2.3 Scetticismo e cervelli in una vasca
Il rifiuto del realismo metafisico non è un direzionarsi verso lo scetticismo, anzi: sia il relativismo che lo scetticismo sono, per Putnam, forme travestite di realismo metafisico allo stesso modo incoerenti.
In fondo, sia il realista metafisico – con il suo desiderio di una teoria onnicomprensiva che includa anche un’oggettiva, “corretta”, relazione di riferimento – sia lo scettico, che rifiuta quella teoria, fanno lo stesso errore per Putnam: stanno entrambi assumendo una sorta di punto di vista privilegiato “esterno” ai nostri schemi descrittivo-concettuali, stanno quindi assumendo l’esistenza di un mondo interamente precostituito e da noi indipendente, sebbene lo scettico insista sulla sua inconoscibilità, mentre il realista metafisico sulla possibilità di una teoria corrispondentistica della conoscenza. Ma per Putnam, come dicevamo nel par. 2.2, non ha senso porsi all’esterno dei nostri schemi concettuali, all’esterno dei nostri linguaggi, e al loro interno problemi sul riferimento, sull’interpretazione dei termini, non possono sorgere, nel senso che “sedia” si riferisce naturalmente alle sedie poiché è già insito nel nostro linguaggio quale interpretazione è adottata, e se così non è allora nient’altro può fissarla (Putnam 1977, p. 24).
La sua più nota critica al realismo metafisico è il famoso esperimento mentale dei cervelli in una vasca, esposto in Reason, Truth and History (1981a, cap. 1). In esso si immagina un mondo in cui tutti i cervelli, rimossi dai corpi e posti in una vasca piena di un liquido nutritivo, abbiano le terminazioni nervose e i neuroni collegati a un enorme sofisticatissimo supercomputer in grado di fornire loro gli stessi impulsi elettrici che normalmente ricevono quando sono nel corpo di una persona. In altre parole, questo supercomputer simulerebbe la realtà normale, fornendo ai cervelli l’impressione di vivere esattamente tutte le esperienze della nostra quotidiana coscienza, e stimolando, quindi, le stesse risposte senza che però vi sia un’effettiva relazione a eventi e oggetti del mondo concreto.
Dal punto di vista scettico l’argomento semplicemente vuol dimostrare che un cervello in una vasca non è in grado di stabilire se effettivamente è nella vasca, in quanto tutte le esperienze che ha sono genuine, ossia ciò che percepisce sono esattamente gli stessi impulsi che riceverebbe se fosse nel corpo umano, e tutte queste sensazioni, e i pensieri che esse stimolano, sono l’unico modo che ha di interagire con l’“ambiente” che, per questo, dal suo punto di vista, non risulta affatto ricreato dal supercomputer ma risulta del tutto identico all’ambiente reale sperimentato da un normale cervello nel cranio di un corpo umano. Conseguentemente, per lo scettico, non si riesce a stabilire se le nostre credenze corrispondano a verità, cioè se stiamo, per dire, realmente mangiando un gelato oppure se quel buon e fresco sapore è solo un mero stimolo sensoriale procuratoci dal supercomputer, e quindi, in ultima istanza, noi non sappiamo se le nostre asserzioni parlano effettivamente di noi e del mondo esterno.
Ma per Putnam le cose non stanno così e la coerenza dell’intero esperimento è vacillante. Un cervello nato in una vasca, cioè da sempre in una vasca, non potrebbe propriamente pensare alla, e quindi parlare della, sua condizione, nel senso che se dicesse “io sono un cervello in una vasca” affermerebbe sempre e necessariamente il falso. Il caso banale è quello in cui lui di fatto viva nel mondo reale, e che quindi, all’esterno della sua vasca, ci sia comunque un mondo anche se lui non lo percepisce. In tal caso, la sua affermazione è ovviamente falsa. Nell’altro caso, quello in cui effettivamente c’è solo lui e la vasca, la sua affermazione non può che significare questo: “Io sono ciò che i miei stimoli nervosi mi hanno convinto che è un ‘cervello’, e vivo in un’immagine che essi mi hanno convinto a chiamare ‘vasca’”, ossia “io sono un cervello-immagine in una vasca-immagine”. In altre parole, un tale cervello, poiché non può riferirsi a ciò a cui noi (che non siamo – auspicabilmente! – cervelli in una vasca) ci riferiamo, non potrà che non pensare a cervelli reali o a vasche reali, ma solo a loro immagini ricreate nel suo mondo “virtuale”. Laddove, infatti, noi pensiamo a “cervelli” e “vasche”, ma anche a “tavoli” e “sedie”, abbiamo dei riferimenti esterni (del mondo) a questi termini grazie alle interazioni causali che intratteniamo appunto con tali cose. Ma tali riferimenti mondani sono preclusi ai cervelli in una vasca, il cui concetto di realtà, dalla loro prospettiva, è assai più “ristretto”, in quanto non possono avere pensieri – né di negazione, né di validazione – sul mondo vero poiché non lo hanno mai sperimentato: al più hanno un “surrogato” di mondo, a cui quegli stessi termini si riferiscono, composto dalle stimolazioni provenienti dal supercomputer. Quindi, dire “io sono un cervello in una vasca” equivarrebbe a dire una falsità se quel cervello lo fosse effettivamente, in quanto lui sarebbe in una vasca reale e non nella vasca in immagine a cui la sua affermazione necessariamente farebbe riferimento.
Il punto risiede quindi nella teoria causale del riferimento che Putnam adotta (sulla quale torneremo più diffusamente nel par. 3), la quale “ci vieta di credere al fatto che determinate rappresentazioni mentali si riferiscano in ogni caso a specifiche cose esterne la cui configurazione è del tutto indipendente dalla nostra mente” (Sacchetto 2002, p. 1304). Vale a dire, i riferimenti dei termini usati dai cervelli in una vasca sono diversi da quelli dei cervelli normali, cosicché le espressioni pronunciate dai primi, che esistono in una realtà strutturalmente diversa da quella dei secondi, hanno significati diversi: dire “sono un cervello in una vasca” ha un significato differente per un cervello in una vasca e un cervello normale. L’esperimento mentale si auto-confuta ed è quindi inconsistente (si veda Alai 1989b e 1994), e quel gap, preteso dal realista metafisico e dallo scettico, fra il mondo così com’è e il mondo come visto dall’uomo, non ha senso, ragion per cui svanisce la fondatezza del porsi, per l’uomo, dal punto di vista dell’“occhio di Dio”. Va da sé che non solo il realista metafisico a cui Putnam principalmente mira, ma anche lo scettico ne esce sconfitto. Del resto, l’idea dell’insussistenza dello scetticismo è sempre stata un tema ricorrente, anche se perseguito con strategie diverse, nella sua opera.