2. “Fondatore” del Ministero dell’università
In questa prospettiva assumeva particolare rilievo la sua ansia costante di favorire l’incrocio dei campi disciplinari: “Mostrò, e ci impegnò a sviluppare – ricorda ancora Nicolò – la massima attenzione alle fertilizzazioni culturali trasversali, portandoci ad essere presenti dove non si era mai visto un ‘elettronico’; quest’attenzione contribuì, da preside e da rettore, a fargli lanciare iniziative che potevano sembrare anche distanti dalla sua formazione d’origine, cominciando a sviluppare quella sua caratteristica di azione ad ampio spettro culturale che sviluppò anche da ministro e che è oggi documentata dai molti che ne ricordano l’iniziativa nel proprio specifico”. Da questo suo impegno trassero particolare beneficio gli studi di storia della scienza, con particolare attenzione alle vicende delle istituzioni e della politica scientifica.
Nel 1987 Ruberti accettò l’offerta di presentarsi nelle liste del Partito Socialista Italiano per le elezioni della X legislatura. Terminava così il suo mandato rettorale per diventare, di lì a poco, ministro della ricerca scientifica. Il Ministero della ricerca era allora un ministero senza portafoglio, il cui ruolo risultava schiacciato fra le competenze del Ministero della pubblica istruzione (da cui dipendeva l’Università) e quelle del CNR che, attraverso la distribuzione dei finanziamenti, era il principale attore della politica della ricerca. La situazione era tanto più penalizzante per il mondo scientifico in quanto, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il finanziamento pubblico al sistema della ricerca era stato eroso dall’inflazione e dalla crisi economica. Come se non bastasse nel corso degli anni Settanta, i meccanismi di spesa erano stati assoggettati a vincoli burocratici sempre più pesanti. Inoltre il sistema industriale italiano, dopo il boom economico, aveva decisamente ridotto l’investimento privato in ricerca e sviluppo che per di più era in gran parte sovvenzionato dal Ministero dell’industria con esiti non molto soddisfacenti, salvo che per i bilanci delle aziende beneficiarie.
La battaglia politica di Ruberti all’interno del governo e della maggioranza parlamentare si concentrò allora sulla necessità di istituire un Ministero dell’università e della ricerca, dotato delle risorse economiche e delle strutture necessarie a fargli assumere davvero il ruolo di centro propulsore della politica scientifica italiana, al vertice di un sistema rinnovato di enti di ricerca e istituzioni universitarie dotate di larga autonomia. Il Ministero da lui fortemente voluto fu istituito nel maggio 1989 e Ruberti ne guidò l’effettivo impianto fino al 1992.
Maggiori difficoltà politiche incontrarono invece le riforme dell’Università e degli enti di ricerca che avrebbero dovuto completare quel disegno riformatore. Obiettivi importanti furono realizzati, come l’autonomia universitaria, ma Ruberti dovette procedere per aggiustamenti e ritocchi anche a causa della forte opposizione suscitata da alcune sue proposte, sfociata in quello che venne chiamato il movimento della Pantera nel 1990. Un bilancio in prospettiva storica su questo tema non è ancora stato fatto ma, ad avviso di chi scrive, almeno altri due risultati di rilievo il nuovo ministro riuscì comunque a realizzarli: la creazione di un’importante attività per la diffusione della cultura scientifica e la formazione di un gruppo di persone che negli anni successivi hanno poi condiviso e sviluppato la sua visione politico-culturale.
Nelle recenti vicende riguardanti la riforma universitaria c’è stato qualche osservatore che ha ritenuto di cogliere delle ascendenze “rubertiane” nella legislazione proposta dal ministro Gelmini e avallata anche da una parte dell’opposizione (almeno fino al decollo della mobilitazione studentesca). In verità basta guardare il costante dialogo con la comunità scientifica del Ruberti ministro, il declino dell’autonomia universitaria nei provvedimenti presi dai suoi successori dell’ultimo quindicennio e infine l’abolizione del Ministero da lui voluto per rendersi conto di quanto questo sia falso.