Doctor Sidereus

Nel 1976 l'Associazione degli Scrittori di Fantascienza Americani radiò dai suoi membri onorari Stanislav Lem, reo di aver scritto "Fantascienza: un caso senza speranza (con eccezioni)". Secondo le condivisibili accuse avanzate nel saggio di Lem, il novantanove per cento della fantascienza è un genere di consumo mercizzato e massificato e dunque dozzinale e stereotipato.

Oltre che, troppo spesso, appiattito tra due estremi: le ingenue inversioni del mondo reale e le facili invenzioni di mondi fiabeschi.

Secondo Lem, una fantascienza degna di questo nome dovrebbe, anzitutto, evitare l'esistente e l'impossibile, per concentrarsi sull'inesistente possibile: in altre parole, su mondi che vadano sí oltre la contingenza, ma non contro la scienza. Inoltre, la fantascienza dovrebbe differenziarsi dalla Letteratura alta non per la qualità letteraria, ma per il contenuto: interessandosi, cioè, delle specie invece che degli individui.

L'eccezione più sostanziosa a cui Lem si riferiva nella clausola parentetica del suo titolo era Philip Dick, da lui definito in un altro saggio "un visionario fra i ciarlatani", tanto per girare il coltello nella piaga. Ma, come Lem ben sapeva, Dick costituisce soltanto un'eccezione parziale, perchè le sue spettacolari visioni affiorano (o sono sommerse) da un oceano di debolezze scientifiche e di piattezze stilistiche. Insomma, la sua è una letteratura di progetti grandiosi realizzati modestamente.

Lem non poteva additare esplicitamente quella che costituisce l'unica vera eccezione, perché avrebbe dovuto parlare di sè: il solo autore di fantascienza che possieda una cultura da scienziato e uno stile da letterato. Diversamente dai colleghi, che discettano sulla scienza dei millenni futuri senza nemmeno conoscere quella del secolo presente, Lem ha infatti compiuto studi scientifici. Non a scuola, perché è laureato in Medicina. Ma da privatista, nel senso che ha letto voracemente testi, più di ricerca che di divulgazione, che spaziano dalla Logica alla Matematica, dalla Fisica all'Informatica.

Certamente Lem non è soggetto alla legge che porta il suo nome, da lui stesso enunciata in "Un minuto umano" : "la gente non legge. Se legge, non capisce. E se capisce, non ricorda''. Dopo aver infatti letta, capita e ricordata la scienza più disparata, Lem si è divertito a imitarla, parodiarla e reinventarla in opere che costituiscono quello che la fantascienza potrebbe essere, se non fosse ciò che è e diventasse cosa dovrebbe.

Prendiamo, ad esempio, la "legge di Donda" enunciata nelle "Nuove avventure di Tichy": "ciò che un computer grande può fare con un programma piccolo, un computer piccolo può fare con un programma grande. Dunque, un programma infinito può girare da solo, senza computer.'' Sembra solo un gioco di parole, e invece la premessa è un'accattivamente riformulazione dell'idea di Turing che ha portato allo sviluppo dei computer: la possibilità di potenziare una macchina aumentando non l'"hardware", come avveniva con le vecchie calcolatrici, ma il "software", come avviene con i calcolatori programmabili.

La conclusione, invece, costituisce un ironico passaggio al limite. È vero, infatti, che l'allargamento del programma permette una diminuzione della macchina. Ma non si può scendere sotto il livello critico oltre il quale la macchina cessa di essere universale e dunque di poter far girare programmi. Inoltre, più la macchina è piccola, e più ci mette a far girare un programma grande. Senza computer, un programma infinito girerebbe a velocità zero: cioè, sarebbe fermo e non farebbe niente.

Naturalmente, dalle premesse si sarebbe anche potuta tirare una conclusione simmetrica: "un computer infinito può funzionare da solo, senza programma''. In questo caso non ci sono contraddizioni, perchè mentre un programma non può girare senza computer, una macchina può funzionare senza programma. E poichè più la macchina è grande, e meno ci mette a far girare un programma piccolo, un computer infinito funzionerebbe alla velocità della luce senza programma. Il che è precisamente ciò che succede alla natura.

I passi di Lem che permetterebbero simili analisi sono innumerevoli, e costituiscono uno degli aspetti più originali della sua variegata opera, almeno per chi ha orecchie per intendere. Altrettanto originali, ma più universalmente accessibili, sono le variazioni su quel basso continuo della fantascienza che è il contatto con altre civiltà o intelligenze. Gli alieni di Lem non sono, fortunatamente, umanoidi con sei dita o con le antenne, ma indefinibili e indeterminabili entità.

Un misterioso oceano in "Solaris", da cui Andrei Tarkovski trasse un memorabile film. Un indecifrabile e forse illusorio segnale cosmico in "La voce del padrone", il cui narratore è un matematico. Una civiltà che rifiuta il contatto in "Fiasco", che srotola una tragica sequela di mutue incomprensioni.

Questi libri affrontano il mistero centrale della fede in altre menti: se anche ci fossero, come potremmo riconoscerle e comunicare con loro? Nelle "Ricerche filosofiche" Wittgenstein si era limitato ad osservare che "se un leone potesse parlare, non lo capiremmo''. Lem sonda sistematicamente le possibilità e mostra come sarebbe (o sarà) molto difficile poter trascendere i nostri "a priori" e approdare anche solo alla certezza dell'esistenza di intelligenze altre da noi. Per non parlare della possibilità di intraprendere scambi significativi con loro.

Un altro tema tipico della fantascienza è l'evoluzione delle macchine. Lem lo ha portato alle estreme conseguenze. Non tanto nelle storie di "Ciberiade" e "Favole per robot", che narrano con un tocco a metà tra il Voltaire di "Micromegas" e il Calvino delle "Cosmicomiche" le gesta di esseri elettromeccanici che popolano un mondo completamente privo di uomini. Quanto, piuttosto, in quello che forse è il suo capolavoro: "Golem XIV", una raccolta di lezioni di Filosofia subliminale tenute da un computer dell'ottantesima generazione, che apre all'umanità uno spiraglio sulla sua superiore intelligenza.

Dopo la sua ultima lezione il Golem XIV cesserà volontariamente di comunicare con gli esseri umani. Lem suggerisce, dunque, che è inutile preoccuparsi se un computer intelligente sarà utile o dannoso per l'umanità. Probabilmente, avrà di meglio da fare che interessarsi a noi, e ci tratterà come noi trattiamo le mosche: scacciandole con un gesto della mano se ci ronzano intorno, e schiacciandole senza problemi se ci molestano troppo insistentemente.

"Golem XIV" fa parte della produzione più teoretica e originale di Lem. Quella dei "Dialoghi" e della "Summa Technologiae", che lo rende un vero e proprio Dottor Sidereus dell'era moderna. E quella, soprattutto, dei libri immaginari, recensiti o prefati in tre raccolte strepitose: "Vuoto perfetto", "Grandezza immaginaria" e "Un minuto umano", che costituiscono una sorta di biblioteca inesistente dalla quale Lem ha potuto attingere per costruire i suoi mondi fantastici. Che ce lo faranno ricordare a lungo, in quel futuro che in parte già conosciamo grazie alle sue profezie letterarie.