Spiritualità e realtà: una visione umanistica e scientifica del mondo

Preambolo

In questi giorni si parla spesso di spiritualità, e sembra che questa esigenza dell’uomo sia in contrapposto alla materialità della vita di ogni giorno. La vita cosiddetta materiale risveglia nei più un desiderio di ritrovare un senso della vita umana che sfugga al giornaliero. Inoltre il rinascere delle tensioni internazionali, dovute in parte a visioni contrastanti del mondo basate su cosmologie religiose, ci obbliga a rivedere il ruolo delle religioni nella vita spirituale.

Vorrei spartire con voi i miei pensieri di come una visione di scienziato umanista può essere rilevante ad una visione più ampia delle attività spirituali dell’umanità. I punti di vista che esporrò non saranno forse condivisi da tutti gli scienziati, ma spero peraltro che anche alcuni non scienziati vedano, nelle idee esposte, un tentativo serio di riportare problematiche spirituali nell’ambito del pensiero umanistico-scientifico.

Sin dai primi tentativi di darsi una visione del mondo, numerose culture, compresa la nostra, hanno cercato la spiritualità nella trascendenza, in un mondo cioè che va oltre all’immediato e al materiale: il desiderio di Mythos oltre che di Logos, per dirlo con Karen Armstrong. Il pensiero di una trascendenza si associa facilmente all’idea di assoluto. Le posizioni spirituali basate sull’assoluto hanno dato origine per lo più ad atteggiamenti che vengono chiamati al giorno d’oggi, fondamentalisti. Spesso, anzi spessissimo, le posizioni fondamentaliste vanno mano a mano con atteggiamenti di natura repressiva. Il pericolo di questo processo, che è in antitesi alla civiltà del mondo umanistico-scientifico, è attualissimo.

Il desiderio di spiritualità è molto comprensibile, e va visto come un’esigenza fondamentale della vita umana, piuttosto che come un ritorno ad un semplice oscurantismo religioso. La ricerca di spiritualità tuttavia non va, proprio per questo, confusa con un ritorno alle religioni.

Il problema dunque è come dare allo stesso tempo spazio all’esigenza di spiritualità senza cadere nel fondamentalismo religioso e neppure seguire i movimenti della "new age".

Naturalmente vorrei partire da un presupposto storico, cioè che la religiosità slavata del cristianesimo occidentale moderno non possa essere una soluzione sociale duratura, proprio per la sua debolezza storico-filosofica. La tolleranza da parte del cristianesimo nei confronti di una società chiamata da Karl Popper "aperta", peraltro conquistata dal mondo laico umanista nel corso di secoli, spesso non in modo incruento, è vista come debolezza da un’ottica più "fondamentale" della spiritualità.

La ricerca di una spiritualità più robusta e adatta al mondo moderno e post-moderno richiede quindi uno sforzo di apertura concettuale non indifferente. La spiritualità a mio avviso è troppo importante per lasciarla alle religioni.

Mi propongo di mostrare come si può trovare la spiritualità all’interno del mondo umanistico-scientifico, come un’estensione naturale alla lunga storia della cultura umana che tende a scalzare le culture del trascendente. L’umanizzazione della spiritualità è dunque un processo in atto e di cui mi faccio semplice portavoce. Il grandioso edificio della scienza umana, entro l’ottica illuminante dell’evoluzione biologica e culturale, rappresenta insomma un’attività spirituale par eccellence.

 

L’emergenza della spiritualità nell’evoluzione umana

Inizierò dal problema della spiritualità e del suo emergere nell’evoluzione umana. Questa si e’ sviluppata nell’arco delle decine di migliaia d’anni, che hanno visto la comparsa dei primi segni di attività coscienti. Non intendo definire qui la spiritualità in modo troppo rigoroso, ma indicherò, con questo termine un po’ generico, tutte quelle attività umane che ci spingono ad andare oltre l’esperienza immediata del qui ed ora. Questa semplice definizione comprende il mondo dei sentimenti interiori, delle idee, dell’immaginazione e delle credenze. Parte di queste attività spirituali comprende le visioni del mondo sia personali che collettive, fra cui vi sono i miti, le religioni e anche la scienza stessa.

Queste attività spirituali, del tutte umane, rappresentano il tentativo di dare un senso in tre aspetti dell’esistenza umana. Dare senso:

1. al mondo attorno a noi,

2. ai nostri rapporti con altri esseri umani e

3. alla nostra stessa esistenza individuale.

Da dove viene questo bisogno di dare un senso a questi tre quesiti fondamentali dell’esistenza? In questo tradisco, senza alcuna vergogna, la mia formazione di biologo e in particolare di neuroscienziato.

L’evidenza che l’essere umano sia emerso da un processo evolutivo, con i primi ominidi apparsi circa da 3 a 5 milioni di anni fa, e’ incontrovertibile. Il problema e’ quindi non già se l’uomo si sia evoluto, ma come questo sia avvenuto. Il problema così attuale del genoma umano dimostra, in modo convincente, che l’essere umano non e’ poi così distante dai suoi cugini nel processo di diversificazione della vita sulla terra. Il processo evolutivo non comprende solo l’aspetto fisico dell’essere umano, ma anche le sue attività mentali compreso il linguaggio, l’immaginazione, i sentimenti, compreso quelli religiosi. L’evoluzione del sistema nervoso (cervello) sta’ certamente alla base del processo dell’evoluzione della mente. Quindi il problema che va posto non e’ se la religiosità e le attività spirituali siano comparse per un processo evolutivo o meno, ma come e quando siano comparse.

Nell’evoluzione del cervello c’e’ una buona correlazione fra la complessità del sistema nervoso e il grado di costruzioni percettive del mondo esterno e degli individui stessi di una particolare specie. Questo processo si e’ accelerato con la comparsa dei mammiferi, data l’importanza crescente che i rapporti sociali hanno acquistato sia fra genitori e figli che in comunità più estese.

Negli organismi più complessi il cervello non controlla solamente movimenti e comportamento e non solamente integra l’informazione sensoriale che giunge al cervello attraverso i sensi, ma e’ anche sede di attività continua anche in assenza di movimenti e di sensazioni. Questa attività "silente" del sistema nervoso può essere considerata a tutti gli effetti come "attività mentale" cosciente o non-cosciente che sia. Naturalmente anche l’attività mentale e’ comparsa per un lento processo evolutivo. Ciò che chiamiamo le visioni del mondo, cioè miti, religioni e la scienza stessa, per quanto grandiose siano, sono pur sempre costruzioni mentali cioè umane. Pertanto, anche queste gigantesche e complesse costruzioni del pensare umano, il modo in cui si vedono i rapporti con altri esseri umani e il rapporto con se stessi, sono stati della mente che sono comparsi in qualche momento nell’evoluzione.

 

La comparsa dei valori

Fra queste attività mentali, chiamiamole superiori nel senso che sono certamente le più complesse sinora, c’e’ la capacità di attribuire significato e valori.
Viene detto spesso che gli esseri umani sono unici nell’attribuire significati, valori al mondo, a sé stessi e ad altri esseri umani. Questa caratteristica umana apparentemente unica, a meno che non la si ritenga di origine trascendente, deve essere anch’essa il frutto di un processo evolutivo. Come questa evoluzione possa essere avvenuta appare in parte chiaro dagli studi degli altri animali.

Sin dall’inizio gli organismi viventi hanno dovuto far delle scelte fra le diverse richieste impellenti per la sopravvivenza stessa. Nutrirsi, fuggire dai pericoli e riprodursi sono le funzioni più fondamentali della vita stessa. Il vantaggio evolutivo di provvedere strumenti adeguati per scegliere fra questi comportamenti sta’ alla base del cammino evolutivo per lo sviluppo di un sistema nervoso complesso, e ricco di attività "mentali". Il processo di fare scelte fra diversi comportamenti richiede prima di tutto la capacità di percepire fenomeni salienti nell’ambiente esterno.
La comparsa del sistema nervoso, sin dall’inizio della comparsa degli organismi multicellulari, compreso quella dei vertebrati circa 500 milioni di anni fa, testimonia l’importanza di questa funzione che si sviluppò più complessa nei mammiferi. Circuiti nervosi si svilupparono specificamente per garantire comportamenti complessi ed effettivi per nutrirsi, fuggire da danni e riprodursi. Da questi si svilupparono circuiti nervosi più raffinati che arricchirono il repertorio di ciò che viene giustamente chiamato "comportamento adattativo". L’insieme di questi circuiti nervosi e le loro interazioni con l’ambiente sono alla base del processo di attribuire valori e senso di cui l’essere umano e’ così impregnato.

 

Memoria, tempo e angoscia esistenziale

Un altro aspetto fondamentale per comprendere la comparsa della spiritualità e’ lo sviluppo della memoria. L’emergenza della memoria nel sistema nervoso ha una lunga storia. L’aumento di questa funzione permise agli animali più complessi di percepire le regolarità più salienti nell’ambiente che facilitarono l’adattamento. Lo sviluppo della memoria attribuì agli ominidi capacità di immaginare situazioni prima di averne esperienza diretta. Questo segna la comparsa dell’immaginazione. Questo passo evolutivo si accompagnò anche alla capacità di ricordare esperienze passate mediante introspezione. Con l’immaginazione gli ominidi e gli esseri umani poterono proiettarsi nel futuro e iniziare a pianificare comportamenti sulla base delle regolarità dell’ambiente. Questa segna probabilmente la nascita del senso del tempo nel sistema nervoso degli animali più complessi.

Quest’enorme vantaggio evolutivo, di esser cioè capaci di compiere prove di vita estemporanee, cioè prima di farle nella realtà, e’ avvenuto ad un altissimo prezzo esistenziale. Nell’aumentare questa capacità di immaginare eventi prima e dopo il momento presente, cioè di ampliare la sfera del "Tempo", il processo evolutivo raggiunse uno stadio critico. Gli esseri umani poterono immaginare tempi più in là della propria vita, prima e dopo. Divennero pertanto consci della propria fine. In altre parole riconobbero la loro mortalità.

L’angoscia esistenziale, provocata da questa presa di coscienza, rimane ancora profondamente radicata nelle nostre menti. Il senso di disperazione di perdere qualcheduno a cui siamo emotivamente attaccati, ha giocato e gioca un ruolo importante nel plasmare la nostra vita individuale e sociale. Naturalmente, anche la ricchezza delle emozioni umane trova riscontro nell’evoluzione con la comparsa di circuiti nervosi dediti a guidare comportamenti secondo esperienze piacevoli o sgradite. La comparsa di miti e religiosità coincide, probabilmente, con questo gradino, molto drammatico, dell’evoluzione. Il senso della propria mortalità e’ stato da allora forse la sfida più grande che ogni essere si porta dietro. Questa segna la nascita dell’attività mentale, conscia, e della spiritualità. La spiritualità dunque e’ il risultato di un lungo processo dell’esser cosciente di essere individui unici e distinti dal mondo e dagli altri e inoltre di essere mortali. Ciascuno di noi, esseri mortali e coscienti di esserlo, vive questi drammatici passi come esperienza inevitabile della vita.

Angoscia, paura, speranza, disperazione trovano tutte probabilmente le loro radici in questo processo evolutivo, quasi fosse un prezzo inevitabile per il successo di estendere le capacita mentali superiori. Questo processo sofferto e paradossale potrebbe essere la radice di ciò che siamo giunti a chiamare "la condizione umana".
L’esistenza di un mondo oltre l’esperienza immediata divenne parte della "natura" umana. Dobbiamo pensarlo come un processo che e’ nato circa 100 mila anni fa’ con Homo Sapiens e che si sta ancora evolvendo. E’ l’inizio del porsi domande di natura fondamentale. E’ l’inizio della conquista dell’ignoto.

 

I sentimenti di spiritualità, onniscienza, onnipotenza e immortalità

Vorrei ora discutere l’idea che alcuni dei concetti profondi legati a sentimenti di spiritualità, sono anch’essi il risultato di un’evoluzione culturale avvenuta durante l’esistenza dell’Homo Sapiens.
La capacità di immaginare situazioni, per poi comprovarle nella realtà, sta alla base di ciò che chiamiamo conoscenza. Il senso di aver conoscenza anche di eventi e situazioni non immediate ha probabilmente dato origine, per un processo di estrapolazione ultima, al concetto di onniscienza, del poter sapere saper tutto, per lo meno in principio.

Il sentimento esplicito di poter controllare il proprio destino che si accompagna anche ad un senso di potere su se stessi, sugli altri e sul mondo circostante, sta’ probabilmente all’origine del concetto di onnipotenza.
La terza idea fondamentale e’ legata alla difficoltà di accettare esistenzialmente che il nostro stesso essere individuale possa scomparire semplicemente con la morte.
Questo rifiuto esistenziale ha probabilmente dato origine alla speranza e alla credenza dell’immortalità dell’essere soggettivo, il sé stesso cioè l’anima.

Non e’ probabilmente un caso che gli esseri umani abbiano attribuito alle loro entità supreme caratteristiche di onnipotenza, onniscienza e di immortalità.

 

Curiosità e fede

La realizzazione di essere individui, di essere distinti e separati dal mondo, e’ accompagnata da un senso di essere osservatori del mondo. Assieme a questa capacità di separare l’esperienza di un sé interno da quella di un mondo esterno, si sviluppò anche un dualismo di vedute circa la natura di questo mondo. Da un lato vi e’ l’immediato, ciò che appare ai sensi, e dall’altro ciò che sta nascosto dietro a ciò che appare. Questa e’ l’origine certamente preistorica, del senso che nulla e’ ciò che appare. Nulla e’ ciò che sembra. Questo segna la comparsa di un senso profondo che ci sia una realtà nascosta, e più vera, di quella presente, delle apparenze, qualche cosa che esiste oltre a ciò che viene osservato o vissuto direttamente. A questo senso dell’esistenza di un mondo che va oltre l’esperienza immediata si accompagnò la curiosità che e’ il motore della conoscenza.

Assieme al bisogno di mantenere una curiosità viva, per poter compiere azioni a lungo termine, azioni che spesso durano una vita intiera, si e’ dovuto sviluppare un’altra importante capacità. Un senso di continuità nel tempo in previsione di ciò che ci si attende nel futuro. Questo sentimento che da una certa sicurezza in ciò che accadrà e’ la fede. In questo senso fede e credenze sono stati mentali di preparazione a ciò che avverrà. Sono, per natura, temporanei. Sono idee di ciò che potrebbe essere davvero dietro le apparenze. Sono esperienze mentali di qualche cosa oltre l’osservazione e oltre l’esperienza immediata. La fede insomma rappresenta uno strumento essenziale per volgersi al quesito delle realtà nascoste.
La fede può esser quindi interpretata come un modo di dare un certo grado di sicurezza che ci siano cose anche quando non si possono ancora vivere direttamente, o perché non siano qui, o perché non accadano al presente. Ad un livello semplice, la fede equivale alla capacità di agire come se ci sia un mondo oltre a ciò che si percepisce al momento. Così per esempio, il semplice aver fede che troveremo ancora i nostri cari quando torniamo a casa o al rifugio, o che dietro quella collina ci sia un animale che inseguiamo, diventa un atteggiamento essenziale per la sopravvivenza. Credere e’ dunque uno stato temporaneo necessario prima di poter stabilire e confermare come stiano, di fatto, le cose.

Un’altra caratteristica degli essere umani, che si e’ sviluppata assieme alla curiosità e la fede, e’ il dubbio. Ogni volta che si da una credenza, una possibile domanda si affaccia al pensiero; "ma sarà proprio così?" Questo stato d’animo tempera le credenze e le obbliga a rimanere in sospeso sin tanto a che non si sia andato a vedere cosa davvero ci sia. Il dubbio, o uno stato di un certo scetticismo, non e’ incompatibile ne’ con la curiosità ne’ con la fede. Il dubbio fa parte della triade di stati della mente inquisitiva che comprendono dunque curiosità, fede e dubbio. La mente inquisitiva spinge a chiedersi "cosa c’e’?" poi "credo ci sia questo o quello" e poi infine "ma sarà proprio cosi?" La mente inquisitiva a sua volta fa parte del processo di adattamento evolutivo che rende l’essere umano così "mentale".

In questa ottica evolutiva si può vedere ora più chiaramente che la scienza e’ un’attività inquisitiva che applica questa triade di atteggiamenti in modo più rigoroso e completo di quanto fatto prima. La capacità di sperimentazione della scienza moderna ha esteso la capacità di verifica di dubbi e pertanto ha aumentato in modo straordinario l’orizzonte della conoscenza possibile.

 

Le dicotomie; due visioni del mondo e la natura della realtà

Negli ultimi millenni di evoluzione culturale alcune dicotomie sono comparse a causa di questa mente inquisitiva. Una di queste, che rappresenta una potente fonte di incertezza, e’ la dicotomia che c’e’ fra la realtà immediata e materiale da un lato, e una realtà nascosta e più essenziale dall’altra. Questa dicotomia ha portato molti pensatori ad oscillare fra due posizioni apparentemente inconciliabili di cosa sia la realtà.
Da un lato c’e’ un profondo senso dell’importanza della immediatezza della nostra esperienza. Questo ha portato molti pensatori ad affermare in modo deciso che il mondo e’ ciò che appare, e che ciò che si vede, si tocca e si sente e’ reale (vedere e’ credere) e che quello che ci dicono i nostri sensi e’ reale. Chiamerò questo il mondo del qui-ed-ora.

Dall’altro lato l’esperienza di cose e fenomeni che non si osservano immediatamente, ma che pur ci sono alla luce dell’esperienza susseguente, suggerisce che ci sia un mondo reale, ma nascosto. Che ci sia una natura essenziale più vera di quella immediata. E’ l’idea platonica alla ricerca dell’essenza delle cose, per rivelare cosa c’e’ dietro le apparenze. Chiamerò questo mondo dell’ al-di-là.
Da queste tendenze apparentemente contraddittorie sono nati da un lato il concetto della res extensa, basata sulle sensazioni, su oggetti esterni, il mondo materiale della fisica e della materia che decade, e dall’altro il concetto della res cogitans, delle cose immateriali, dei sogni, dell’immaginazione, delle idee, della mente pensante, dello spirito immutabile, dell’anima immortale.

Da ciò l’idea che ci siano due o più conoscenze adatte ai due mondi, quello della materia e quello dello spirito. L’una si acquista attraverso i sensi dal mondo materiale (la scienza apparterrebbe a questa forma di conoscenza) e l’altra proviene dal mondo spirituale come il ragionamento aristotelico ipotetico-deduttivo, l’intuizione, o addirittura le post Platoniche "rivelazioni divine" comunicateci direttamente o indirettamente da entità trascendenti.
Questo dualismo si irrobustisce con la distinzione fra il sapere a priori e trascendente e quello scientifico a posteriori e immanente, oppure considerandole conoscenze parallele con magistero equivalente, ma in campi diversi. Da qui il potenziale scontro fra conoscenza per illuminazione divina e conoscenza tutta umana.

La distinzione fra questi due mondi permea ancora sia il linguaggio di tutti i giorni che quello dei concetti di cosmologia. In filosofia questa dicotomia e’ nota come la visione dualista del mondo che dobbiamo in tempi recenti a Cartesio. In molti dei libri sulla spiritualità moderna questo concetto e’ accettato come dato indiscutibile e temo che molti di voi nell’udienza accettino questa visione dualistica con tutti i paradossi che ne conseguono. Vedremo che il negare completamente le due visioni porta a impossibilità ancora più estreme.
Vorrei proporre il modo in cui possiamo vedere questi due mondi e modi di conoscerli sotto una prospettiva umanistico/scientifica, rifacendomi alla natura comune della conoscenza e dei processi evolutivi che sottostanno alla conoscenza.

Gli esseri umani da un lato devono interagire continuamente con il mondo mutevole dell’immediato e, dall’altro grazie al processo straordinario di evoluzione del cervello, gli esseri umani possiedono anche un'attività nervosa indipendente dal sensorio immediato che e’ presente anche in assenza di movimenti e di comportamento. Questo stato di attività cerebrale senza azione può essere definita come attività mentale, cioè pensiero. Da qui la distinzione fra il mondo del pensiero interiore e immateriale e il mondo esterno e materiale. Questi processi, hanno certamente aiutato gli esseri umani a vivere sia nel contatto continuo del presente immediato che nel concepire un mondo del passato e del futuro. Questo e’ la funzione d’adattamento di questi processi.
Mi pare che questa dicotomia sia emersa da un processo di estrapolazione, comprensibile ma forse esagerata, di processi del tutto normali. Ma non dovrebbe quindi sorprendere che qualsiasi tentativo di negare l’una o l’altra di queste visioni della realtà abbia portato a paradossi impossibili da risolvere. Di fatto sia la visione che solo le idee sono reali (idealismo classico) sia l’idea che solo la materia sensibile e’ reale (materialismo classico) hanno portato inevitabilmente a situazioni insoddisfacenti sia per la vita pratica che per la filosofia.

 

Oltre al dualismo

Queste due visioni del mondo, spinte agli estremi da diversi filosofi sia dell’idealismo che del materialismo, non sono convincenti per un critico serio. Che l’esperienza soggettiva non significhi una "esistenza reale" e’ chiaramente assurda per la maggior parte delle persone pensanti e di buon senso. La conseguenza del negare questa visione e’ che si rifiuterebbe di "esistere" nel presente, nel qui e ora, con chiari problemi di sopravvivenza. D’altro lato l’idea che il mondo sia fatto solo di materia sensibile conosciuta solo attraverso l’esperienza immediata e che non ci sia un mondo di esistenza mentale e’ altrettanto assurda. La conseguenza del negare la vita mentale porta a considerare altri esseri umani dei semplici automi, atteggiamento esistenzialmente incompatibile con l’ esperienza personale per la quale si tratta con altri esseri umani come se fossero coscienti e autonomi.
D’altro canto la visione che il mondo sia fatto solo di idee a che addirittura il mondo sia del tutto immaginario e che potrebbe non esistere al di fuori della nostra esperienza e’ un esercizio che porta solo al solipsismo.

La visione tradizionale e’ stata che il mondo della materia e’ cangiante, caduco limitato nel tempo e nello spazio, mentre il mondo spirituale e’ immateriale, e non limitato da spazio e tempo immutabile. Questa visione normalmente sostiene che questo secondo mondo dello spirito sia un mondo migliore nel quale le menti, gli spiriti esistono lontano dal mondo di dolori e tragedie del mondo materiale, e che le anime dunque trovano pace e riposo "nell’altro mondo". Questa metafora dei due mondi ha resistito per molte centinaia di anni, forse millenni, tanto forte e’ l’importanza che questi due tipi di esperienze hanno per gli individui.
Di fatto salvo il credere che ci sia una mente non-umana capace di osservare il mondo dal di fuori, non vi e’ altro modo di superare i paradossi della visione dicotomica, salvo il comprendere meglio l’origine e la ragione evolutiva di pensare alla esperienza soggettiva del "sé" e ad un "mondo" separato dal sé.

Questa dicotomia e’ artificiale e nasce a mio avviso, da una serie di malintesi circa la natura della conoscenza. Seguendo questa dicotomia la conoscenza del mondo cosiddetto fisico e’ prerogativa della scienza, mentre la conoscenza dei pensieri e della mente umana, del mondo cosiddetto spirituale cioè, e’ prerogativa della filosofia e della religione. Questa separazione a mio avviso oggi insostenibile. I malintesi su cui si basava possono essere chiarificati.

Fra gli studiosi di scienze cognitive e alcuni filosofi si ritiene che anche le esperienze più soggettive, quelle ritenute appartenenti al mondo dello spirito, hanno una controparte fisica. Che sono cioè stati fisici del sistema nervoso seppur molto complessi. D’altro lato dobbiamo anche accettare che e’ il funzionamento del cervello a creare una realtà, come quella delle nostre vivenze, e che quindi anche le entità più prettamente "fisiche e materiali" hanno associate ad esse un aspetto di spiritualità umana, nel senso che sono il prodotto di una costruzione mentale, pur coerente con il mondo. E’ proprio la coerenza fra costruzioni mentali e conseguenze nel mondo, che giustifica evolutivamente la correttezza di queste costruzioni.
Infatti, questo processo, che può considerarsi di superamento della dicotomia dello spirito e della materia, del corpo e della mente e’ già a buon punto. Oramai quasi nessuno si fa fautore esclusivo di una delle due soluzioni opposte e paradossali. Malgrado le difficoltà di pensiero, che non vanno sottovalutate, non e’ sorprendente che il processo di superamento sta avvenendo perchè le idee dualiste svaniscono per lasciar posto ad idee più mature e unificanti.

In questa ottica la prima considerazione e’ che se sia la costruzione del mondo esterno da parte della mente che la creazione di un mondo soggettivo interno sono il prodotto dell’evoluzione, allora si possono considerare soggetto di studio sotto una stessa prospettiva. Quella cioè di trovare i correlati dell’attività nervosa alle esperienze esterne ed interne. Questo sta’ avvenendo ad esempio con gli studi delle attività nervose correlate con esperienze religiose. Naturalmente questi studi si inquadrano in una visione più ampia che prende spunto da diverse branche della conoscenza fra cui psicologia, psichiatria, linguistica, neuroscienze, antropologia, biologia ecc.
D’altro lato in fisica l’influenza del pensiero umano stesso nel plasmare le idee circa la natura del mondo porta con se sempre di più un’impronta prettamente umana Si parla di un principio antropico per indicare proprio questa sensazione che la mente umana impronta di se persino le apparenti leggi naturali. Si pensa, evitando di esagerare l’importanza della mente umana, che non sia uncaso che la mente trovi principi dell’universo che sono totalmente coerenti con la mente. La mente si e’ evoluta adattandosi al mondo e quindi non e’ sorprendente che rifletta questa coerenza, senza la quale la specie umana non sarebbe comparsa come specie adatta alla vita su una terra con aria, sole e gravità.

 

Una prospettiva di conoscenza umanistica

Tenendo conto di tutto quanto detto sopra si può affermare, con la prospettiva dell’umanesimo scientifico, che la conoscenza può essere solo umana e che e’ il risultato di un’attività tutta umana, non derivante da un’istruzione da entità divine. Il mondo da un lato quello materiale cioè fatto di oggetti e fenomeni, e il mondo spirituale, cioè tutte le attività mentali, dall’altro, sono parte dello stesso universo a cui si può accedere solo mediante la mente pensante dell’uomo.
Forse il vederci e accettarci come parte del mondo stesso, e’ un primo passo necessario. La storia del riconoscimento che noi non occupiamo poi un posto così importante nel mondo tanto da pensare che il mondo sia una creazione solo per uso dell’uomo, e’ lunga ed e’ appena agli inizi. Nell’afflato di spiritualità, nel desiderio di trascendere l’esperienza immediata e di dar senso al mondo, alla vita a noi e agli altri, la conoscenza scientifica umanistica mi pare abbia un ruolo fondamentale da giocare.

 

La dimensione spirituale della scienza

Come dissi sopra la tendenza alla spiritualità dell’essere umano si manifesta con un desiderio di dare senso alla propria esperienza, cioè dar senso del mondo, dar senso di sé in rapporto agli altri e dar senso di sé come essere individuale. A questo desiderio corrispondono tre corrispondenti domande fondamentali.

1. La prima questione e’ quella delle origini. L’origine del mondo, della vita e dell’uomo.

2. La seconda e’ quella delle relazioni umane, dell’origine dei costumi, delle leggi di convivenza della moralità e dell’etica.

3. La terza questione e’ quella dell’identità personale. In altre parole chi siamo per noi e come conciliamo le nostre vivenze individuali e uniche con il mondo e con gli altri.

La scienza, come si e’ sviluppata nella cultura post-rinascimentale, fa parte del processo di evoluzione culturale che mira a dare spiegazioni alle tre questioni fondamentali accennate sopra. La scienza, a differenza delle altre cosmologie religiose e mitiche o mistiche, ha pazienza. Cioè resiste a dare spiegazioni affrettate solo perché si e’ posta una domanda. Questa pazienza spesso le religioni non la hanno e hanno creato mostri di pensiero dai quali stiamo ancora liberandoci. Pian piano, la scienza sta raggiungendo una unità di visione grazie alla coerenza fra molte vie di investigazioni. La "consiliency" di E Wilson corrisponde al concetto di concordanza fra campi del sapere diverso. Questa concordanza sta alla base dell’unificazione possibile del sapere. Non un sapere finale, ma sempre approssimato e evolvente.

Da questa nuova maturità, raggiunta dalla scienza umanistica, si possono intravedere cenni di risposte alle tre questioni fondamentali.

Circa la questione delle origini, la scienza ci mostra un universo in evoluzione comparso circa 15 miliardi di anni fa, nel quale la vita sulla terra comparsa da qualche miliardo di anni, viene oramai vista come una serie di gradini incredibilmente complessi ma che riportano la questione ad un livello umano. La comparsa dell’uomo poi con tutte le sue unicità di pensiero, linguaggio e autocoscienza èpure riportata a misura di conoscenza umana.

Circa la questione dei rapporti con gli altri, e quindi le basi dell’etica, il riconoscimento che si e’ una specie di mammiferi con ancora molte delle caratteristiche associate ad essi, ci fa accettare che fenomeni quali la cooperazione, la lotta per la riproduzione, le emozioni associate alla vita di gruppo, sono tutte parte del nostro bagaglio biologico, accettato e non rifiutato. La morale e l’etica insomma hanno una radice profondamente biologica. Il sentirci parte dell’evoluzione della vita ci da anche un senso profondo di appartenenza comune ad una terra, piccolo granello nell’universo. La possibilità di essere una specie che potra’ finire come tutte le altre ci da’ un profondo senso di umilta. La comparsa delle culture nelle societa’ animali si estende all’uomo. Le culture stesse diventano soggetto di studio e rendono piu’ consapevoli noi dell’ l’attenzione con la quale si deve considerare il processo di convivenza su uno stesso pianeta.

Circa la terza questione fondamentale dell’essere individuale, della vita interiore, la scienza non si ritira in un agnosticismo. Questa questione e’ quella di maggior difficoltà in quanto va a toccare processi profondi, e nascosti, all’introspezione. L’origine della coscienza personale rappresenta una delle maggiori sfide al sapere umano. Ma con le possibilità che compaiono molto rapidamente, di indagare lo stato del cervello associato a diverse esperienze, si apre la prospettiva di non considerare più la mente una scatola chiusa dentro il cranio, ma come una particolare e forse unica, struttura della materia con stati che corrispondono al "soggettivo".

 

Considerazioni finali

La nuova maturità che emerge da queste conoscenze scientifiche, mai come prima disponibili ai più, attraverso pubblicazioni chiare e semplificate, ma valide e profonde, può, in effetti, prendere un posto importante nella cultura umana, nella ricerca di risposte alle questioni fondamentali. Il posto dell’uomo nel mondo, il rapporto di interdipendenza dagli altri, e quello particolarissimo del sé stesso che viene dal nulla e torna al nulla, possono esser visti con questa nuova ottica con un maggior senso di matura serenità.
La scienza vista come l’attività spirituale sociale più eccelsa ha dunque la responsabilità di dare risposte alle domande, non solo quelle del primo quesito sulle origini, ma anche sulla società e sull’essere stesso cosciente e autonomo e quindi responsabile.

Come prodotto di esseri responsabili, la scienza ha una responsabilità ancora maggiore di occuparsi di tutti gli aspetti della vita umana sopratutto a lenire le sofferenze dovunque esse accadano.