato offre molte possibilità di piazzare delle scommesse sul comportamento futuro dell’indice. Per esempio, si può comprare o vendere un contratto che dà diritto al valore dell’indice sei mesi più tardi. Vi è infatti un incremento di prodotti derivati, come opzioni o certificati, che permettono di configurare arbitrariamente queste scommesse finanziarie. Qual è il ruolo della Matematica, e in particolare della Teoria della probabilità, in questo contesto? Come per ogni gioco d’azzardo, la Matematica non può certo aiutare a vincere una scommessa. In particolare, non offre nessun metodo per calcolare in anticipo il risultato. Dall’altra parte, può aiutare a comprendere la natura della scommessa, fornendo metodi per decidere se è vantaggiosa, buona o accettabile e a quantificarne il rischio. Oggi giorno la Matematica sta intervenendo sempre di più nella costruzione di queste scommesse, ovvero nella creazione di nuovi prodotti finanziari”.
Si può vedere come il principale argomento della Matematica finanziaria sia la speculazione. Il precursore di questa disciplina, Louis Bachelier, era stato sufficientemente onesto da intitolare “Théorie de la spéculation” la sua tesi del 1900. La domanda “per quali interessi è stata sviluppata la Matematica finanziaria” ha dunque una sola, e ineludibile, risposta: nella forma attualmente consolidata, la Matematica finanziaria è essenzialmente mirata all’acquisizione di tecniche per incrementare il tasso dei profitti finanziari e rendere più sicure le operazioni speculative dei vari attori finanziari (azionisti, banche, mercati, manager detentori di un portafoglio, fondi, servizi assicurativi…). Per essere sicuri, potremmo proporre altre risposte: permettere agli assicuratori di coprire nuovi rischi, facilitare i prestiti a privati, compagnie, organizzazioni e così via. Ma basta scavare un po’ e subito si trova che il punto è sempre quello: aumentare i profitti speculativi e renderli più sicuri. In tutti i testi di Matematica finanziaria è sempre difficile trovare un riferimento agli obiettivi della disciplina. Si parla sempre e solo di questioni che rimangono tecniche: i modelli proposti si adattano alla realtà? Sono affidabili, in che limiti? Possono essere migliorati? Hanno fallito rispetto a certi obiettivi? Chi li utilizza è conscio delle loro limitazioni? Queste domande mi sembrano tutto sommato secondarie se viste alla luce del principale effetto che la Matematica finanziaria ha prodotto: permettere alle organizzazioni finanziarie e ai loro azionisti di raccogliere dei profitti esorbitanti, in doppia cifra. Questo è stato, e tuttora è, il suo principale obbiettivo. La cosa appare lampante dalla lettura della stampa prima della crisi. Quando leggiamo su Le Monde del 13 giugno 2007 che “nel 2006 i banchieri e gli assicuratori hanno finanziato 13 posti all’Università” e che “gli operatori di borsa francesi sono sbarcati sui mercati di Londra e New York”, e teniamo bene in mente i salari e i bonus che questi operatori hanno poi percepito, possiamo ben immaginare che le banche sapessero dove stavano andando a parare. L’unico interesse è sempre stato il profitto, non certo la filantropia!
Dov’è la responsabilità dei matematici?
Come speculare “meglio”, più sicuramente e quindi con maggior profitto: ecco cosa le varie teorie messe a punto dai matematici stanno modellizzando. Ci si può forse giustificare dicendo: “Oh, ma non sono certo loro a usare direttamente questi modelli, è un’intera catena. Prima vengono i matematici, poi ancora gli analisti finanziari, poi gli operatori di borsa”? No! Guardando ai programmi di Matematica finanziaria di varie Università francesi, ci si accorge immediatamente che stiamo insegnando agli studenti proprio ad utilizzare questi modelli, inclusi gli aspetti più legati al mercato finanziario. Basta leggere i massaggi in internet rivolti agli studenti intenzionati a diventare analisti finanziari. Non c’è alcun dubbio sulla responsabilità dei matematici nell’esplosione della speculazione finanziaria degli ultimi trent’anni. Ivar Ekeland ha visto giusto: è grazie alla Matematica che ci si è potuti spingere così lontano. Ma con quali conseguenze per la società?
Excursus storico sulla lotta di classe per la divisione del plusvalore
È utile ricordare il generale contesto economico, valido sia per la Francia che per gli altri Paesi dell’Europa occidentale: ai trenta gloriosi anni 1945-1975 durante i quali l’economia, sviluppatasi nel segno delle idee politiche ereditate della seconda guerra mondiale, aveva permesso un certo miglioramento nelle condizioni di vita dei lavoratori salariati e una restrizione dei margini di profitto dei capitalisti, sono seguiti 25 anni in cui l’esito della lotta di classe per la divisione del plusvalore si è invece rovesciato interamente a svantaggio dei salariati: circa 10 punti del valore aggiunto in Francia sono stati trasferiti dai salari ai profitti dei capitalisti. Che ruolo ha giocato la Matematica in questa trasformazione nella suddivisione del plusvalore? Il settore finanziario ha iniziato a mietere superprofitti (in larga misura proprio per merito della Matematica finanziaria) fino al punto da suscitare l’invidia del comparto produttivo, i cui azionisti (alcuni dei quali partecipavano contemporaneamente al settore finanziario) volevano anche loro godere di profitti in doppia cifra. L’intensificazione dello sfruttamento del lavoro è stata un’inevitabile conseguenza. La produttività del lavoro si è alzata bruscamente (e non solo in virtù dei progressi tecnici, come molti studi sullo “stress lavorativo” sembrerebbero mettere in luce); i salari hanno ristagnato; anche le industrie più prospere si sono trovate costrette ad alleggerire i libri paga, così da tagliare i costi; molte ditte sono state date in appalto o addirittura subappaltate.
Le agenzie politiche europee (come le agenzie finanziarie nazionali e internazionali) hanno incoraggiato la riduzione dei costi del lavoro tramite la deregolamentazione e l’abbandono delle politiche di previdenza sociale; la disoccupazione è cresciuta, i lavori temporanei e precari sono aumentati, la povertà si è diffusa, la spesa sociale si è ristretta. È noto dove questo processo stia portando: la perdita di potere d’acquisto da parte di un’importante componente dei lavoratori (i disoccupati, i lavoratori sottopagati e quelli che lavorano a intermittenza, quindi anche qualcuno della classe media) ha causato una caduta dei consumi da cui una crisi della domanda, sovrapproduzione, bancarotta e in breve la prevedibile crisi del capitalismo con una temporanea flessione dei tassi di profitto in certi settori e la distruzione di una parte del capitale. La classica contromisura presa in questi casi dal capitale (la stessa adottata prima della depressione del 1929) è l’espansione dell’indebitamento: individui, ditte e addirittura Stati sono incoraggiati ad aumentare il loro debito per poter assorbire i beni e i servizi prodotti dall’economia. Questa è sempre stata una “ritirata in avanti”, un’instabilità dinamica del cui effetto nessuno può dire niente con certezza (nonostante ci siano stati, specialmente dopo l’esplosione della “bolla tecnologica”, parecchi economisti a suonare il campanello d’allarme). Anche in questo caso, le tecniche della Matematica sono state ampiamente usate per supportare questo salto senza precedenti nel credito e mitigare i rischi dei prestatori attraverso un apparato di complessi prodotti derivati che sono andati ben al di là di qualsiasi livello di guardia in termini di diffusione e tossicità.
La causa immediata del crack economico è stata la crisi dei subprime. Il profondo (e ingestibile)meccanismo di funzionamento del capitalismo è stato invece la causa ultima del collasso (di questo, di quelli del passato e di quelli che seguiranno se nulla verrà fatto per sostituire il modello capitalista). In ogni caso possiamo vedere come la Matematica finanziaria abbia giocato un ruolo tutt’altro che secondario,mettendosi al servizio di una sola delle parti impegnate nella lotta di classe.
Nella lotta di classe, i matematici devono schierarsi dalla parte dei proprietari e degli azionisti?
Questo è il vero dilemma etico. L’odierna Matematica finanziaria, rivolta essenzialmente a incrementare i tassi di profitto degli azionisti, non dovrebbe essere messa sotto il controllo della comunità matematica? In un Paese come la Francia dove la ricerca e l’educazione sono attività essenzialmente pubbliche, è forse una scelta eticamente condivisibile quella delle varie istituzioni – il Ministero dell’Educazione, il Centre National de la Recherche Scientifique, le Università, le Scuole di Ingegneria, l’Agence nationale pour la Recherche – di finanziare mediante borse di studio, assegni di ricerca, salari governativi e tirocini studenteschi una così sfacciata partigianeria nella lotta di classe? È possibile che le varie comunità matematiche, così impegnate nella salvaguardia dell’immagine della Matematica, continuino a ignorare questo problema? Finora, almeno a quanto traspare dal loro pamphlet Les métiers des mathématiques, sembrano aver tacitamente assunto che l’intervento della loro professione a favore di un unico schieramento della lotta di classe sia accettabile, dato che questo lato è quello che sembra offrire maggiori opportunità di lavoro ai loro studenti.
Ho parlato della Francia, ma le stesse considerazioni valgono evidentemente in tutte le nazioni in cui viene sviluppata la nuova Matematica finanziaria. Sicuramente i matematici hanno il diritto, così come gli altri cittadini, di difendere individualmente la crescita dei profitti degli azionisti e lo sfruttamento della classe lavoratrice. Hanno tutto il diritto di mettere le loro conoscenze e il loro talento matematico al servizio dei potenti mediante lo strumento della Matematica finanziaria. Ma veramente la nazione deve pagare per questo? È giusto che molte Università e molti Istituti di ricerca paghino per questa attività partigiana e orientino volontariamente verso questa gli studenti?
A me sembra chiaro che l’unica risposta coerente con la nostra etica professionale sia NO! Ogni attività matematica schierata nella lotta di classe deve essere distinta nelle modalità, e separata nei luoghi, da quelle attività che formalmente organizziamo, insegniamo e finanziamo pubblicamente nelle aule universitarie e nei laboratori.