Edoardo Amaldi - L'unità della fisica

Il 1° maggio del 1960, un aereo spia stratosferico U2 pilotato dal colonnello americano Francis Gary Powers fu abbattuto nel cielo di Sverdlovsk da un missile sovietico mentre volava a una quota di circa 80.000 piedi. Fu un trionfo della missilistica dell'URSS e di Nikita Krusciov, che teneva molto alla supremazia tecnologica del suo paese, già affermata in campo spaziale. Le relazioni internazionali peggiorarono rapidamente, ogni scambio diplomatico tra Est e Ovest si bloccò: tutti eravamo preoccupati, nell'ambiente dei fisici, che le collaborazioni tra i laboratori si interrompessero bruscamente. Anche Edoardo Amaldi, di solito prudente e ottimista, sembrava preoccupato. Ma poi, di fatto, non avvenne nulla di irreparabile. Ricordo che Amaldi ci disse:

"E' un buon esempio dell' unità dei fisici. Ma questa non è la ragione, bensì una conseguenza dell' unità della Fisica …".

Qualche tempo dopo, trovai nella posta interna dell'Istituto un preprint che Amaldi aveva preparato e che mi incuriosì molto: si intitolava proprio “L'unità della Fisica”; di lì a poco, sul numero di settembre 1973 di Physics Today , uscì “The Unity of Physics”, con qualche ritocco rispetto al manoscritto italiano. Nel frattempo, l'originale aveva avuto l'attenta rilettura di un gruppo di colleghi: Mario Ageno, Nicola Cabibbo, Ugo Fano, Vittorio Somenzi e Leon van Hove.

Per molti di noi, la pubblicazione di questo testo fu una gradevole sorpresa. Non era un mistero che il celebre gruppo di Enrico Fermi, i cosiddetti “Ragazzi di via Panisperna”, avesse spesso qualche contrasto sulle questioni più variamente filosofiche: se si legge il piccolo contributo di Leona Marshall al “Fermi” di Bruno Pontecorvo [1] si trovano tracce di questa refrattarietà dell'amatissimo maestro e leader, verso il quale lo stesso Amaldi dichiarava e professava costantemente un rispetto incondizionato.

 

Edoardo Amaldi, al centro, nel 1934, con D'Agostino, Segre (alla sua sinistra), Rasetti e Fermi (alla sua destra).

Ebbene, in questo articolo di Physics Today la curiosità intellettuale di Edoardo Amaldi si spinge sul terreno filosofico più spericolato in cui si costruiscono le rappresentazioni mentali dei fisici. Lo spunto originario risale a due famose lezioni di Max Planck [2] a Leiden: una del 1908 e l'altra del 1929: la prima si intitola proprio “La rappresentazione fisica del mondo” e la seconda è un ripensamento, “Venti anni di lavoro sulla rappresentazione fisica del mondo”. Ricordo che ne avevamo brevemente parlato (non so dire esattamente quando) e che un argomento molto concreto era la sorpresa di avere una metodologia interpretativa razionale che si estende su dimensioni sia spaziali che temporali che coprono circa 40 ordini di grandezza, dalle dimensioni interne dei nucleoni a quelle dell'universo, dalle vite medie delle particelle instabili all'età dell'universo stesso. Effettivamente, questa “unità” della concezione fisica del mondo ha qualcosa di sorprendente e sembra preludere a più importanti e generali modi di pensare. Dice, Amaldi, nel suo articolo: “ la tendenza generale, nello sviluppo della fisica sembra essere quella che va verso un sistema unitario, indipendente da elementi antropomorfici – specie i giudizi sensoriali ”. Tuttavia, se già nell'articolo del 1908 di Planck spuntano significative unificazioni (Acustica nella Meccanica; Magnetismo e Ottica nell'Elettrodinamica), il grosso e imprevisto passo in avanti è ancora di là da venire. Amaldi è d'accordo con Planck quando dice che per poter apprezzare l'entità delle unificazioni e la straordinaria eccezionalità del fenomeno culturale bisogna occuparsi della storia del pensiero scientifico e capire nel concreto il cambiamento. Forse per questa sollecitazione mi convinsi qualche anno dopo a far pubblicare in italiano un bel libro di uno storico americano, Russell McCormmach [3]. Il problema era davvero di quelli che suggestionano anche i non addetti ai lavori: la Fisica era forse arrivata al suo ultimo possibile risultato? Era forse “finita”, completa? Mai suggestione forse si era rivelata così fallace. Effettivamente, con il tramonto del meccanicismo non relativistico e del relativo determinismo classico, la visione della Fisica in quell'inizio di secolo è completamente sconvolta e nuovi problemi filosofici e di interpretazione si aprono davanti agli stessi fisici. Ma si apre anche lo spazio per una nuova suggestione, che arriverà intatta sino ai nostri giorni. La visione unitaria è vera soltanto nell'enorme finestra che va dalle particelle elementari ai confini dell'universo? O possiamo sperare che ci aiuti a capire ciò che esiste anche al di là di questi limiti? Non è stato così quando è avvenuta la transizione da quella che Planck chiamava la Fisica “della materia e dell' etere ” alla Fisica atomica e alla quantizzazione dei campi relativistici: sono interamente mutati i fondamenti, il caso e la probabilità hanno fatto la loro irruzione nella rassicurante predittività delle leggi di natura. Allora, bisogna identificare il nuovo problema filosofico che si pone: è forse possibile che le teorie più antiche si riducano a più o meno semplici approssimazioni dei nuovi concetti fondamentali o sono invece da ritenersi errori da abbandonare? Amaldi discute, a questo proposito, le idee già espresse (a proposito di teorie “aperte o chiuse”) da Carl F. von Weizsäcker [4] il longevo fisico teorico morto a 94 anni nell'aprile 2007; questo fisico tedesco ha un modo di pensare molto congeniale allo spirito fenomenologico della scuola di Fermi: von Weizsäcker è molto bravo nel fare modelli semiclassici, dal caso dei processi elettrodinamici a quello del difetto di massa dei nuclei, soprattutto nel campo dell'Astrofisica nucleare, a cui ha dato importanti contributi insieme con Hans Bethe. Ma, al dunque è, per quanto è possibile usare questo termine per un fisico, un “conservatore” che cerca di recuperare il recuperabile di quella intuizione di fondo che governa le rappresentazioni mentali dei fisici teorici.

 

 

Edoardo Amaldi

Occupandosi di queste cose, Edoardo Amaldi si immerge ancora di più nelle prospettive del suo tempo. L'unificazione elettrodebole è il vero capolavoro di un certo modo di argomentare tutto proprio dei fisici, quello delle leggi di scala che accompagnano le intuizioni e del sistema di riferimento teorico che le colloca in un processo rigoroso di generalizzazione. Dapprima, l'idea di una relazione profonda tra l'Elettrodinamica e la teoria di Fermi delle interazioni deboli suggerisce che la costante di Fermi offra una scala delle masse intermedie (bosoniche) coinvolte nell'interazione: ma poi nasce subito il problema di come far convivere un mediatore di massa zero come il fotone con mediatori pesantissimi come saranno effettivamente Z 0 e W ± : è esattamente qui che si scopre l'enorme capacità di adattamento di una visione unitaria che può far conto su un linguaggio efficientissimo: la generalizzazione nasce dall'introduzione di un gruppo di gauge non-abeliamo , che concretizza l'idea dell'universalità della carica elettrica attraverso l'invarianza di una lagrangiana, e rende la teoria rinormalizzabile. Che colpo! Amaldi non nasconde l'entusiasmo, anche se, come ci ha sempre ripetuto, non sopporta i punti esclamativi.

Ma ciò che urge è, ora, occuparsi del più sfuggente dei terreni: la gravitazione, che è rimasta ostinatamente classica; e le impercettibili vibrazioni della metrica dette “onde gravitazionali”, che la teoria generale della relatività pure prevede. Per affrontare questa classe di problemi, Amaldi deve ri-immergersi nelle tecnologie più spinte del suo tempo. Credo che i primi pensieri sull'importanza della ricerca sperimentale delle onde gravitazionali gli siano venuti in concomitanza con le riflessioni su l'unità della Fisica. L'unità sarebbe parziale se un campo di ricerca restasse inaccessibile alla sperimentazione: bisogna perciò aguzzare l'ingegno e tentare. Noi che viviamo nel terzo millennio abbiamo questa sfida da raccogliere: forse, LHC, al CERN tanto caro ad Amaldi , ci farà fare qualche passo. Certo, il problema delle stringhe e delle dimensioni del mondo microscopico, così come il problema della materia oscura e delle supersimmetrie, sembrano lontani, molto lontani. Si incomincerà intanto con il bosone di Higgs e la ricostruzione delle masse del modello standard; la considerazione dell'unità della Fisica darà un notevole valore “filosofico” all'eventuale successo di questa concezione teorica che ha affascinato tutti i fisici delle particelle. A meno che… non accada quello che può sempre accadere e che è accaduto nei primi trenta anni del ‘900: un'altra Fisica soppianterà quella che stiamo usando oggi con tanta disinvoltura.

Vorrei dire, a conclusione di questa breve rievocazione di un problema caro al nostro grande maestro Edoardo Amaldi, che l'attesa dei risultati sarebbe stata per lui un ennesimo motivo di entusiasmo, come quelli che gli abbiamo visto vivere in altre occasioni in cui ci ha contagiati come era nella sua natura. Va ringraziato, per questo: l'entusiasmo, silenzioso o palese che sia, è il miglio terreno per coltivare pensieri profondi.

 

NOTE

[1] B. Pontecorvo, Enrico Fermi , Ed. Studio Tesi, pp. 125-127.

[2] M.Planck, Physikalische Abhandlungen und Vortrage, vol. 3, Vieweg, Braunschweig, 1958, p. 6 e 179.

[3] R. McCormmach, Night Thoughts of a Classical Physicist , Avon Books, New York, 1982; uscito in italiano come Pensieri notturni di un fisico classico , Editori Riuniti, Roma, 1990.

[4] C. F. von Weizsäcker, cfr la rassegna presentata da F.J. Zucker, in Boston Studies in the Philosophy of Science , n° 5, 1969, p. 474.