La bellezza come metodo

Year: 2019
Che nell'immaginario collettivo, e in quello che viene definito "senso comune", bellezza e verità siano concetti spesso associati, quasi fossero due facce della stessa medaglia, è un dato di fatto. Già nelle favole dei bambini sono i belli ad essere dalla parte giusta e i brutti in quella sbagliata; e nei film è pratica comune che chi si comporta bene e dice la verità sia interpretato dagli attori più belli mentre i colpevoli e i mentitori vengano interpretati da attori con un aspetto truce, le tipiche "facce da delinquenti" di lombrosiana memoria.

Paul A.M. Dirac

La bellezza come metodo

Raffaello Cortina, Milano, 2019

pp. 128; 15,00 euro

 

Che nell'immaginario collettivo, e in quello che viene definito "senso comune", bellezza e verità siano concetti spesso associati, quasi fossero due facce della stessa medaglia, è un dato di fatto. Già nelle favole dei bambini sono i belli ad essere dalla parte giusta e i brutti in quella sbagliata; e nei film è pratica comune che chi si comporta bene e dice la verità sia interpretato dagli attori più belli mentre i colpevoli e i mentitori vengano interpretati da attori con un aspetto truce, le tipiche "facce da delinquenti" di lombrosiana memoria. Ma se ragioniamo in modo razionale arriviamo subito alla conclusione che si tratta solo di pregiudizi: perché mai dovrebbe essere così? Non c’è motivo per attribuire alla bellezza relazioni con verità e correttezza.

Eppure tanti scienziati, che proprio sulla razionalità e sul rigore metodologico fondano le proprie opinioni e teorie, affermano che tra una equazione bella e una brutta è più probabile che la prima sia quella giusta. Fino a dire che una teoria bella va mantenuta anche se non è in accordo coi dati sperimentali (quasi una bestemmia per chi crede nel metodo scientifico) perché se una bella teoria non rappresenta sufficientemente bene i risultati degli esperimenti potrebbe essere che siano gli esperimenti a dover essere migliorati. Nessuno sarebbe disposto invece a sbilanciarsi così tanto a favore di una teoria brutta, magari perché espressa da formule ingombranti e non facilmente calcolabili. Questo atteggiamento potrebbe creare un certo disappunto: è già un mistero il fatto che la natura segua leggi matematiche (l'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, come scrisse il Nobel per la fisica Eugene Wigner), ma che debba addirittura debba seguire solo leggi matematiche belle, cioè semplici e armoniose, sembra davvero un po’ troppo.

Eppure così sostiene Paul Adrien Maurice Dirac, uno dei più grandi e famosi fisici del secolo scorso, e lo ha spiegato in alcuni illuminanti e avvincenti articoli difulgativi, ora raccolti in questo volume pubblicato da Raffaello Cortina con una (bella) introduzione di Vincenzo Barone. Gli articoli riportati sono di natura prevalentemente autobiografica, e l'introduzione di Barone aiuta il lettore a orientarsi nella biografia di Dirac e nei suoi principali risultati riguardanti l'interpretazione e il collegamento tra relatività speciale e meccanica quantistica e la teorizzazione dell'esistenza e le proprietà dell'antimateria.

Nel raccontare la propria vita scientifica e nell'esprimere le sue idee sui rapporti tra matematica e fisica in articoli tratti da sue conferenze divulgative, Dirac medita sul ruolo della bellezza delle teorie nello studio della fisica, ed esprime un "principio di bellezza" sia come guida nella ricerca di leggi fisiche sia come criterio di valutazione delle teorie. Sostiene infatti, riportando esempi e aneddoti, che la sua esperienza gli ha insegnato che "le leggi fisiche devono essere dotate di bellezza matematica".

Come esempio insuperato di questo principio descrive la relatività di Einstein, sia la teoria ristretta del 1905 che quella generale del 1916. Ma cita anche l’esempio di Erwin Schrödinger, un altro dei padri della fisica quantistica, che non aveva osato pubblicare la sua bellissima equazione d'onda che descrive i processi atomici quantistici perché in contrasto con le osservazioni sperimentali. La discrepanza nasceva dal fatto che all'epoca non si conosceva che l'elettrone avesse uno spin, e allora Schrödinger pubblicò una teoria più grossolana per ottenere l'accordo con il comportamento dell'atomo di idrogeno osservato sperimentalmente. Solo in seguito, quando si scoprì il modo corretto di considerare lo spin dell'elettrone, la discrepanza poté essere chiarita e l'equazione relativistica proposta da Schrödinger fu riproposta nella sua forma originaria.

Qualcosa di simile accadde con l'equazione di Dirac, che descriveva perfettamente la dinamica degli elettroni ma sembrava avere un grosso problema: la presenza di soluzioni a energia negativa, che non potevano essere scartate a priori, e che mettevano a repentaglio la stabilità della materia. Dirac si sforzò al massimo per cercare una soluzione che salvase la teoria, mentre Heisenberg, pensava che si dovesse ricominciare tutto daccapo. Alla fine, lo stesso Dirac capì che gli stati di energia negativa erano la spia di un mondo speculare a quello della materia ordinaria, il mondo dell'antimateria. Predisse così l'esistenza del positrone – l'elettrone di carica positiva – che fu subito scoperto dai fisici sperimentali (i quali lo avevano osservato anche prima ma non lo avevano riconosciuto in mancanza di una teoria che lo prevedesse).

Da queste storie Dirac estrae una morale piuttosto forte "è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti". Una provocazione, certamente, che sicuramente fa discutere. Però a supporto di questa idea Dirac non esita a citare Einstein, che di fronte ad apparenti disaccordi fra le sue teorie e alcuni esperimenti non si fece mai impressionare perché le sue equazioni erano così armoniose che riteneva improbabile che potessero essere contraddette dalla Natura.

Gli articoli divulgativi riportati in questo volume, sette in tutto, affrontano anche altri aspetti della ricerca in fisica, e permettono al lettore non specialista di farsi una idea delle problematiche scientifiche legate alle grandi rivoluzioni della fisica del Novecento, in un periodo in cui molte delle conoscenze solidamente acquisite e comunemente utilizzate nelle applicazioni venivano messe in discussione e profondamente modificate. Dirac racconta da protagonista i momenti in cui si presentò per la prima volta la necessità di interpretare le leggi che riproducevano i dati sperimentali ma di cui si ignorava il significato. Ripercorrendo la propria formazione e il proprio approccio allo studio della fisica Dirac propone importanti considerazioni sui metodi della ricerca e come la conoscenza scientifica progredisce. Ci spiega come l'avanzamento della scienza avvenga spesso per piccoli passi, in modo adattivo, e raccomanda ai giovani di procedere un passo alla volta, evitando di cercare una teoria ultima che spieghi tutte le cose. Tutte le teorie sono provvisorie, modificabili e ulteriormente perfezionabili. Questo ce lo insegna la storia della scienza: nulla è definitivo e nulla è da considerare perfetto.

Dirac ci spiega anche che il progresso della fisica richiede continuamente l'invenzione di nuove matematiche per rappresentare la realtà. E mano a mano che nuovi strumenti matematici vengono messi a disposizione della fisica si ottengono nuovi modi di formulare leggi della natura sempre più eleganti ed efficaci. Talvolta strumenti matematici idonei non sono disponibili, e allora il fisico deve essere pronto a crearli. La fisica diventa così elemento di stimolo per la creazione di nuove strutture matematiche. Quindi se da una parte è vero che, come ci fa notare Dirac, "il matematico partecipa a un gioco si cui inventa le regole, mentre il fisico partecipa a un gioco le cui regole sono fornite dalla natura" è anche vero che nel tempo le due diverse attività di ricerca si sono influenzate a vicenda, e spesso i fisici applicano le regole inventate dai matematici e i matematici inventano le regole che interessano ai fisici. Una immagine appropriata per descrivere una simile situazione sono le due mani che si disegnano a vicenda rappresentate in una delle più famose opere di Escher.

I sette articoli riportati in questo libro ci fanno anche capire che Dirac. Oltre ad essere stato un grande scienziato del Novecento, ha saputo anche fare dell'ottima divulgazione. Una cosa per niente scontata, ma sicuramente importante. Saper comunicare risultati e metodi della scienza a non addetti ai lavori è un compito molto difficile, sempre in bilico tra il banalizzare troppo, descrivendo di conseguenza qualcosa che non fa capire quello che si vorrebbe, e mantenere elevati livelli di rigore, non facendosi però capire. Anche da questo punto di vista la lettura degli articoli divulgativi di Dirac costituiscono un ottimo esempio di equilibrio fra i due estremi.