Scienza e società. La figura del matematico francese Emile Borel
Scienza e società: Emile Borel
Emile Borel è stato matematico fecondo, redattore e curatore di molte e importanti collezioni scientifiche, infaticabile divulgatore della scienza del suo tempo, fondatore nel 1905 con la moglie Camille Marbo della rivista “Revue du mois”, intellettuale militante impegnato incessantemente nel mettere le sue scoperte scientifiche e tecnologiche al servizio della vita sociale. E’ stato anche uomo di stato, svolgendo la sua carriera politica parallelamente a quella scientifica.
Nato il 7 gennaio 1871 a Saint Affrique (capoluogo della provincia dell’Aveyron) e morto a Parigi il 3 febbraio 1956, Borel è ricordato come un emblematico rappresentante della “Republique des professeur”. In tutta la sua carriera, ha voluto mostrare che l’esperienza dell’uomo di scienza è indispensabile per prendere decisioni strategiche o per elevare le coscienze dei suoi contemporanei verso una migliore conoscenza del mondo. Le numerose opere matematiche di grande importanza che ci ha lasciato contengono numerose considerazioni sul ruolo della scienza nella società, sul ruolo dello Stato nella ricerca scientifica, sulla necessità per la scuola di fornire agli studenti dei metodi di comprensione della realtà sociale (e in particolare della crisi economica del 1929). Il successivo orientamento della sua carriera scientifica verso la Matematica applicata (in particolare verso la Teoria della probabilità di cui fu un grande innovatore) è legato alla questione, molto cara a Borel, che gli intellettuali non debbano restare nella loro torre d’avorio ma al contrario debbano incontrare il più vasto pubblico possibile. Convinse così alcuni suoi allievi (tra cui George Darmois e Maurice Frèchet) della fondatezza di questa preoccupazione ma si attirò la critica di altri che, come Lebesgue (con il quale ebbe rapporti appassionati e nel contempo tempestosi), gli rimproverarono di aver abbandonato il terreno proprio della scienza per il giornalismo. In effetti Borel incarnò per tutto l’arco della sua vita il ruolo dell’intellettuale che agisce nel cuore della città, ruolo che il movimento radical-socialista dell’epoca considerava necessario al progresso sociale.
La riflessione sull’impegno degli scienziati non è naturalmente una novità ma il caso di Borel permette di far emergere le differenze e le somiglianze con la situazione contemporanea. Partendo dai punti di convergenza, si può ad esempio notare negli scritti di Borel la profonda e ricorrente inquietudine per una visione troppo utilitaristica della scienza. Nonostante il matematico francese, che si contraddistinse per una concezione molto positiva del progresso umano attraverso la scienza, abbia sempre affermato che gli sviluppi matematici possano servire allo sviluppo della società, egli mantenne la convinzione che la Matematica (e di conseguenza tutte le scienze) devono essere sviluppate autonomamente, secondo un proprio ritmo, senza obiettivi di profitto più o meno immediato.
L’esperienza traumatica della grande guerra, durante la quale Borel si occupò sostanzialmente a tempo pieno della guida della Direction des Inventions, gli servì per distinguere la diversità degli approcci. Poté farsi un’idea precisa del tipo di progresso e di produzione-tecnico scientifica che un programma di ricerca a breve termine permette di ottenere, ma anche del modo in cui i decisori politici (messi di fronte all’urgenza di particolari situazioni) sono condizionati dall’esigenza di risultati immediati.
All’inizio degli anni Venti, quando inizia la vera e propria carriera politica, ricorda molto bene il modo con cui la violenza della guerra ha pesato sugli orientamenti scientifici e teme che questa esperienza abbia invogliato i dirigenti politici a irreggimentare sempre più l’attività degli scienziati. Le tensioni politiche degli anni seguenti, con la nascita dei regimi autoritari in Russia e in Italia, confermarono i suoi timori. Borel si sentì allora in dovere di difendere la coesistenza dei differenti approcci all’attività scientifica, utilitarista e disinteressata, difendendo la libertà della ricerca.
Nel 1922, nell’articolo “La science dans une société socialiste”, espone la sua idea sui vincoli esercitati dallo Stato sulla scienza, che pensa debbano essere ridotti al minimo per evitare conseguenze pericolose. Il controllo dello Stato deve essere fatto a priori, attraverso un “sistema di esami” abbastanza vario perché rimangano aperte diverse strade in cui i giovani possano impegnarsi per realizzare al meglio la natura del loro spirito. Per Borel non c’è altra scelta che lasciare una libertà praticamente assoluta ai ricercatori, poiché “schiacciare il libero pensiero con un sistema di controllo svolto dalle Università o dalle Accademie rischia di tarpare le ali all’originalità e a tutti i pensieri veramente nuovi”. La scelta degli argomenti di studio deve essere lasciata agli interessi dei ricercatori stessi ed è fondamentale che i campi della conoscenza siano esplorati in tutte le direzioni senza limitarsi a quelle che sembrano poter dare un ritorno a breve termine (come risultati scientifici ma anche probabilmente finanziari). Borel ricorda che “le ricerche di carattere puramente artistico, che non hanno per l’esperto altro interesse che la ricerca della bellezza scientifica, si rivelano a volte come le più feconde”. Uno degli esempi più significativi da lui citato è il valore che ha assunto nella teoria della relatività il calcolo differenziale assoluti di Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita. Certo - ammette Borel - la quantità dei lavori destinati a cadere nell’oblio è enorme ma “quello che bisogna far comprendere a tutti, senza cercare di dissimulare, è che questo spreco formidabile è una necessità che bisogna accettare. (…) Prevedere, in mezzo ai giovani di vent’anni, chi fra 10 o 20 anni, sarà un Galileo, un Newton o un Cartesio è un compito impossibile. E’ dunque necessario fornire molteplici possibilità di lavoro affinché nella moltitudine si trovi colui che è predestinato e la cui scoperta pagherà il centuplo e ben al di là di tutte le spese sostenute per tutti”.
Borel fonda il suo ragionamento sulla teoria della probabilità che insegna come un fenomeno di grandi dimensioni sia la miglior garanzia per l’ottenimento di un evento raro. Scriverà: ”Colui che non ha genio e che la fortuna non aiuta non deve essere considerato responsabile e se in 10 o 20 anni si è specializzato in uno studio astratto la cui prosecuzione è diventata inadatta a qualsiasi uso sociale, bisogna che la società ugualmente lo sostenga, lo incoraggi, si faccia carico di questo e si consoli attraverso i benefici che realizza attraverso i più abili che avranno scoperto il vaccino della rabbia o il telegrafo senza fili. In definitiva sono quelli come Pasteur e Marconi che pagano per le carriere scientifiche abortite. E questo è giusto perché a loro volta hanno tratto beneficio da numerose generazioni di saggi, molti dei quali non hanno avuto la ricompensa della notorietà”. La preoccupazione riguarda in particolare la Matematica: “bisogna evitare a tutti i costi che la cultura matematica cessi d’attirare numerosi ricercatori. E’ forse quella che rischia le maggiori minacce”.
(Traduzione dal francese a cura di Jacopo De Tullio)