CNR e Università: lo stato dell'arte e la manifestazione di mercoledì 17 novembre

Pubblichiamo l'articolo di Pietro Greco comparso su "L'Unità" di domenica 14 novembre in merito ai progetti di riforma di CNR e Università.

 

Ricercatori in piazza contro il gioco delle tre carte della strana coppia Gelmini&Tremonti

 

I ricercatori italiani di nuovo in piazza. L’appuntamento è per mercoledì prossimo, 17 novembre, alle ore 10.30 in Piazzale Aldo Moro, davanti alla sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Una scelta non casuale. Perché le ragioni della protesta riguardano proprio l’autonomia degli Enti pubblici di ricerca, di cui il Cnr è insieme il più antico e il più grande. Un’autonomia sancita dalla Costituzione, ma pesantemente erosa dalle nuove norme del governo Berlusconi.

In breve, le cose stanno così (per approfondimenti e firmare l’appello si rimanda al sito www.osservatorio-ricerca.it). A guidare gli Enti pubblici di Ricerca sono i presidenti o i direttori scientifici. La cui nomina è, in genere, in carico al Ministro. Che tuttavia vengono scelti sulla base di un solido curriculum scientifico. Il presidente del Cnr, per esempio, è Luciano Maiani: un fisico teorico di assoluto valore mondiale, che tra l’altro ha diretto il CERN di Ginevra e lo stesso Istituto nazionale di fisica teorica. Il presidente dell’INAF (L’Istituto nazionale di astrofisica) è Tommaso Maccacaro: scienziato tra i più citati nella letteratura internazionale del suo settore. E così via.

Ebbene il governo Berlusconi ha varato nuove norme che sottrae la gestione degli Enti pubblici di ricerca ai presidenti o ai direttori scientifici, per affidarla a direttori amministrativi, nominati senza vincolo dal Ministro. I direttori amministrativi avranno l’ultima parola persino nella formulazione degli indirizzi scientifici degli Enti. Il pericolo è doppio. Che i direttori amministrativi gestiscano la ricerca con un approccio burocratico e, insieme, politico.

L’autonomia della ricerca è preziosa. Riconosciuta in ogni stato democratico. Quando, nel 1945, il matematico ed esperto di politica della ricerca Vannevar Bush suggerì al Presidente degli Stati Uniti di fare della ricerca pubblica e di base la leva per lo sviluppo sociale ed economico del paese, individuò due colonne d’Ercole invalicabili: quella del merito e quella dell’autonomia. E quando Truman pretese di nominare almeno il direttore delle agenzie federali che avrebbero dovuto realizzare la politica della ricerca degli Stati Uniti, Bush non esitò a cercare alleanze al Congresso affinché varasse una legge contro la pretesa del Presidente.

L’autonomia della ricerca è un bene cui gli scienziati americani non intendevano rinunciare, neanche in cambio della promessa di una quantità di risorse straordinarie. Gli scienziati italiani, come rileva l’Osservatorio sulla Ricerca, non sembrano altrettanto determinati a difendere la loro. Va detto, inoltre, che negli Usa e in tutti gli altri paesi democratici più avanzati l’autonomia non è mai stata messa in discussione nei fatti. E che in Italia agli Enti pubblici di ricerca si sottraggono, nel medesimo tempo, autonomia e risorse: nel 2011 il taglio del budget complessivo sfiorerà i 100 milioni di euro.

A proposito di tagli. Il ministro Tremonti va sostenendo che, con i provvedimenti contenuti nella legge di stabilità, aumenterà gli investimenti per l’università nel 2011 di un miliardo di euro. Nulla di più falso. Come ha prontamente rilevato Walter Tocci, deputato del PD ed esperto di politica della ricerca e dell’alta formazione, la verità è che nel 2011 le università subiranno un taglio sostanzioso rispetto al 2010: di 276 milioni di euro. Il motivo è presto detto. L’emendamento contiene un finanziamento aggiuntivo per il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) dell’università di 800 milioni di euro (non di un miliardo). Nello stesso decreto emendato è previsto, però, un taglio di 126 milioni. Cosicché i soldi aggiuntivi a disposizione scende a 674 milioni. Inoltre il governo non rifinanzierà la legge con cui il governo Prodi aveva sostenuto l’FFO (550 milioni di euro) e non reitererà l’una tantum di 400 milioni ottenuti lo scorso anno col rientro dei capitali dall’estero.

In pratica, le università perderanno 950 milioni che aveva lo scorso anno. Mentre otterranno 674 milioni con l’emendamento Tremonti. Risultato: un taglio secco rispetto al già magrissimo 2010 di 276 milioni. Per questo Tremonti chiede e, probabilmente, otterrà di essere ringraziato. Avremo così, in questa sempre più incredibile Italia, quello che Tocci ha chiamato un “taglio con l’applauso”.