Marconi e la comunità dei fisici italiani 1927-1931
Sulla figura di Marconi inventore, imprenditore uomo pubblico molto si è scritto. Meno noto risulta il ruolo da lui svolto presso la comunità dei fisici italiani, in particolare negli anni che vedono il decollo della scuola di Fermi a Roma. Quale fu il peso di Marconi in questa vicenda? In che misura egli condivise le scelte di politica della ricerca, assolutamente nuove nei modi e nei contenuti, di O. M. Corbino e A. Garbasso, che portano all'affermazione del gruppo romano? O quanto, piuttosto, egli fu l'esecutore fedele della politica scientifica imposta dal regime fasciata? Tenteremo di dare una risposta alle questioni poste, attraverso il confronto tra due momenti chiave sia rispetto al ruolo istituzionale rivestito da Marconi in quegli anni sia relativamente alla crescita della scuola romana: il Convegno Volta, svoltosi a Como nel 1927, e il Convegno di Fisica nucleare di Roma nel 1931.
Prima di passare a trattare più da vicino i due eventi, analizziamo brevemente il clima politico-istituzionale che si era instaurato in Italia in quel periodo. Alla fine della prima guerra mondiale l'Italia aveva un livello socio-economico tra i più bassi in Europa. Le vicende belliche avevano spinto a rivedere il ruolo della scienza intesa ormai non più come una attività speculativa, condotta individualmente in modo disinteressato nei piccoli laboratori universitari, ma come impresa funzionale alle sorti del Paese, dalle grandi e promettenti potenzialità produttive. In Italia, negli ambienti industriali, i primi a puntare sulla ricerca applicata e più in generale sull'impresa scientifica furono il settore elettrico e quello chimico, mentre negli ambienti accademici è ben noto il ruolo svolto dal fisico matematico Vito Volterra. Egli promosse e coordinò varie attività di organizzazione scientifica, tra le quali, nel 1919, il progetto di costituzione del CNR italiano, allo scopo di mobilitare scienziati per lo sviluppo e la difesa del Paese. Fu in questo clima così mutato che il fisico Corbino (allora Direttore dell'Istituto dì fisica di Roma), ne1192l, diventò Ministro della Pubblica Istruzione.
Con la presa del potere da parte di Mussolini la rivalutazione della scienza in termini utilitaristici e nazionalistici - tra l'esaltazione dei grandi scienziati del passato e la mitizzazione delle applicazioni pratiche della scienza -fu esasperata e banalizzata dalla retorica fascista. Nel 1926 Mussolini, che era ormai ampiamente citato nei discorsi di apertura dei principali consessi scientifici nazionali, denunciava lo stato di crisi e di ritardo in cui versava la scienza. Un anno prima la supremazia dell'Italia era stata ribadita nel "manifesto degli intellettuali fascisti" di Gentile. Al proclama gentiliano si era contrapposto -a una settimana di distanza -il manifesto antifascista di Croce teso, al contrario, a riaffermate il valore transnazionale e universale della cultura.
In questo scenario la traiettoria accademica di Volterra declinò bruscamente, lasciando spazio a quella di Marconi. Dopo aver firmato il manifesto crociano, infatti, Volterra cadde in disgrazia e dovette abbandonare sia la presidenza del CNR che quella dell'Accademia dei Lincei nel 1926, fino perdere il posto di professore universitario nel 1931 per essersi rifiutato di prestare giuramento al regime. Marconi invece, come vedremo meglio tra poco, aveva tutte le carte in regola per rappresentare il nuovo corso della politica della ricerca.
Il regime non si accontentò tuttavia di creare consenso facendo leva sui valori emozionali dell'utilitarismo e del nazionalismo della scienza, bensì tentò la conquista istituzionale dell'impresa scientifica attraverso una serie di passi mirati: innanzitutto lo sviluppo del CNR, che doveva diventare la fucina in grado di ristabilire l'antico primato degli italiani nelle scienze e nella tecnica. Riordinato nel '27, anno in cui alla presidenza venne eletto Marconi, e poi ancora nel '32, si trasformò sempre più, a partire dal '37, in un ente di ricerca controllato dal regime.
In secondo luogo vennero istituiti premi e incentivi alla ricerca, vennero potenziati gli istituti di ricerca soprattutto del settore elettrico, chimico e meccanico; nel '25 venne aperta, all'interno della SIPS (Società Italiana Per lo Sviluppo della scienza), una sezione di scienze militari con la conseguente istituzione nelle università di discipline tecnicomilitari; gli stanziamenti a favore della ricerca nelle università vennero aumentati, grazie anche all'intervento dì Corbino che era divenuto, nel '26, Ministro dell'economia.
Il convegno di Como, in questo clima di attività frenetica doveva offrire così agli occhi del mondo la prima realizzazione concreta e su grande scala di quella concezione "rinnovata" di scienza funzionale al regime.
Il convegno di Como del 1927
Dall'11 al 20 settembre del 1927, anno V dell'era fascista, si tenne dunque a Como il Congresso internazionale dei Fisici. Il 19 i congressisti furono invitati a Roma dal Governo di Mussolini: al Campidoglio Marconi tenne il discorso per la commemorazione nazionale di Volta, e a Villa Torlonia Mussolini espresse ai convenuti "il suo compiacimento che l'idea italiana e romana, che anche in Volta è rappresentata ed ispira il governo fascista, abbia ritrovato in quest'occasione tanta rispondenza tra così cospicue intellettualità di ogni nazione". Il convegno non aveva precedenti per il numero di invitati illustri, tra i quali dodici premi Nobel, e per la grandiosità dell'organizzazione. Di convegni internazionali altrettanto imponenti se ne erano svolti in. Europa in quegli anni solo due, con il patrocinio dell'industriale belga E. So!vay, nel 1921 sul tema "atomi ed elettroni" e nel 1924 sulla conducibilità dei metalli. Il congresso italiano sembrava tuttavia superarli tutti: vi parteciparono infatti sessantuno scienziati di quattordici nazioni, tra le quali anche la Germania e l'Austria, di nuovo ammesse nei consessi scientifici internazionali dopo il boicottaggio decretato contro la deutsche Wissenschaft da parte delle accademie interalleate. Tra i fisici invitati intervennero, tra gli altri, N. Bohr, M. Born, W. Pauli, M. Planck, A. Sommerfeld, W. Heisenberg, E.W . Aston, E. Rutherford, M. Brillouin, M.de Broglie, H.A. Lorentz, A.H. Compton e R.A. MilIikan. Nella delegazione italiana dominavano i gruppi che rappresentavano la fisica-matematica (G. Giorgi, T. Levi-Civita, C. Somigliana, P. Straneo, V. Volterra) e la fisica sperimentale (A. Amerio, M. Cantone, O. M. Corbino, A, Garbasso, G. Gianfranceschi, M. La Rosa, A. Lo Surdo, Q. Majorana); era presente anche Fermi (che aveva appena vinto la cattedra di Fisica Teorica a Roma nel '26) ma con un ruolo scientifico ancora secondario. Marconi era presidente onorario del "Comitato esecutivo per le onoranze a A. Volta". Fra i vicepresidenti, oltre a politici e industriali locali, gli scienziati che avevano un ruolo rilevante erano Quirino Majorana (Bologna) e Giancarlo Vallauri (Torino) presidente dell'Associazione Elettrotecnica Italiana. Majorana, l'erede di Righi, esponente della vecchia guardia dei fisici sperimentali italiani e presidente della Società Italiana di Fisica, giocò in questa occasione il ruolo scientifico-6rganizzativo che sarà di Fermi nel '31. Il convegno -nonostante il programma deciso da Majorana destinasse i quattro quinti del tempo alle celebrazioni voltiane e alla fisica classica -si rivelò molto importante dal punto di vista scientifico: durante l'ultima giornata, dedicata a "Le teorie sulle strutture della materia e sulle radiazioni", Bohr presentò una relazione che cambiò profondamente la Fisica. Il fisico danese e con lui Heisenberg, Born, Pauli, Kramers utilizzarono infatti Como come trampolino di lancio per la meccanica delle matrici e soprattutto per presentare -in anteprima mondiale -uno dei cardini dell'interpretazione ortodossa di Gottinga-Copenhagen, il principio complementarietà sul dualismo onda -corpuscolo, che susciterà un mese dopo, alla Quinta conferenza Solvay, un duro scontro tra probabilisti e realisti. Senza il colpo di mano di Bohr in coda al programma dei lavori, il convegno di Como sarebbe stato ricordato più come un evento celebrativo, dall'organizzazione faraonica, che per i temi specialistici dibattuti. Quali erano allora gli obiettivi che l'evento, al di là dei suoi contenuti scientifici, nascondeva?
In primo luogo il congresso doveva decretare ufficialmente l'ingresso dell'Italia tra le potenze mondiali, testimoniando l'avvenuto "sviluppo scientifico ed il rinnovamento spirituale dell'Italia Fascista". A Mussolini esso offriva l'opportunità di ottenere consenso e adesione alla politica scientifica del fascismo, sia all'interno che soprattutto all'estero. E poteva condurre all'inglobamento dei settori industriali del Nord, in particolare dell'industria elettrotecnica. I gruppi locali, rappresentati dai piccoli industriali legati al fascismo che di fatto per buona parte avevano promosso e sostenuto finanziariamente le celebrazioni, aspiravano ad assicurarsi trattamenti di favore da parte del regime e a competere in particolare con la Edison, la grande compagnia elettrica che cresceva in quegli anni anche grazie al regime monopolistico italiano.
Sul versante del potere accademico, Majorana usò il convegno per sostenere la vecchia guardia dei fisici, sostenendo un programma dei lavori quasi tutto mirato sulle ricerche in spettroscopia. La nuova generazione dei e i romani in ·prima linea, stava per ora dietro le quinte, pronta tuttavia a stabilire con il regime un rapporto che li mettesse in condizione di realizzare i loro programmi scientifici, come vedremo meglio nel convegno di Roma.
Sul versante del potere istituzionale, infine, Marconi la personalità scientifica più illustre del Paese venne usato da Mussolini per far decollare il progetto di conquista dell'impresa scientifica, ma ciò certamente non fu fatto contro la sua volontà: fu proprio a partire dal convegno di Como che avenne il passaggio del potere effettivo sulla comunità scientifica nelle mani di Marconi. Egli divenne infatti, con la presidenza del CNR di lì a poco e dell'Accademia d'Italia poi, il raccordo politico fra il regime e la comunità scientifica anche a livello internazionale.
Il passo decisivo intrapreso dal regime alla conquista dell'impresa scientifica avvenne nel '29 con la creazione della Reale Accademia d'Italia, contrapposta intenzionalmente all'Accademia dei Lincei. ultima roccaforte degli spiriti liberi (nel '39 questa creatura artificiale del regime assorbirà addirittura i Lincei, per poi colare a picco nel '44).
Lo stesso capo del governo controllerà e approverà personalmente la lista degli scienziati membri dell'Accademia d'Italia: tra questi, Fermi venne nominato il 18 marzo del 1929 e "dovette" aderire subito dopo al partito fascista. Nel 1930 Marconi venne nomiriato presidente della Reale Accademia d'Italia. La nomina fu imposta da Mussolini, il quale, in deroga a una legge dello Stato che decretava 1'incompatibilità tra la carica di accademico e quella di membro del Senato (-Marconi era divenuto senatore per nomina reale dal 1914), volle a ogni costo Marconi, che divento d'ufficio anche membro de1 Gran Consiglio del Fascismo.
Che venisse scelto Marconi, divenuto ormai un mito vivente presso 1'opinione pubblica e sicuramente stimato per i suoi meriti pregressi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale (ricordiamo che gli era stato assegnato il Nobel nel 1909). non stupisce. Marconi costituiva - se cosi si può dire - 1'asso nella manica per il regime poiché era contemporaneamente scienziato, patriota e fascista: Marconi. iscritto ai fasci già dal '23, per sua stessa ammissione era diventato "fascista per convinzione'', sinceramente certo del bene che il suo capo apporterà all'Italia''. La cooptazione dell'inventore-scienziato da parte del capo del governo garantirà a Marconi posizioni di prestigio nell'ambito delle istituzioni scientifiche e a Mussolini faciliterà 1'avallo, soprattutto internazionale, nei confronti de11a sua politica della ricerca. È un fatto che dopo il '25 le affermazioni sull'italianità di Marconi si faranno sempre più frequenti nella stampa e il nostro verrà definitivamente iscritto tra i “Grandi Uomini d'Italia'', ritenuto "il più grande dei migratori italiani"' e ogni sua impresa verrà salutata come “nuovo trionfo del Genio italiano”.
La nomina di Marconi a presidente dell'Accademia d'Italia verrà così commentata dal suo vice cancelliere, Antonio Bruers: "Marconi personifica il genio che maggiormente occorre oggi all'Italia. La nostra nazione attende che la scienza possa riscattarla dalla dipendenza economica in cui la povertà di materie prime la colloca verso le altre nazioni. [...] Da questo punto di vista il compito della scienza si trasforma in una missione sociale, nazionale e, nel senso più alto della parola, anche politica. La caratteristica del genio di Marconi spiega come questo scienziato si sia sempre manifestato sensibile alle espressioni politiche della nazione. Le fasi di ascesa dello stato: guerra libica, intervento nel conflitto mondiale e fascismo lo trovano partecipe immediato e militante. Mentre troppi intellettuali si lasciano deviare o trattenere da teorie filosofiche, da dubbi storici, da una mentalità che concepisce la scienza come un universale antipolitico. Marconi aderisce con sicura coerenza al logico svolgersi della vita nazionale, guidato da un istinto politico che si immedesima con la natura stessa del suo istinto scientifico".
Tra il convegno di Como e il convegno di Roma si strinsero dunque le principali alleanze fra potere politico, istituzionale e accademico che caratterizzarono la cornice entro cui si realizzo la crescita del gruppo Fermi. ,
Il convegno di Fisica nucleare di Roma del 1931
Dall'11 al 18 ottobre del 1931, anno X dell'era fascista, si svolse a Roma il primo convegno delta Fondazione Volta, annessa alla Reale Accademia d'Italia, finanziato dalla Società generate italiana Edison di elettricità. Tema del convegno, a cui vennero invitati circa quaranta scienziati italiani e stranieri, "La fisica nucleare". La seduta inaugurale ebbe luogo nel palazzo della Farnesina, sede della Accademia d'Italia, con l'intervento del capo del governo Mussolini e alla presenza delle alte cariche dello Stato, mentre i lavori si svolsero nella sede dell'Istituto di Fisica della Regia Università di Roma, in via Panisperna.
L'organizzazione scientifica dell'evento venne interamente sostenuta da Fermi, segretario generale del convegno. Presidente effettivo del convegno fu Corbino e presidente onorario Marconi, il quale seguì attentamente la fase organizzativa dell'iniziativa senza tuttavia entrare mai nel merito dei contenuti scientifici. L'evento scientifico si inquadrava nel programma di ricerca sulla fisica nucleare che era stato indicato ufficialmente da Corbino (su suggerimento di Fermi e di Rasetti) in un importante discorso su I compiti della nuova fisica sperimentale tenuto nel '29, in cui egli aveva ritenuto "improbabili grandi progressi della fisica sperimentale nel suo dominio ordinario, [mentre] molte possibilità sono aperte sulla via dell'aggressione del nucleo atomico, il più seducente campo per la fisica di domani". Il campo di ricerca del gruppo di Roma si era così spostato dalla spettroscopia alla fisica nucleare. Fermi aveva invitato pertanto i ricercatori più prestigiosi a livello mondiale, sia teorici che sperimentali, della fisica nucleare e dei raggi cosmici per partecipare a un "brain storming" che mettesse a fuoco i principali problemi aperti. Il Congresso svolse appunto la funzione di catalizzatore nello scambio di informazioni e di risultati e nel confronto fra le nuove ipotesi sulla fisica del nucleo e sulla fisica della radiazione penetrante. La struttura del convegno si basava su sette relazioni a invito: di Mott (chiamato a fare una rassegna sulla teoria dell'elettrone), di Goudsmit (che parlò di spettroscopia e momenti nucleari), di Rossi sui raggi cosmici, di Bothe ed Ellis sulle ricerche più avanzate in radioattività. Chiudeva la serie la relazione di Gamow sulla teoria guantistica della struttura del nucleo, letta in absentia da Delbruck. A queste relazioni si dovevano poi ricollegare le comunicazioni più brevi.
L'importanza scientifica del convegno si rivelò enorme: nelle discussioni con il gruppo romano Pauli avanzò per la prima volta l'ipotesi dell'esistenza del neutrino per spiegare il bilancio energetico nel decadimento beta, e Fermi subito dopo formulerà la sua bellissima teoria del decadimento beta; Rossi, nella quarta giornata del convegno, tenne su incarico di Fermi la relazione introduttiva sui raggi cosmici attaccando indirettamente la teoria di Millikan con l'ipotesi dell'ultragamma che indurrà Compton a intraprendere la campagna di misure che gli farà scoprire l'effetto latitudine. Rispetto al convegno del '27 c'è da notare il diverso tipo di organizzazione: qui a sostenere finanziariamente l'evento fu la Società Italiana Edison di elettricità che compariva ormai, nella sua funzione di organizzatrice di congressi, come Fondazione Volta annessa all'Accademia d'Italia. Dopo la fase interlocutoria di Como (i piccoli industriali del Nord erano stati spazzati via) era al suo primo congresso internazionale, realizzato peraltro, a differenza del precedente, all'insegna della qualità e del risparmio. Dal punto di vista dell'organizzazione scientifica Fermi assolse brillantemente il compito concedendo molto poco agli aspetti celebrativi e retorici che si erano avuti a Como. Agli aspetti formali e politici provvide invece Marconi. Ma quali erano i rapporti tra Fermi e Marconi? Su questo aspetto la lettura del fascicolo sull'organizzazione del convegno, conservato oggi presso l'Accademia dei Lincei a Roma, è illuminante. L'impressione che se ne ricava è che tra Fermi e Marconi ci fosse un gelido accordo tra gentiluomini con una divisione precisa dei ruoli: a Fermi la responsabilità scientifica del convegno, l'opportunità non banale di riunire a Roma gli scienziati più illustri per discutere di fisica avanzata; a Marconi il compito di mediare con il regime ottenendo dal capo del governo il consenso su un evento di portata mondiale in cambio della realizzazione di quel disegno così fortemente voluto da Mussolini di costituire, con l'Accademia d'Italia, un trust di cervelli al servizio dello Stato. Tra Fermi e Marconi, con Corbino che spesso faceva da tramite, in sostanza si ebbe un contratto tacito, con reciproco vantaggio sia per la controparte scientifica che per quella politica che si dipanò tra appunti e messaggi, quasi mai diretti, tra i due protagonisti. Fermi pose dei limiti ai tentativi di Marconi, decisi ma sempre eleganti, di influenzare l'organizzazione del convegno per tener conto di esigenze politiche e diplomatiche. Marconi, dal canto suo, anche in qualità di Presidente dell'Accademia d'Italia, ebbe carta bianca rispetto ai protocolli da seguire nei confronti del capo del governo. Su eventuali pompe accademiche, peraltro, Fermi fece sapere che non intendeva indulgere per non imbarazzare gli ospiti stranieri. In ogni modo, tra i due non poté esserci competizione e ciascuno fu utile all'altro: Fermi come fisico riconosciuto, Marconi come uomo di potere. Né Marconi fisico poteva fare ombra a Fermi: pur stimato e apprezzato per i suoi contributi, Marconi rappresentava infatti un settore particolare dell'elettrotecnica di scarso o nullo interesse per la fisica di punta.
La conclusione che si ricava dall'analisi dei due convegni che segnano la transizione alla nuova Fisica e che i fisici pagarono consapevolmente e opportunisticamente un pedaggio per dare lustro al regime e alle sue realizzazioni in cambio di spazi istituzionali e accademici per fare ricerca. La politica scientifica venne fatta da Corbino, Garbasso (e da un certo punto in poi, anche da Fermi in prima persona), ma chi ne permise concretamente la realizzazione, dando la copertura politica e, indirettamente, finanziaria, fu soprattutto Marconi.
Marconi, dunque, è una figura chiave per spiegare il “miracolo” italiano, cioé il decollo della fisica di punta in un Paese, come l'Italia, periferico ed economicamente marginale. Il miracolo si interrompe con la morte di Marconi, e poi di Corbino, con l'autarchia che fece seguito alla guerra d'Etiopia e alle sanzioni, e con le leggi razziali promulgate nel '38.