4. L’infinito in atto dopo Aristotele
A questo punto possiamo osservare quello che avvenne nella Matematica greca proprio nei confronti dell’infinito attuale dopo le considerazioni di Aristotele. Quello che era stato fatto uscire dalla porta dell’edificio matematico, rientrerà, per dir così, dalla finestra.
Euclide sembra seguire le conclusioni esplicite di Aristotele: specialmente attraverso i suoi postulati si possono intravedere motivi legati all’infinito in atto. Sarà questa ipotesi la parte che consideriamo significativa del presente articolo [23]. Ricordiamo intanto che, nel suo secondo postulato, Euclide stabilisce la proprietà secondo la quale “una retta terminata si possa prolungare indefinitamente in linea retta” cioè si può prolungare tanto quanto può servire [24].
Ma è proprio sempre così? Se si esaminano i vocaboli usati da Euclide si può avanzare la fondata ipotesi che quel “continuamente”, che traduce kατα τò σuvεχες [25], possa rendersi con “secondo la continuità” [26]. Come dire che la “retta terminata” possa proseguire “senza buchi”. Si ammette per la retta (e non solo – penso – per la parte da prolungare, ma anche per il “segmento” di partenza) la continuità collegata a sua volta con la incommensurabilità. Un segmento pertanto rappresenta, come già detto, una infinità in atto relativamente agli infiniti punti che lo costituiscono. Insomma, la presenza di un segmento nella Geometria razionale rappresenta un infinito in sé attuale mentre la sua indefinita suddivisibilità è un esempio di infinità potenziale [27]. Ricordiamo i triangoli o i segmenti di parabola e altro, “riempiti” da Archimede con infiniti segmenti [28]. Ritorneremo in seguito su questa affermazione.
La stessa circostanza di continuità si potrebbe dedurre dalle definizioni XV, XVI, XVII del primo libro relative alla circonferenza, specialmente l’ultima (Diametro del cerchio è una retta condotta per il centro e terminata (peratoumšnh) da ambedue le parti dalla circonferenza del cerchio, la quale retta taglia anche il cerchio per metà) che suppone che non vi possano essere buchi nella circonferenza e nel diametro; altrimenti potrebbe accadere che un diametro potrebbe non terminare nella circonferenza. Anche nella definizione XV (Cerchio è una figura piana compresa da una sola linea – la quale si dice circonferenza – tale che tutte le rette, le quali cadano su [tale] linea, a partire da un punto fra quelli che giacciono internamente alla figura, sono uguali fra loro) Federigo Enriques vede la presenza implicita di un postulato dato. Scrive: “per aver [già] detto che il cerchio è una figura limitata, ecc.- Euclide si sentirà autorizzato ad ammettere che una linea congiungente un punto interno con uno esterno seghi la circonferenza)” [29]. Questo non è altro – faccio notare – che un caso particolare del postulato di continuità.
Non siamo ancora al livello di una esplicita enunciazione del postulato della continuità o alla dimostrazione, mediante questo, dell’esistenza di un punto interno a due punti dati su un segmento, come mostra Hilbert [30], ma neppure in una semplice ed implicita ammissione di queste proprietà. Per questo – da parte mia – considero molto meno grave l’omissione dell’esistenza del punto d’incontro di due circonferenze criticata da sempre alla prima dimostrazione degli Elementi. In altre parole, il segmento e la circonferenza rappresentano sia un infinito potenziale in quanto alla loro suddivisibilità [31] e sia un infinito in atto come insieme di infiniti punti garantiti anche dalla loro continuità ammessa per postulato e, paradossalmente, costruibili pertanto per postulato … con riga e compasso! A noi questa circostanza appare assai significativa. Ripetiamo: la costruzione, ad esempio, del punto estremo di un segmento di misura radice di tre non si può eseguire con riga e compasso e così infiniti altri punti del segmento. Tale segmento però viene considerato ugualmente “dato”. Dato per postulato [32]. In altre circostanze, allorché si considera una curva di cui è possibile costruire con riga e compasso infiniti suoi punti, ma non tutti, e in mancanza di una esplicita ammissione di continuità che potesse riempire, per dir così i suoi infiniti buchi, tale curva non venne considerata dai matematici greci costruibile nella sua interezza (scil. continuità). Questo accadde ad esempio per la famosa curva di Ippia di Elide (n. 460 a. C. circa), atta a dividere un angolo qualsiasi in tre parti uguali [33], pur potendone costruire una infinità discreta di punti [34].
Dato il quadrato ABCD, l’arco continuo APE che rappresenta la curva di Ippia, è il luogo di punti d’incontro tra il raggio BA che ruota con moto uniforme in senso orario sino a sovrapporsi al raggio BC e il lato AD che “cade” con moto uniforme parallelamente a se stesso sino a sovrapporsi nello stesso tempo al lato BC. Ad esempio, allorché il raggio ruotante si trova nella posizione della bisettrice dell’angolo ABC (posizione BA’’), il lato AD si trova a metà strada della sua “caduta” e cioè nella posizione A’D’. Il loro punto P d’incontro è punto della nostra curva. Da ciò segue che è possibile costruire con riga e compasso infiniti punti della curva potendo costruire con tali limitazioni sia la bisettrice di un angolo (BA’’ nella figura) e sia il punto medio (D’) di un segmento (DC) e la corrispondente posizione del lato A’D’ e successivamente le bisettrici degli angoli ABA” e A”BC e i corrispondenti punti medi dei segmenti DD’ e D’C e così via.
I matematici greci non considerarono per questo costruibile la curva con riga e compasso. Altrimenti avrebbero saputo, da essa, trisecare un angolo [35] ed anche quadrare il cerchio [36] e non sarebbero neppure nate le attenzioni della Matematica greca verso i grandi problemi che, al contrario, indicavano la costruibilità o meno di alcuni segmenti con il solo uso della riga e del compasso [37].