La prospettiva a 180 gradi e oltre. Il punto di vista di Emilio Frisia
L. Curcio - R. Di Martino
La prospettiva a 180 gradi e oltre. Il punto di vista di Emilio Frisia
Quaderni del Centro Internazionale Urbino e la Prospettiva, n. 4, 2009
pp. 161; Euro 15
La prima cosa che colpisce appena si sfoglia il libro è il senso dello spazio. Uno spazio diverso dal nostro, curvo, inclinato, spesso rovesciato, dove oggetti consueti danno vita a forme suggestive. È questione di punti di vista. Qui si trova quello di un artista, Emilio Frisia, che non ha rinunciato a sottomettere la propria creatività alla regola ed a farla invadere dalla propria esperienza di fotografo – abituato alle dimensioni, alle posizioni, al vuoto ed alle sfumature – e di alpinista, che vede le cose e percepisce lo spazio in maniera diversa, dall’alto, dopo la fatica e la soddisfazione dell’ascesa.
La regola. Nel primo testo rinascimentale dedicato all’arte della pittura, scritto da Leon Battista Alberti nel 1435, l’autore si sbilancia: “Piacemi il pittore sia dotto, in quanto e’ possa, in tutte l’arti liberali; ma in prima desidero sappi geometria”. È l’esigenza di fissare le leggi della prospettiva secondo un metodo rigoroso, la “costruzione legittima”, che il pittore deve seguire prima di tutto. Solo così la pittura potrà uscire dal novero delle “arti meccaniche”, dov’è relegata (giacché si tratta di un lavoro manuale, privo di basi teoriche, che si apprende con la pratica, nelle botteghe) per rientrare fra le nobili arti liberali, insieme a Geometria, Aritmetica, Musica ed Astronomia che vengono trattate nelle scuole universitarie. Una rivendicazione “sindacale” quella dell’Alberti. Forse. Ma anche il desiderio di adeguare la pittura ai nuovi canoni che richiedono calcolo e precisione. Si sta affermando l’esigenza di esattezza: in Architettura, nelle strutture commerciali e bancarie che sorgono nella Firenze del ‘400, per le necessità di rigore della nascente scienza. Ed è anche l’urgenza di rispondere al nuovo, provocatorio, spirito del Rinascimento: l’uomo è al centro del mondo. Lo osserva dal proprio, autonomo, punto di vista ed ha l’esigenza di descrivere ciò che vede con un principio che, pur universale, riassuma in sé l’unicità della sua persona. Nasce una nuova concezione dello spazio, sulla spinta delle esigenze concrete e degli strumenti pratici che la comunità ha a disposizione.
E oggi? Ormai siamo abituati a concepire nuovi spazi, nuove geometrie, non euclidee, spazi riemanniani a curvatura variabile da punto a punto… e le trattazioni matematiche hanno il massimo del rigore. Qualche artista si avvia verso la scoperta e la descrizione di questi mondi con estro, fantasia e creatività. A questo punto il richiamo ad Escher è obbligatorio. Altri si appoggiano agli strumenti della nostra epoca. E nasce la computer graphics e poi l’elaborazione artistica “digitale”, che magari genera l’opera a partire da un frattale o mediante un ritocco fotografico. Le possibilità sono numerose e tutte proiettate nel futuro di nuove concezioni spaziali.
Per Emilio Frisia c’è qualche non piccola differenza messa in evidenza nel libro che, non casualmente, è inserito in una collana dedicata alla prospettiva. Prima di guardare al futuro, le sue opere recuperano con gli strumenti moderni (tipicamente il computer, cos’altro?) tutto il valore ed il sapore antico degli studi rinascimentali. I suoi sono per l’appunto “punti di vista”, come un tempo, ma con l’originalità della posizione che oggi è calcolata dagli strumenti, con una maggiore conoscenza delle leggi fisiche e geometriche, con lo spirito della ricerca che è patrimonio attuale ed infine – e non è la cosa meno importante – con la capacità, che egli stesso ha, di “vedere” artisticamente gli oggetti e stare “dentro” lo spazio anziché rimanere all’esterno. Dopo il rigore e l’esattezza, l’esperienza dello spazio è l’altra componente da sottolineare.
La Prefazione, posta all’inizio del volume, presenta correttamente Frisia come erede degli uomini del Rinascimento, capace di esprimere la propria creatività in numerosi settori, non necessariamente contigui. Le note biografiche, la bibliografia e l’elenco delle mostre, che invece sono posti al termine del volume, rendono compiutamente il senso della sua attività molteplice e variegata, sì, ma sempre legata all’espressione personale, ai metodi adatti a descrivere ai massimi livelli di intensità le sensazioni evocate da ciò che percepisce. Fra questi due estremi, in mezzo, sta il volume: le opere di Frisia con descrizioni, spiegazioni, interpretazioni ed opportuni commenti degli autori.
Dopo una breve biografia dell’uomo – non del personaggio – un capitolo ci introduce alle possibilità del sistema Imago, che aveva messo a punto – per sua stessa ammissione – con un programma volutamente “povero” dal punto di vista informatico. Sostituita la “macchina fotografica” con una “informatica”, Frisia è capace di rintracciare sul video, passo passo, i processi della rappresentazione proiettiva, di variare a piacere la “lunghezza focale” dello strumento, di situare dove vuole l’osservatore, magari nei posti più curiosi, ed anche di alterare la superficie su cui avviene la rappresentazione. Con i dati che ricava può dar vita alle immagini, in disegni eseguiti con gli strumenti convenzionali: china, pennarelli, rapidograph … per ottenere delle autentiche opere d’arte.
Alle possibilità del programma ed alle corrispondenti illustrazioni sono dedicati i successivi capitoli, commentati dagli autori in termini geometrici, non formali ed intuitivamente efficaci. Dapprima la classica proiezione lineare su un piano con l’originalità, come si è detto, di una non usuale, forse impossibile, posizione dell’osservatore. Quindi le proiezioni di tipo cartografico, da una sfera o da un cilindro sul piano, con le loro forme allungate che rompono la continuità solo all’infinito. E poi ancora le proiezioni deformate dalla diversa composizione del mezzo in cui è immerso l’osservatore rispetto a quello dell’osservato, con indici di rifrazione assurdi o palesemente fuori della norma. Alla fine, quasi a riassunto e complemento di tutte le sensazioni, la serie delle vedute di “Una città ideale”, ventidue rappresentazioni dello stesso ambiente, dallo stesso punto di vista ma ottenute variando il metodo proiettivo, la focale, l’indice di rifrazione, la superficie di proiezione…
Gli autori parlano a ragione del proprio lavoro come di un “catalogo commentato” alle opere di Frisia. Appare infatti quasi come la guida ad una mostra nella quale lo spettatore ha la strana sensazione di seguire una dimostrazione matematica. Poi si riscuote e torna ad ammirare le opere.
Chi volesse acquistare il libro può rivolgersi al sito:
http://urbinoelaprospettiva.uniurb.it/quaderno4.asp
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