Peano e Vailati di fronte alla filosofia (parte 4): La definizione in Vailati e Peano: un confronto

Peano ha riconosciuto che la definizione è alla base della struttura della conoscenza; “si trattava, afferma Kennedy, dell’unico problema ‘filosofico’ che avrebbe continuato ad interessarlo fino alla fine”. Su ciò esiste una sostanziale unità di giudizio fra Peano e Vailati. Secondo il filosofo cremasco, infatti, ogni affermazione che abbia lo scopo di determinare il senso di un dato segno o locuzione è una definizione, e nel campo delle scienze deduttive esistono solo definizioni nominali, come afferma anche Peano: “In matematica tutte le definizioni sono nominali”. Ora, mentre Peano nega che la definizione aristotelica sia valida nel discorso matematico, ossia scientifico, Vailati sostiene la tesi opposta.

L’affermazione di Peano è inequivoca: “Un’ulteriore osservazione sulla forma delle definizioni precedenti: i logici, seguendo Aristotele, dividono le definizioni in reali e nominali. Tutte le definizioni sono nominali. Essi pongono la regola che le definizioni procedano ‘per genus proximum et differentiam specificam’. Nessuna definizione matematica soddisfa questa regola”. È evidente che secondo Peano c’è una differenza sostanziale fra la matematica e la filosofia; la prima è fondata su una serie di definizioni che valgono solo nell’“universo del discorso” matematico in cui si usa un linguaggio rigoroso; l’“universo del discorso” filosofico, invece, ha i caratteri del linguaggio comune, che per sua natura non è rigoroso, in cui cioè ogni termine non ha un significato univoco. Peano, nell’affermazione citata, da un lato dichiara che in matematica tutte le definizioni sono nominali (e qui la contrapposizione è a ‘reali’), ma poi aggiunge che talvolta una funzione può essere definita non con una definizione nominale ma definendo l'eguaglianza fa=fb, cioè con una definizione per astrazione, che per Peano è pienamente legittima, e infatti ve ne sono nel Formulario. Forse si può dire che Peano usa il termine ‘nominale’ in due sensi un po' diversi: da un lato come contrapposto a ‘reale’ (con riferimento alla logica scolastica) dall'altro a ‘per astrazione’.

Vailati è intervenuto in più occasioni su tale problema, e nel saggio del 1903, La teoria aristotelica della definizione, precisa in modo esauriente la sua posizione. Egli individua in Aristotele una distinzione fondamentale “tra le proposizioni che servono a enunciare una definizione [...] e quelle colle quali asseriamo invece che gli oggetti da noi designati con un dato nome [...] presentano il tale o tal altro carattere, non incluso tra quelli che si attribuiscono già ad essi pel solo fatto di chiamarli col nome in questione”.

La prima distinzione risponde alla domanda “che cosa è una data cosa”, la seconda, “la tal cosa esiste o no?”; una distinzione che “si trova alla base del concetto che Aristotele si faceva di una scienza dimostrativa, col quale nome, come è noto, egli vuol significare ogni ramo del sapere che, a somiglianza della geometria, possa assumere la forma d’un sistema di conclusioni ottenute, per successivi sillogismi, da un certo numero di premesse fondamentali”. Ciò significa riconoscere che i due saperi, la geometria e la retorica, elaborati per primi dai filosofi greci, hanno uno stesso carattere cognitivo. In conclusione, fra linguaggio scientifico (matematico) e linguaggio della retorica, intesa “come l’arte di persuadere e di prevalere nelle dispute”, ossia il linguaggio della filosofia, non esiste una barriera invalicabile, come in Peano, ma solo una distinzione di ruoli e funzioni nella comunicazione razionale. In conclusione, secondo Vailati “la sillogistica aristotelica, in quanto è un tentativo a meccanizzare e rendere automatici i processi del ragionamento deduttivo, mi sembra una vera e propria logica matematica nel senso moderno della parola, differente dall’attuale solo in ciò, che essa è meno completa”. Una posizione, questa, che non può essere accolta da Peano.

Secondo Vailati, Peano si attarda a dare rilievo a distinzioni che fanno parte di una tradizione risalente a Porfirio, continuata nella scolastica fino a confluire nella filosofia moderna; Porfirio, afferma Vailati, ha manipolato o frainteso quei termini, facendone perdere “lo scopo principale e la portata filosofica”. Così, termini tecnici della logica aristotelica come ‘genere’ (o ‘differenza specifica’) “ha perduta pressochè ogni traccia del senso tecnico particolare che Aristotele aveva tentato di assegnarle”. Alla base dell’asserito, stretto rapporto fra logica matematica e pragmatismo c’è in Vailati questa genuina concezione aristotelica della definizione (poi ripresa da Saccheri, Leibniz e altri). Così come alla base dell’affermata ‘incompetenza’ filosofica di Peano, c’è la persuasione che mentre il linguaggio matematico è rigoroso e perciò controllabile intersoggettivamente, quello della filosofia non è, e non può essere tale, e perciò i logici matematici debbono assolutamente evitare commistioni o ibridazioni fra i due linguaggi, perchè ciò farebbe perdere al linguaggio matematico quel rigore che è alla radice della sua struttura cognitiva e della sua superiorità rispetto al linguaggio comune.