5. L’infinito in paradiso
Insomma, con maggiore o minore consapevolezza, non si può sfuggire all’analisi dell’infinito e noi pensiamo che, per quanto oggi sembri completamente addomesticato, si continuerà a esaminarlo e a discuterne in Filosofia e in Matematica.
David Hilbert, nel suo lavoro appunto sull’infinito, scrive “la chiarificazione della natura dell’infinito non riguarda esclusivamente l’ambito degli interessi scientifici specializzati ma è necessaria per la dignità stessa dell’intelletto umano”. Poco dopo, afferma inoltre: “in un certo senso l’analisi matematica è una sinfonia dell’infinito” e, al cospetto dei risultati ottenuti da George Cantor sui vari livelli dell’infinito e sulle difficoltà che si presentano (oltre alle critiche), esclama con una frase diventata celebre: “Nessuno potrà cacciarci dal paradiso che Cantor ha creato per noi” [38].
Ad ogni modo, anche se talvolta Aristotele considera la possibilità dell’infinito in atto, esso è comunque un attributo e non una sostanza: “non è possibile – aveva già affermato (Fisica 204 a 8-9) – che l’infinito sia separabile (χoριστov) dalle cose sensibili e che esso sia infinito come cosa in sé (αuτò τι)”. L’infinito per Aristotele è un procedimento che, aveva detto, “si manifesta per prima cosa nel continuo (εv τω σuvεξει)”. Si potrebbe dire che, pur respingendo l’infinito in atto (al contrario di altri filosofi), questo infinito Aristotele lo ritrova comunque al principio o al termine di un processo di divisione o di accrescimento. Possiamo anche ricordare il passo di Aristotele (ivi 203 b 30-32) assai significativo, a nostro parere, secondo il quale sia ad accettare l’infinito e sia a negarlo si cade comunque in aporie: “Sulla teoria dell’illimitato si cade poi in un’aporia (απoρìαv) e ciò sia a considerarlo esistente o no”.
Quello stesso Cantor che abbiamo nominato poco sopra esprimerà una considerazione assai acuta e convincente che sembra concludere quanto abbiamo espresso sul segmento come grandezza in sé e sull’infinito in generale: “L’infinito potenziale ha solo una realtà presa a prestito, dato che un concetto di infinito potenziale rimanda sempre ad un concetto di infinito attuale che lo precede logicamente e ne garantisce l’esistenza [39]”. Un’osservazione simile potrebbe vedersi in vari brani di Aristotele tratti dal libro IX della Metafisica (anche se non sembra che si parli di infiniti) nei quali si afferma più volte che l’atto viene prima della potenza, anzi “dall’atto viene la potenza” (1051 a 31). Così ricorda anche Siebeck [(1911), 44] per il quale l’entelechia risulta da quanto già determinato a priori e aggiunge: “donde il principio capitale della filosofia della natura di Aristotele: ciò che è posteriore per lo sviluppo è anteriore per l’essenza e la forma”. Nell’ottavo ed ultimo paragrafo del terzo libro della Fisica, Aristotele sembra quasi rispondere a Cantor ed obiettare ad una tale argomentazione: “Né infatti il processo generativo inesauribile esige l’esistenza di un corpo sensibile che sia infinito in atto; poiché è possibile che l’annullamento di una cosa sia la generazione di un’altra” (208 a 8-11). Non si tratta della scala di “infiniti” creata da Cantor, ma il brano di Aristotele è comunque sorprendente e significativo.