Sinisgalli e la Fisica moderna

Il 15 e 16 settembre 2012 si è svolto nell’ex-convento di San Domenico a Montemurro in Val d’Agri in provincia di Potenza − quella che oggi è la valle del petrolio italiano − il Convegno “Furor Sinisgalli - L’avventura delle due culture” promosso dalla Fondazione Leonardo Sinisgalli (http://www.fondazionesinisgalli.eu). Nel corso della manifestazione, moderata da Rocco Brancati giornalista del TgR Basilicata, è stato presentato il volume: Leonardo Sinisgalli: un “Leonardo” del Novecento, curato Gian Italo Bischi e Pietro Nastasi, per la collana PRISTEM Storia, con gli interventi di Biagio Russo (Direttore della Fondazione Sinisgalli), Gian Italo Bischi, Claudio Bartocci, Decio Cocolicchio e Giuseppe Lupo.

Riportiamo l’intervento del professor Decio Cocolicchio che ricostruisce gli anni di apprendistato universitario di Sinisgalli a Roma, i legami con i suoi docenti, prima nel Corso di Laurea di Matematica, poi ad Ingegneria industriale e approfondisce i rapporti con i compagni di studio, che sono gran parte di quella generazione passata alla Storia della Scienza come “I ragazzi di via Panisperna”.

 

Leonardo Sinisgalli e la Fisica moderna


1. L’eredità, senza eredi, di Sinisgalli

2. La fabbrica delle idee: un uomo, due culture

3. Sinisgalli e Fermi: il culto della precisione

 

 

L’eredità, senza eredi, di Sinisgalli

Publish Or Perish

Logan Wilson, The Academic Man, 1942

Lettera di Marshall McLuhan a Ezra Pound, 1951

 

Il Passato, si sa, è una Terra straniera, dove ogni cosa esiste se illuminata dalla memoria. Anche il ricordo dei grandi uomini, rischia continuamente di scomparire nelle tenebre delle sabbie mobili dell’oblio, nel caso i loro libri non venissero più pubblicati. Da appassionati di Sinisgalli – quali di sicuro siete – vi sarà senz’altro capitato di chiedervi perché continui ad essere circondato da tanto interesse, nonostante i suoi libri siano da tempo introvabili. Richiedendo un libro di Sinisgalli, a me è capitato spesso ascoltare: “Leonardo chi?”. Eppure l’oblio non si addice a Sinisgalli. Infatti, non sono mancati nell’ultimo decennio numerosi saggi di approfondimento, segno evidente dell’incredibile vitalità della sua opera. Purtroppo ad un interesse accademico forte non è corrisposto, dopo la sua morte, un interesse commerciale di riproposizione delle sue pubblicazioni. Dei suoi 15 libri pubblicati nel tempo da Mondadori, nessun titolo è oggi in catalogo. Confidiamo nell’iniziativa editoriale di Giuseppe Lupo e Franco Vitelli per la pubblicazione di un’auspicabile antologia, che si dice prossima, negli Oscar Mondadori. Taluni hanno già notato che le biografie parallele di Sinisgalli, Rocco Scotellaro e Carlo Levi condividono il comune destino di non aver avuto figli: ma solo Sinisgalli corre il rischio concreto di un infarto editoriale. Consacrato e venerato in vita da generazioni di critici, la sua opera, come lui stesso aveva prefigurato nel suo libro di poesie, rischia di scendere mestamente verso il Dimenticatoio.

Non condivido l’ossessione per i libri di tanti di voi. Non comprendo il piacere della vista, del tatto e dell’odorato offerto dai libri, non il godimento di palparli, lisciarli, sfogliarli, fiutarli. Ma so che un libro rappresenta il rimedio all’oblio, un figlio immortale che sfida il padre suo, come sosteneva Platone.

I ritardi dei grandi editori nel compito di diffondere, col doveroso corredo filologico, l’opera di Sinisgalli sono all’origine dell’impresa culturale di questa Fondazione.

 

La fabbrica delle idee: un uomo, due culture

Chi conosce il mestiere non suda, in verità non lavora, giuoca.

Leonardo Sinisgalli, Chi non sa il mestiere

 

Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981)

 

Leonardo Sinisgalli è una figura singolare nel panorama culturale italiano del Novecento, dominato da una perdurante dicotomia, oggi in fase di risoluzione, tra “le due culture”: quella umanistica e quella scientifica. Figlio di un sarto emigrato prima a New York poi in Colombia, Sinisgalli studiò ospitato nel collegio “De la Salle” a Benevento, conseguendo brillantemente la maturità nel primo anno di applicazione della Riforma Gentile. Iscrittosi a Roma a Matematica, finì per laurearsi in Ingegneria, e in questo periodo fu assiduo frequentatore di artisti romani già affermati. Dopo l’abilitazione alla professione d’ingegnere, nel novembre del 1933 si trasferì a Milano, per una prima, breve stagione, all’affannosa ricerca di un lavoro importante. Di quel periodo, Sinisgalli ricordò: “Sapevo tanto di matematiche, ma capivo pochissimo di macchine. Non sarei stato capace di avvitare un bullone o di mettere a posto la punta di un trapano. Le mie mani erano stupide [...] Chiesi un impegno superiore al mio mestiere”. Tornato a Montemurro nel 1935, compose il Quaderno di geometria nel rifugio del suo paese natale, nella valle oggi nota per l’estrazione del petrolio e nell’antichità teatro di epiche battaglie per il dominio della via Herculia e del collegamento coast-to-coast tra Ionio e Tirreno, lungo il corso del fiume Agri, il famoso Akiris dei tempi della civiltà greco-romana, che negli anni Cinquanta, per dissetare la Puglia, fu sbarrato da una diga generando l’invaso del Lago di Pietra del Pertusillo. Un raro caso in cui un’opera artificiale ha migliorato il paesaggio e la bellezza dei luoghi.

 

Montemurro con il Lago di Pietra del Pertusillo

 

Tuttavia, su insistenza degli amici si decise a ritornare a Milano. Qui iniziò il suo “matrimonio con l’industria”, durato circa un quarantennio. Nello stesso tempo avviò un’intensa attività pubblicistica su riviste di architettura, arredamento e letterarie, instaurando un forte legame con Ungaretti, che aveva contribuito a farlo conoscere parlando di lui come “un giovane poeta delle parti di Orazio”.

C’è chi attribuisce a Sinisgalli l’ispirazione del logo futurista della potente benzina italiana Supercortemaggiore e dell’ENI, il popolarissimo cerbero o cane nero a sei zampe su sfondo giallo, una figura che ricorda una divinità ctonia del sottosuolo. Il marchio in realtà sembra sia stato ideato dallo scultore varesino Luigi Broggini, ma rielaborato e proposto da Giuseppe Guzzi, per essere in seguito ammodernato più volte dal grande Bob Noorda, che si occupò anche di definire il nuovo lettering aziendale dell’AGIP, personalizzando il carattere tipografico, inserendo in ogni lettera un filetto bianco al centro, simbolo di una strada a due corsie divise dallo spartitraffico. Sinisgalli fu un apprezzato consulente pubblicitario prima alla corte dell’ingegner Adriano Olivetti, poi per Alfa Romeo, Bassetti e tante altre importanti industrie di cui diresse, con il solito genio, le riviste aziendali. Non ridusse mai il ritmo dei propri impegni sino alla morte della moglie Giorgia de Cousandier: quando si rifugiò nella pittura nella sua bella casa di Roma, dove morì pochi anni dopo, l’ultimo giorno di gennaio del 1981.

Nei suoi scritti di solito ritroviamo il Sud con la sua storia, con il dramma dell’emigrazione e l’amore per gli artigiani, e ritroviamo il Nord, essenzialmente Milano, con le contraddizioni del miracolo economico, la fabbrica delle idee e delle speranze legate alla trasformazione dell’Italia in nazione industriale. Questa raccolta ha inteso approfondire una fonte d’ispirazione diversa e poco indagata: quella dei legami di Sinisgalli con gli sviluppi della ricerca scientifica e tecnologica alla luce della spinosa questione oggi nota come “le due culture”.

Questa controversia è un duro campo di battaglia di una interminabile ed ingiustificabile guerra di due mondi antagonisti, gelosi della propria autonomia, i cui arroccamenti risalgono alla famosa “querelle des ancients (umanisti) et des modernes (scienziati): la disputa tra cultura antica e cultura moderna agli albori dell’Illuminismo, importata in Inghilterra si trasformò in una polemica molto british (definita Battle of the Books, in una satira provocatoria di Jonathan Swift) che assunse le caratteristiche tipiche dei dibattiti in quella felice nazione dove gli intellettuali sono in grado di fare opinione, di litigare in pubblico ferocemente ma con stile, di ingenerare crescenti antagonismi tanto produttivi da indurre l’istituzione, 350 anni fa, della Royal Society. Queste polemiche in Inghilterra sono oggetto di periodiche revisioni. Le accese critiche creazioniste alla teoria evoluzionistica di Darwin, causarono nell’età vittoriana un rinnovato tentativo di isolamento da parte della comunità umanistica del razionalismo scientifico tipico della rivoluzione industriale. La controversia fu approfondita nella Cambridge REDE Lecture da Matthew Arnold del 1882, che affrontò la questione del corretto rapporto tra le due culture, in una conferenza intitolata Literature and Science, esprimendo un punto di vista quasi del tutto opposto a quello che formulerà sir Charles Percy Snow nella sua omologa REDE Lecture del 1959. Il famoso saggio di Arnold fu concepito originariamente come una risposta all'affermazione di Thomas Huxley, il mastino di Darwin, secondo la quale "allo scopo di conseguire una vera cultura, una formazione di tipo esclusivamente scientifico è almeno altrettanto efficace di una di tipo esclusivamente letterario".

Il contrastato dibattito tra le due culture in Italia fu importato da Vittorini, che promosse un’indagine sulle analogie tra strutture artistiche e strutture scientifiche. Non è certo possibile, nella breve economia di questo intervento, ripercorrere, fosse pure per sommi capi, la complessa questione dei rapporti tra scienza e letteratura. Del resto, troppo intelligente, imprevedibile ed inquieto per lasciarsi intruppare in polemiche tanto sofisticate, Sinisgalli non comprende e fondamentalmente nemmeno intende inserirsi nella querelle tra "le due culture".

Eppure, le contaminazioni matematiche nelle pagine del “Furor mathematicus” (1944) e nella raccolta postuma di articoli “Furor Geometricus” inducono suggestive riflessioni sulla natura del dissidio tra “le due culture”.

Frontespizio dell’edizione di FUROR MATHEMATICUS pubblicata nel 1944

 

Di certo, nella sua attività, Sinisgalli non si è risparmiato contro ogni forma, comunque mascherata, di pigrizia intellettuale invitando gli umanisti, o presunti tali, ad uno spirito al contempo rigoroso e creativo, convinto che il presunto dissidio tra le due culture potesse essere superato. Sinisgalli è forse, accanto all'ultimo Calvino (che peraltro il poeta di Montemurro, in un diario inedito, accusava di usare, nel suo "dilettantismo" e nella sua "tenera confusione", la scienza come materia, se non puro pretesto, di "fantascienza"), uno degli scrittori italiani del Novecento che con maggior convinzione hanno tentato - in modo tenace, assiduo, pienamente autocosciente, si potrebbe quasi dire sistematico - di assottigliare le barriere fra questi due emisferi della ricerca intellettuale, facendoli interagire in una sorta di cortocircuito o di processo osmotico.

Per quanto singolare questo antagonismo possa oggi apparirci, uno dei meriti di Sinisgalli è stato sicuramente quello di aver chiarito che un aspetto fondamentale della disputa è legato all’inquietudine verso i rischi (presunti e mal compresi) del progresso scientifico, percepito spesso molto indistintamente con la visione di un futuro dominato dalla dittatura tecnologica. Sinisgalli è convinto che queste paure nascano nel rapporto tra uomo e macchine. Una problematica estremamente attuale oggi nel centenario della nascita del padre dell’informatica: Alan Turing. Le macchine sono da sempre viste con sospetto, inconsciamente associate a strumenti infidi come il cavallo di Troia, ideato da Ulisse. Per Sinisgalli le macchine non sono un tabù, anche se è consapevole che "ci sono nei riguardi delle macchine due atteggiamenti tipici, il fanatismo ed il disprezzo, entrambi pericolosi, entrambi spropositati". Pensate al famoso romanzo fantastico EREWHON di Samuel Butler che − anticipando i temi sviluppati nella distopia Il mondo nuovo di Aldous Huxley − descrive un paese immaginario, probabilmente dell’Inghilterrra vittoriana, dove le macchine sono messe al bando e relegate in una sorta di museo degli orrori, e si punisce chi le adopera. Nonostante queste polemiche, questi paradossali racconti e questa iconografia, la grandezza di Sinisgalli consiste nell’aver ribadito che non tutte le macchine vengono per nuocere, evidenziando che la fascinazione e l’entusiasmo hanno preceduto la paura. E’ convinto che le macchine possono essere ben accolte in quanto promettono un futuro migliore. Questo programma ha indotto Sinisgalli a sollecitare la collaborazione di tutti coloro in grado di chiarire le paure profonde e spesso irrazionali che la società nutre verso la scienza e la tecnologia, facendosi promotore con molti suoi scritti della bellezza fascinosa della matematica.

Un brano poco noto di Leonardo Sinisgalli sulla morte del matematico Caccioppoli è paradigmatico della scrittura dello scrittore e ci rivela un’ulteriore analogia tra la solitudine del matematico e del poeta: "Leggo stamani che Caccioppoli si sarebbe ucciso perché incapace di resistere alla solitudine. Come vedete non ci si difende dalla noia con la matematica, come non ci si difende con la poesia”. Il diavolo trascura gli imbecilli – dice Sinisgalli – ma fa scherzi al genio: "Questo per dire che la matematica non è il frutto della gelida ragione e che i poeti e i matematici, gli eletti, sono i più vulnerabili, perché sono imprudenti, perché vivono al limite dell’insensatezza. [...] Tra un verso e l’altro, tra un teorema e l’altro, scorre la vita che ci sorprende miserabili, malinconici, deboli". Parole e formule non bastano più a riempire il vuoto, a vincere la noia. Risultano inefficaci allo stesso modo sia la poesia che la matematica.

 

Sinisgalli e Fermi: il culto della precisione

Una macchina intelligente può fabbricare oggetti stupidi. […]

Un millesimo di millimetro è la libertà consentita dalla precisione.

L. Sinisgalli, Calcoli e fandonie

 

Pochi conoscono la genesi di questa raccolta di approfondimenti sulla figura dell’intellettuale di Montemurro. Non si tratta del periodico contributo accademico sull’incredibile vitalità della sua opera. Qualche anno fa apparve sulla stampa locale lucana un trafiletto che annunciava la dismissione della casa natale di Sinisgalli. La cruenta battaglia giudiziaria per l’eredità, dentro e fuori la famiglia non è ancora sopita, ma il rischio della dispersione delle sue “carte” appariva (ed appare) concreto. Cominciai ad approfondire il caso alla luce della rinnovata stagione culturale lucana, rappresentata dall’istituzione dell’Università della Basilicata, con la speranza si realizzasse una Fondazione, che potesse ereditare tutta la documentazione e si distinguesse nel favorire la migliore diffusione nella comunità scientifica del pensiero di Leonardo Sinisgalli. In questo impegno provai a consultare alcuni stimati colleghi matematici in giro per l’Italia. Quel che potete leggere in questa Raccolta è il frutto maturo dell’impegno di un qualificato gruppo di accademici orbitante nella galassia della rivista matematica “Lettera PRISTEM” dell’Università Bocconi, con il sapiente coordinamento dei curatori Gian Italo Bischi e Pietro Nastasi, dove si è approfondito (a mio avviso, in modo innovativo), la vita e le opere di Sinisgalli.

Tra i tanti aspetti indagati in questa Raccolta di PRISTEM Storia, con Luisa Bonolis e Biagio Russo, abbiamo affrontato una tematica di solito trascurata. Leonardo Sinisgalli non proviene dalle Aule delle Facoltà di Lettere o dagli Istituti di Italianistica, ma ha alle proprie spalle robusti studi scientifici. La sua intelligenza, imprevedibile ed inquieta, l’insaziabilità proteiforme per la complessità del mondo e del sapere si fonda su una rigorosa formazione universitaria. L’identità di Sinisgalli è prismatica, diremo eclettica, se questa definizione non avesse pessima reputazione. Abbiamo cercato di dipanare la sua complessità, indagando i suoi anni di formazione universitaria. In particolare ci siamo occupati dei suoi legami con quel gruppo di fisici che, anche ad ottant’anni, furono indicati nella comunità scientifica, come “i ragazzi di via Panisperna”.

Alcuni dei “ragazzi” di via Panisperna: Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Emilio Segrè

 

Non ci siamo affidati a narrazioni sallustiane, a citazioni di seconda mano, ricercando invece conferme oggettive delle tante testimonianze biografiche presso l’Archivio storico dell’Università di Roma “La Sapienza”, dove sono custoditi i libretti universitari. Iscrittosi al Corso di Laurea in “Matematica e Fisica” il 29 ottobre 1925, si trasferì, con un ridimensionamento delle sue aspirazioni, al Corso di Laurea in Ingegneria nel successivo anno accademico, come annotato in una pagina del registro degli studenti. Conseguì il 20 novembre 1931 la laurea in Ingegneria Industriale con voti 60/70, con la tesi dal titolo “Progetto di motore per aeroplano leggero”. Tutto il materiale sugli studi universitari sarà presto disponibile a cura della Fondazione Sinisgalli. Mi permetto di ricordare che in quegli anni il corso di Laurea in Ingegneria era diviso in due parti. Gli insegnamenti del biennio propedeutico erano in gran parte in comune tra gli aspiranti ingegneri e gli altri corsi di laurea di Scienze, quindi il trasferimento di Sinisgalli gli impose di recuperare i soli esami di Disegno. La nostra ricerca si è concentrata sui legami con i compagni di corso ad Ingegneria: Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Mario Salvadori, Luciano ed Ettore Majorana, rampolli delle famiglie colte romane degli anni trenta del Novecento, tutti cognomi illustri dell’intellettualità borghese del tempo che non aveva l’obiettivo di arricchirsi ma che apprezzava la cultura ed aspirava sobriamente al prestigio accademico. Interpreti autorevoli della nascente fisica nucleare, condivisero la comune passione scientifica e l’avventura umana della Knabenphysik, la fisica dei ragazzini, che in Germania, con lo sviluppo della Meccanica Quantistica, aveva cambiato il corso della storia della scienza. Questo gruppo geniale di ventenni fu in grado di violare i segreti del cuore dell’atomo. Molto di loro furono poi autori di interessanti articoli in ricercati fascicoli della rivista Civiltà delle Macchine.

La nostra indagine è stata particolarmente attenta ad indagare il rapporto con Enrico Fermi che, con il sostegno del Direttore dell’Istituto di Fisica, il professor Orso Maria Corbino, cercò di rinnovare lo stato di relativa arretratezza in cui soffriva la Fisica in Italia. Per dare un'idea di cosa abbia significato per la fisica ed in generale la cultura, non solo scientifica, italiana l'attività romana di Fermi e del suo gruppo, ricordiamo che la fisica italiana già una volta aveva conquistato una posizione di eccellenza a livello internazionale: con Galilei. Ma la condanna da parte della Chiesa (22 luglio 1633) - che, considerati i tempi, non ebbe in fondo conseguenze molto gravi per Galilei - risultò disastrosa per la "scuola" galileana, la quale avrebbe potuto continuare ad essere la prima del mondo. Il vasto e promettente movimento scientifico creato da Galilei venne colpito alla radice dalla condanna del maestro; così che la scienza si trasferì al di là delle Alpi. John Milton, ricordando una visita fatta al "celebre Galileo, oramai vegliardo e prigioniero dell'Inquisizione" (Galileo morì nel 1642), riassunse magistralmente la situazione annotando nel 1644 che "lo stato di servitù, in cui la scienza era stata ridotta nella loro patria, era la cagione per cui lo spirito italiano, così vivo un giorno, si era ormai spento; e da molti anni tutto ciò che si scriveva non era che adulazione e banalità". Devono poi passare quasi due secoli prima che si riveli un altro grande fisico: Alessandro Volta, in grado di fondare un rinnovato rilevante filone di ricerche che portò alle applicazioni prevalentemente tecnologiche di Antonio Pacinotti, Galileo Ferraris ed Augusto Righi e, più tardi, a quelle di Guglielmo Marconi. Ma non ne derivò una vera "scuola", tanto che alla fine del 1926, quando Fermi ottiene la cattedra di Fisica teorica a Roma, l'Italia certo non emerge nel mondo per la fisica. È solo Fermi che, ben tre secoli dopo Galileo, (tanto che si parla di un vuoto culturale se non da Galilei a Fermi certo da Volta a Fermi) riesce a generare di nuovo un esteso e moderno movimento in seno alle scienze fisiche italiane. Ad esempio l'articolo di Fermi che dà avvio alla teoria delle interazioni deboli (coronata dopo cinquant'anni, nel 1983, dalle scoperte di Carlo Rubbia) esce nel 1933: esattamente trecento anni dopo la condanna definitiva della teoria galileana. Quello che Fermi ha rappresentato nel contesto internazionale è testimoniato dall’accoglienza negli Stati Uniti e l’entusiasmo che lo circondò il 2 dicembre 1942 a Chicago nel corso della prima reazione di fissione nucleare autosostenuta. In quel momento l'umanità entrava, senza saperlo, nell'Era Nucleare ed a dirigere questo progetto c’era Fermi. Eugene Wigner gli offrì una bottiglia di Chianti per celebrare il momento storico. Arthur Compton, anch'egli presente, fece una telefonata in codice a James Bryant Conant a Harvard, annunciandogli il successo: "Il navigatore italiano – egli disse – è giunto nel Nuovo Mondo". Conant chiese: "Come erano gli indigeni?". La pronta risposta fu: "Molto amichevoli!". E' curioso e interessante il fatto che il primo navigatore italiano scoprì un mondo nuovo nel 1492, e il secondo ne scoprì un altro nel 1942. Le ricerche di Fermi lungi dall’apparire esclusivamente “fondamentali” ebbero alcuni risvolti commerciali. Dietro suggerimento dello stesso Corbino, fu presentata il 26 ottobre 1934 una domanda di brevetto che Fermi volle portasse anche i nomi dei suoi collaboratori Edoardo Amaldi, Oscar D'Agostino, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti e Giulio Trabacchi, con titolo: "Metodo per accrescere il rendimento dei procedimenti per la produzione di radioattività artificiale mediante il bombardamento con neutroni". Il Direttore Corbino promuovendo l’istituzione nel 1926 della prima cattedra universitaria italiana di Fisica teorica, assegnata al talento venticinquenne Enrico Fermi, doveva affrontare il problema che dopo aver istituito il corso, aver trovato il docente, doveva trovare gli studenti. Nella primavera del 1927, durante le lezioni il professor Corbino invitò gli aspiranti ingegneri che frequentavano il suo corso di Fisica sperimentale, tra cui Sinisgalli, a tener conto dell’opportunità rara di collaborare con Fermi, e partecipare alla rivoluzione scientifica rappresentata dallo studio delle proprietà del nucleo atomico.

Vi invito a leggere il nostro contributo, per scoprire le reazioni di Sinisgalli a questo invito. Mi permetto di confidarvi che con Luisa Bonolis e Biagio Russo, intendiamo completare la ricerca dei legami di Sinisgalli e la Fisica moderna.

Tuttavia, mi permetto di sottolineare un aspetto del carattere di Sinisgalli che è possibile ritrovare anche nella biografia di Fermi. A Sinisgalli, come a Fermi, piacevano i lavori ben fatti, egli amava molto lavorare a tavolino, aveva il culto della precisione. Era un patito della bella scrittura. La calligrafia fu sempre per lui un’autentica disciplina. La precisione ed il rigore di Sinisgalli, il suo esprit de géométrie, ebbero modo di misurarsi spesso con le sue qualità inventive ed artistiche, il suo esprit de finesse, come nel saggio Intorno alla figura del poeta o nelle famose trentadue definizioni della poesia in Horror Vacui.

Non vi sarà sfuggito che Sinisgalli è stato sepolto circa 3 decenni fa. Nel Vangelo di Matteo si legge: "Dopo tre giorni risorgerò", cautelativamente i versi che campeggiano sulla sua lapide "Risorgerò fra tre anni / o tre secoli tra raffiche di grandine nel mese / di giugno" confermano la sua passione per la Matematica. Non conosco molti altri epitaffi con indizi numerici, anche se ho trovato la stessa singolare predilezione per il numero 3, nelle proporzioni del Calvario di un paese vicino. Profeticamente, questo è il Convegno sul “Ritorno a Montemurro” di Sinisgalli. Non è giugno e non c’è troppa concordanza con le previsioni, ma ieri sera grandinava e singolarmente le mosche entravano spontaneamente in bottiglia. In qualche modo, direi che è un buon segno per il successo della Fondazione: almeno lo spero.