3. Aristotele e l’infinito

Ma ecco alcuni passi di Aristotele. “Vi è poi qualcosa di esclusivamente in atto (τò εντελεχεια μονον) e quello in potenza e in atto (τò δε δυναμει και εντελεχεια), e questo sia nella quantità che nella qualità e similmente nelle altre categorie dell’essere” (Fisica, 200 b 26-28). Poco dopo (201 a 19-23): “d’altronde alcune cose sono in potenza e in atto ma non insieme e non secondo lo stesso rapporto” [16]. Aristotele dichiara inoltre che il problema dell’infinito deve essere comunque affrontato [17] (202 b, 30-36): “Poiché la scienza della natura studia le grandezze, il movimento e il tempo, ciascuna di queste cose deve essere necessariamente o infinita o limitata quando anche accade che non ogni cosa sottostà a questa alternativa di essere infinita o limitata, come ad esempio una affezione o un punto (poiché queste cose non sono necessariamente l’una o l’altra), sembra conveniente, per chi si occupa della natura, esaminare il problema dell’infinito, se è o non è e, se è, che cosa è (δεωρηοαι περι απειρον, ει εστιν η μη, και ει εστι, τì εστιν)” [18]. Cosicché, poco dopo (204 a 28-29), Aristotele afferma esplicitamente: “ma è impossibile che l’infinito sia in atto ('Aλλ'δαυνατον τò εντελεχεια ov απειρον)”. Lo stesso numero – prosegue – può essere in potenza ma non in atto e quest’ultimo, inoltre, può essere un attributo ma mai una sostanza. Inoltre, (206 a 14-17): “L’essere o è in potenza o è in atto (τò μεv δuvαμει τò δε εντελεχεια) e l’infinito è invero per aggiunzione o per sottrazione. Così si dice che una grandezza non è infinita in atto ma lo è per divisione”. Anche nel passo successivo (207 b 11-12) ribadisce: “In quanto [il numero] è in potenza ma non in atto (“Ωστε δuvαμει μεv εστιv εvεργεια δ'ou)”. Ancora più esplicitamente Aristotele si esprime nel VI capitolo della Fisica allorché scrive che “è impossibile che un continuo sia formato da indivisibili come ad esempio una linea possa essere composta di punti se è vero che la linea sia un continuo e il punto un indivisibile” (Fisica, 231 a 24-25)[19].

Aristotele nella "Scuola di Atene" di Raffaello (1509-1511)

 

Con questi giudizi, giustificati dalle sue analisi, Aristotele influì sulla Matematica greca. È però significativo che parli comunque dell’infinito in atto, anche se per escluderlo. La sua presenza non è stata una scoperta di Aristotele. Se ne parlava o se ne intuiva la presenza anche prima di lui ed è stata presa in considerazione anche dopo. Vedremo appunto che, in determinate circostanze, anche nella Matematica greca sarà possibile trovare o perlomeno sospettarne l’uso [20].

L’influenza di Aristotele si fece sentire specialmente nella Matematica che, seppure continuò ad usare anche l’infinito attuale, lo fece quasi senza accorgersene, quando non ne poteva fare a meno e non vide come potesse essere trattato matematicamente. Questo almeno sino ad Archimede.

Osserviamo infatti questo significativo brano di Aristotele posto al termine della sua analisi sull’infinito, nel libro terzo della Fisica (207 b, 28-33): “La teoria [dell’infinito nel tempo e nel movimento] non sopprime le considerazioni dei matematici sopprimendo l’infinito in atto (τò απειρον ωστε εvεργεια) che non potrebbe essere percorso nel senso dell’accrescimento; poiché in realtà essi non ne hanno bisogno e non fanno uso dell’infinito, ma solamente di grandezze così grandi quanto si vuole, ma limitate.

Aristotele aveva ormai concluso la sua analisi dell’infinito matematico e aveva convalidato con la sua indubbia autorità che l’unico infinito da potersi usare sarebbe stato quello potenziale. Se mai ci fu un tentativo consapevole di considerare anche quello attuale (cosa di cui è lecito dubitare) fu per ottenere o giustificare alcuni procedimenti geniali [21].

Vedremo in seguito qualche altro passo in cui Aristotele si mostrerà, a mio parere, meno categorico nell’assenza dell’infinito in atto e riportiamo qui un brano tratto dai Secondi Analitici (95 b 5-10) nel quale si potrebbe osservarne la presenza intesa come “immanenza” dei punti di una linea: “Orbene come i punti non sono contigui gli uni agli altri, così pure gli avvenimenti passati lo sono: in entrambi i casi si tratta di oggetti indivisibili. In tal caso, neppure ciò che diviene risulta contiguo a ciò che è divenuto per la stessa ragione: in realtà, ciò che diviene è divisibile, mentre ciò che è divenuto risulta indivisibile. Ed allora il rapporto che sussiste tra la linea e il punto è lo stesso che sussiste tra ciò che diviene e ciò che è divenuto: all’oggetto che diviene sono infatti immanenti (εvuπαρχει) infiniti oggetti che sono divenuti” [22].