Quale transizione energetica per il futuro?
Dal 28 novembre al 1 dicembre si terrà a Milano, presso il Museo nazionale della scienza e della tecnologia "Leonardo da Vinci", il Convegno "Le transizioni nella storia dell'energia", che si concluderà con una sessione su "Le sfide per la transizione energetica del futuro" presso la Sala azionisti Edison (Foro Bonaparte). L'incontro farà il punto sullo stato dell'arte della ricerca storica e sulle prospettive future, in tema di transizioni energetiche, alla luce delle tendenze in atto nel settore energetico internazionale che guardano a un'economia low carbon, sostenibile, competitiva e coerente con gli obiettivi della conferenza sul clima di Parigi 2015 (COP 21) e dell'Unione Europea del 2030.
Per meglio approfondire il contesto nazionale e internazionale sulla questione energetica, intervistiamo Giovanni Paoloni, dell'Università di Roma "La Sapienza", esperto di archivi e di storia delle imprese e delle istituzioni di ricerca scientifica in Italia, membro del Comitato internazionale per la storia dell'elettricità e dell'energia della Fondation EDF, e organizzatore del Convegno.
Gentile prof. Paoloni, potrebbe illustrarci da quale punto di vista viene analizzata la transizione energetica nel corso del Convegno?
Si parla di transizione energetica quando vi è una significativa trasformazione nelle tecnologie di produzione e trasmissione dell'energia, ma anche quando cambiano le fonti utilizzate per produrla. Noi oggi non possiamo neppure immaginare una vita senza elettricità, ma duecento anni fa nessuno avrebbe immaginato che i fenomeni elettrici avrebbero fornito la base per un profondo cambiamento della vita quotidiana, oltre che di ogni forma di attività economica. Il Convegno guarda alle transizioni energetiche storiche, in un arco temporale che va dalla metà dell'Ottocento fino alla politica energetica recente dell'Unione Europea. Gli interventi sono stati selezionati attraverso un bando, e le proposte che abbiamo ricevuto riguardano diverse aree geografiche, anche se con un'ovvia prevalenza – dato il contesto – per l'Europa occidentale e gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il nostro Paese, quali sono state le più recenti e fondamentali transizioni energetiche e quali i loro protagonisti?
Innanzitutto lo sviluppo dell'energia elettrica al volgere tra Otto e Novecento ha fornito all’Italia la possibilità di affrontare il vincolo energetico che di fatto ne condizionava le possibilità di crescita industriale. Il sistema elettrico italiano, inoltre, era basato su una forte prevalenza della produzione idroelettrica, essenziale in un paese dove scarseggiavano i combustibili fossili. Senza l'energia idroelettrica, il decollo industriale del periodo giolittiano forse non sarebbe stato possibile, o avrebbe avuto una fisionomia diversa. In precedenza, l'Italia aveva vissuto – come gli altri principali Paesi – una transizione dal gas all'elettricità nel campo dell'illuminazione, e inoltre l'affermazione dell'idroelettrico fu facilitata dalla tradizione già esistente nel campo del controllo delle forze idrauliche. La fonte idroelettrica, e qui veniamo a un epoca per noi assai più vicina, smise di essere prevalente soltanto all'inizio degli anni Sessanta del Novecento. E il "miracolo economico" è stato reso possibile dalla disponibilità di energia assicurata dalla profonda trasformazione del sistema elettrico italiano nel ventennio post-bellico. Anche il tentativo poi abbandonato di sviluppare l'energia nucleare va visto in questa prospettiva. Se fosse riuscito, l'Italia avrebbe potuto disporre di energia abbondante e a buon mercato, invece di essere dipendente dal petrolio.
Secondo lei, un approccio storico può aiutarci nella previsione delle future transizioni energetiche? In che modo?
Oggi stiamo iniziando a vivere una nuova trasformazione, ed è questo che rende interessante il discorso storico sulle transizioni del passato. Non sono la persona adatta per considerazioni di carattere tecnico su questo tema, ma da storico due cose posso dirle. La prima è che anche in campo energetico, come in ogni altro settore della tecnologia, il prevalere di nuovi paradigmi non fa sparire del tutto le tecnologie già esistenti: semmai ne sposta l'uso in campi diversi, o in nicchie dove solo quelle tecnologie sono in grado di offrire risposte adeguate a esigenze molto specifiche. L'altra è che i processi di transizione sono strettamente legati alla struttura economico-produttiva, e richiedono investimenti ingenti. E infatti una parte non secondaria dei contributi storici offerti nel convegno riguarda il modo in cui gli strumenti finanziari sono stati utilizzati in relazione alle politiche energetiche.
In conclusione, che sviluppo hanno avuto le energie alternative? Possiamo parlare di un futuro in tal senso?
Penso di sì, ma senza illusioni. La produzione, il trasporto e l'uso dell'energia hanno un fortissimo rapporto con l'ambiente. Le energie rinnovabili (l'idroelettrico, il solare e l'eolico, tanto per dire) non fanno eccezione. Si pensi ad esempio a come la regolazione dei bacini montani in funzione idroelettrica ha cambiato l'aspetto di tante aree dell'arco alpino. O a come le pale eoliche si inseriscono nel paesaggio. Per non dire dell'impatto ambientale di certi impianti fotovoltaici, o geotermici. E si potrebbero fare altri esempi. Penso che il futuro vada comunque in direzione di una produzione low carbon, ma questo non deve farci pensare che l'energia che verrà non abbia un costo ambientale: la vera scommessa della sostenibilità non dipende soltanto dalle tecnologie disponibili, ma anche – e forse soprattutto – dal loro uso equilibrato e responsabile. In una prospettiva storica credo che lo studio delle transizioni energetiche ci insegni soprattutto questo. Per concludere, però, vorrei ricordare che anche la scarsità di energia ha un prezzo, economico e sociale. Anzi, personalmente sono convinto che il suo costo sia ben più elevato.
(Intervista a cura di Jacopo De Tullio)