IL COSTRUTTORE: FORMAZIONE E COMPETENZE
Nel 1956 L.A. Mayer ha pubblicato a Ginevra un singolare repertorio di artisti/architetti/costruttori i cui nominativi sono tratti da epigrafi monumentali di una vasta produzione che andava dal Medio Evo al XIX secolo e che riguardava una vasta area geografica che includeva diversi Paesi musulmani[1]. L'orientalista avvertiva l'esigenza di delineare la figura dell'architetto musulmano cui non doveva essere stata estranea la competenza tecnica e scientifica, tenuto conto del grado di perfezione raggiunto nella realizzazione di complicati sistemi costruttivi voltati, di complesse strutture idrauliche formate da dighe e da ponti e di vasti acquedotti sotterranei: i qanât. Fatto notevole per il tempo, Mayer lamentava l'assenza di studi sull'argomento eccetto alcune biografie di maestri bizantini o leggende su professionisti come il Semnâr delle Sette Principesse.
Prima di procedere con la trascrizione delle epigrafi monumentali, Mayer provava a chiarire le ragioni dell'esistenza di una molteplicità di lemmi riferibili agli operatori del settore delle costruzioni. Ipotizzava pertanto che «'ala yadây» (per mano di) indicasse non tanto l'architetto, quanto il supervisore degli edifici; che la scritta «kâtaba (egli scrisse)» sostituisse l'espressione «opera di, lavoro di»; che il ruolo dell'architetto fosse espresso con la posposizione al nome del vocabolo «mu'allim»/«ostâd» (maestro).
Nell’onomastica musulmana, sia araba che persiana, le nisbe definiscono il patronimico ed accompagnano il nome proprio con le kunye (provenienza cittadina o familiare) ed i lakab (mestiere) consentono di individuare aree dove si sono concentrate presenze di operatori del settore delle costruzioni quali carpentieri, ceramisti, decoratori o Mu‘allimin/Ostâdân (maestri). I lemmi onomastici permettono poi di riconoscere relazioni formative fra esponenti di una stessa famiglia e di identificare aree geografico-culturali importanti per la possibile presenza di scuole/centri[2] dove si coltivavano in prevalenza discipline tecnico-scientifiche[3]. Le indicazioni sulla provenienza geografica ed al mestiere, accanto all’onomastica familiare, permettevano di rintracciare importanti elementi che consentivano di individuare mansioni e specializzazioni[4]. La terminologia delle epigrafi evidenziava differenze nelle competenze o, all'inverso, specificità costanti inducendo Mayer a formulare ipotesi che nel corso del tempo hanno conservato intatta la loro validità. Altrettanto ragguardevoli sono le informazioni sui costi e le spese sostenuti per la realizzazione di certi monumenti e riguardo ai salari percepiti dal personale addetto alle moschee. Il lessico dei mestieri abbinato a quello dei nomi, consente perfino di rilevare se nel corso del tempo uno stesso artista ha mantenuto la medesima specializzazione oppure se si è evoluto passando, per esempio, da operaio a ‘ustâd’ (maestro).
La produzione architettonica - e costruttiva in generale - era molto vasta in ambito iranico. Altrettanto significativa era l’attenzione riservata dagli studiosi agli scritti occidentali ed ampia era anche la produzione scritta che aveva contraddistinto già il programma culturale dei sovrani persiani Sasanidi (metà 226 – 651 secolo d.C.) preoccupati di pervenire ad una sistematizzazione del sapere affidando al libro la conservazione e la trasmissione del sapere tramite la casta sacerdotale.[5]
Accanto alla permanenza di tipiche soluzioni iraniche - quali le macchine per il sollevamento idrico, ghiacciaie e depositi per l'acqua, acquedotti sotterranei, ponti-diga, strumentazione topografica e di cantiere - interessanti analogie con le tecniche costruttive occidentali si riscontrano nelle regioni di stanziamento dei genieri e delle maestranze militari romani dopo la sconfitta di Valeriano e della sua armata di 70.000 uomini per mano del sovrano sasanide Šâpur I nel 259/60 ad Epuda. Soldati romani insediati nell'accampamento di Gundišâpur - nei pressi della città di Šuštar - furono impiegati nella costruzione di strutture idrauliche nella regione del Dezfûl e nel Kuzestân. Maestranze di varia provenienza erano state impiegate comunque già a Susa, come attestano le iscrizioni celebrative delle attività costruttive di Dario I (559 - 529 a. C.):
«/.../ Il suolo fu scavato giù fino a che giunsi alla roccia nella terra. Quando lo scavo fu fatto, allora fu riversato il pietrame, in parte alto quaranta cubiti, in parte alto venti cubiti /.../ e il pietrame fu accumulato e i mattoni furono battuti [sopra] - il popolo di Babilonia fece questo. Il legno di cedro, questo - c'è una montagna di nome Libano - da lì fu portato. Il popolo assiro lo portò a Babilonia /.../. L'argento e l'ebano /.../ [provengono] dall'Egitto /.../. Gli scalpellini che lavorarono la pietra, questi erano Ioni e Sardiani /.../. Gli uomini che lavorarono i mattoni, questi erano Babilonesi /.../»[6].
La professione dell'ingegnere/architetto non doveva essere distinta da quella del matematico. L'hâkîm (il saggio) - esattamente come in Grecia - era un esperto di Filosofia, di Astronomia, di Matematica e di Medicina, spesso anche poeta e scrittore di Belle lettere. La sua formazione si attuava attraverso le Arti del Quadrivio e del Trivio e a lui era affidata la trasmissione delle scienze, alla maniera greca strettamente legate alla filosofia.
Comparando varie fonti è stato possibile rilevare che il sapere connesso alle costruzioni includeva l'Honar (Arte), la ‘Elm (scienza) o qualsiasi disciplina a carattere teoretico, la Ÿinâ‘at (artigianato) od insegnamento dall'accentuato carattere pratico e l'‘Amal (lavoro), attività che non richiedeva, in genere, partecipazione creativa, bensì abilità esecutiva. Le scienze venivano suddivise in due grandi classi: ‘Olum-eavvâ’el (Scienze prime) - «prime» in senso aristotelico e «prime» in quanto antecedenti l'Islâm - ed in ‘Olum-e avâker (Scienze ultime) comprendenti tutto quanto avesse attinenza con la religione, inclusi il diritto e la scrittura, e che si connota di significati religiosi ed artistici. La letteratura, l'epica, l'âdâb (consiglio) e l'â'yene (specchio) - generi letterari persiani - registravano negli argomenti e nel lessico varie provenienze, ma in prevalenza greca e siriaca.
Diffuse erano le raccolte enciclopediche classificate in: enciclopedie di filosofia, di scienze religiose, di scienze amministrative, di scienze naturali. Tuttavia, dovrebbero essere correttamente considerate enciclopedie solo i repertori generali delle scienze, i cui contenuti riguardano di fatto il settore scientifico e tecnico[7]; in particolare, le enciclopedie persiane[8] introducono fra le discipline insegnamenti considerati secondari nel mondo greco, come la meccanica disprezzata da Archimede in quanto mera applicazione pratica e non speculazione pura.
Il primo richiamo ad un tecnico persiano-musulmano, vissuto nel I secolo dell'Egira,[9] specialista dalla preparazione multiforme, si ricava da una lista di artisti pubblicata dal persiano Manucehr Satude:
«/.../ ‘Omar al-Wadi Farzand-e Pesar-e Dovâr- eRâdân-e Irâni mu|andis va musiqi-dân va naxostin moganni va xonâgar /.../»,
cioè:
«/.../ ‘Omar al-Wadi, figlio di Dovâr, figlio di Radân l'iraniano, [è] ingegnere, menestrello, primo cantore e musico /.../»[10];
mentre una nota riportata da Mayer: «Mo|ammad ben al-Qasim b.‘Abi ‘Aqil, nel 64 (683-4), progettò la città di Širâz»[11] lascia ipotizzare una molteplicità di mansioni nell’operatore delle costruzioni al quale non doveva essere estranea la padronanza della Geometria, stando al grado di perfezione raggiunto nella costruzione delle volte e delle cupole:
«La geometria è l'arte attraverso la quale si conoscono le posizioni delle linee, le forme delle superfici piane e dei solidi, il rapporto generale che esiste tra misure e figure corrispondenti, e le relazioni che ci sono fra esse e le loro posizioni e forme. I principi della geometria sono contenuti in libri come quelli di Euclide il Falegname, opera perfezionata da Sâbet figlio di Qorrè. /.../»[12]
Le matematiche, come in Grecia, includevano aritmetica, ottica, astronomia, musica, scienza dei pesi/statica e meccanica e questa includeva quasi sempre una sezione di idrostatica. I vari settori delle matematiche erano collocabili fra il campo teorico ed il pratico, inclusa l'al-jâbr wa 'l-muqâbalah (algebra) cominciata dal persiano Mo|ammad ibn Mûsâ' al-Xwârazmî (m. 863), nelle cui intenzioni doveva offrire risposte ad esigenze di ordine pratico ed avere per oggetto:
«il calcolo in caso di eredità e di possedimenti, di suddivisioni in caso di partecipazioni ereditarie, di prescrizioni governative ed anche nel caso di qualsiasi altra questione relativa a contrattazioni - come, per esempio, la suddivisione dei terreni - le misurazioni [delle portate] fluviali, nella topografia e nelle altre trattazioni di scienze matematiche, tutti casi nei quali è possibile avvalersene /.../».
Compendi per il calcolo erano indirizzati agli operatori del Divân (Ufficio del Registro), i quali sovrintendevano alla misurazione, alla ripartizione terriera ed alla razionale distribuzione delle risorse idriche.
Interessanti informazioni sull'operatore delle costruzioni si traggono da un’enciclopedia filosofica del IX - X secolo redatta in arabo ed in forma di epistole dai neopitagorici e neoplatonici Ixwân a¡-Ÿafâ’ (Fratelli della Purità), mistici, traduttori di testi di filosofia e di matematica. Tra le loro fonti i confratelli includevano Euclide, Nicomaco di Gerasa, lo Pseudo-Aristotele, Archimede, Tolomeo, Porfirio, Ermete Trismegisto, Giamblico, Boezio, Democrito e Pitagora. L'enciclopedia definisce l’operatore delle costruzioni Sani’ (artefice), il quale estrae la forma che è nel suo pensiero trasponendola nella materia; per passare dall'ideazione alla realizzazione egli necessita di: tempo, spazio, materia, apparato, strumento, movimento ed anima. Gli esecutori sono l'anima e l'intelletto immortali; le arti e le scienze rispettano una gerarchia che segue l'utilità generale del loro fine: arti primarie sono l'agricoltura, l'arte tessile e l'edilizia[13]. I confratelli attribuivano la differente inclinazione delle persone nell'apprendimento delle arti agli influssi astrali e chiarivano l'apprendistato fra membri di una medesima famiglia:
«È sempre bene che i figli seguano le arti dei padri e dei nonni. In questo senso Ardashir figlio di Bâbak istituì l'obbligo per ogni casta di artigiani di non darsi arti estranee alla tradizione paterna e questo, per gli Zoroastriani, era considerato una legge religiosa. Ciò si faceva per proteggere il Regno, onde chi non era Re non si azzardasse a desiderarlo /.../».[14]
La relazione discepolo-maestro si basava su concetti neoplatonici:
«L'apprendimento di un'arte è un passaggio da una conoscenza in potenza a una conoscenza in atto per mezzo di uno, il maestro, che ha già la conoscenza in atto. Ogni apprendista ha bisogno di un maestro, il quale a sua volta non apprese da sé ma ebbe un maestro. Al capo di questa serie c'è il maestro primo che non ha appreso arti da un altro uomo /.../».[15]
Nell’Epistola sull’etica, i confratelli riflettevano sulla gerarchia delle anime inserendo architetti/costruttori nella terza classe.[16]
Intorno al Mille interessanti informazioni sono incluse nel trattato di Ingegneria idraulica redatto da Abû Bakr Mo|âmmad b. al-Hasan (b. al-ðuseyn) al-Hâseb al-Karajî,[17] noto matematico[18] e sconosciuto ingegnere a causa della diversa definizione dei campi operativi stabilita in passato e per la manchevole diffusione dei suoi scritti di carattere tecnico. Nativo del Jâbal iraniano, Karajî - ingegnere di ponti strade e canali - si trasferì a Baghdâd per seguire il mecenate e visir governativo dell'Irâq per conto del sultano buyyide Bahâ’ al-Doule - Faxr ad-Dîn, al quale dedicò un trattato di Algebra. La capitale irachena costituiva a quel tempo un importante crocevia di scambi commerciali e culturali agevolati dall'opera di traduzione dal greco, dal siriaco e dall'ebraico e dove non doveva essere estraneo il pensiero latino. Interessi privilegiati degli studiosi della abbasside Bâyt al-ðikmh (Casa della Scienza/Sapienza) - fondata nella prima metà del IX secolo dal califfo protettore delle matematiche al-Mâ‘mun – erano costituiti dalla matematica greca e indiana, dall'astronomia mesopotamica, dalla statica e dalla meccanica oltre la medicina.
Le informazioni sulla vita di Abû Bakr Mo|ammad Ibn al-ðasan Ibn al- ðusayn al-ðâseb al-Karajî sono poche e a lungo controverse. Alcune precisazioni di Giorgio Levi della Vida risalenti ai primi decenni del Novecento e notizie incluse nel capitolo introduttivo dell'Estrazione delle acque nascoste permettono, comunque, di definirne il profilo e la formazione professionale. La data della nascita è collocabile intorno alla metà del X secolo; la morte avvenne fra il 1017 ed il 1029. Dal suo trattato di idraulica si apprendono il nome della città natale - Karaj - nel Jâbal persiano a confine con la Turchia, il soggiorno a Bagdâd al seguito del visir Faxr al-Molk, la possibilità di continuare studi di Matematica; il ritorno in Irân dove compose - o almeno ultimò e dedicò – l’opera di idraulica. In Iraq Karaji aveva ricoperto il ruolo di ingegnere di strade ponti e canali e quello di conduttore della Bâyt al-ðikmâh ed era stato anche Šayx al-‘ulama (anziano, quindi esperto, nelle scienze), massima dignità conferita a chi era riconosciuto conoscitore delle Scienze. In Iraq compose vari testi:
«secondo me lo hanno consentito le forze, e /.../ nella misura in cui me lo ha concesso l'essere occupato in faccende continue e il trovarmi tra ostacoli ininterrotti /.../».[19]
Il Kitâb Inbât al-miyyâh al-Xafiyyâh (Libro/Trattato sull'estrazione delle acque nascoste)[20] - in persiano Estexrâj-e âbhâ-ye penhânî - consente di comprendere quale fosse intorno al Mille il ruolo del costruttore e il grado di conoscenze e di competenze. Il testo - scritto o perlomeno dedicato entro il 1017/1029, dopo il rientro in patria - è un documento di grande interesse per la conoscenza del settore delle costruzioni incluse le tecniche di scavo e di costruzione, il diritto, la cantieristica, il rilievo topografico, le competenze dell'ispettore-consigliere (una sorta di moderno direttore dei lavori). L'intento didascalico dell'opera - compilata per tramandare informazioni acquisite attraverso lo studio e la pratica di cantiere - ed il riferimento a precedenti lavori vengono espressi da Karajî fin dalle prime pagine:
«Quindi, mi sono messo a comporre questo testo affinché esso sia utile a dimostrare il metodo per l'estrazione delle acque nascoste e mi sono avvicinato ad esso. Poi ho rivisto alcuni antichi testi ma li ho trovati manchevoli ed inutili allo scopo /.../».[21]
I riferimenti alle pratiche del tecnico sono presenti anche nei capitoli dedicati al diritto islamico, che parla pure di controversie per la demarcazione della fascia di rispetto fra pozzi ed acquedotti:
«/…/ È indispensabile che i periti di queste controversie conoscano i [differenti] tipi di terre e non prendano sviste nel proprio lavoro. La fascia di rispetto del kâriz nella terra dura è minore dell'|arim del kâriz nella terra molle. Quanto più è duro il terreno del kâriz, tanto più il suo |arim è minore: diminuisce fino ad arrivare a 40 cubiti. Beninteso, il perito, o chi è incaricato della definizione di tale questione, deve essere un geologo. Tutto quello che abbiamo ricordato a proposito della fissazione dei confini della fascia di rispetto è soggetto a supposizione ed a valutazione. Infatti, è possibile che, a causa delle molte differenze esistenti all'interno della Terra, l'indagine possa differenziarsi /…/».[22]
Un buon tecnico era esperto nella preparazione e nel dosaggio dei materiali da costruzione. Al consigliere si affidava la stesura della perizia estimativa dei lavori i quali andavano eseguiti dopo essere stati concordati con il muratore e valutati per unità dimensionale includendo nel costo le tasse statali. L'ispettore-consigliere doveva sorvegliare la costruzione per evitare che il proprietario sprovveduto potesse essere raggirato da qualche impresario poco onesto.
L'estrazione delle acque nascoste risale ad un periodo in cui l'Occidente non scriveva più trattati tecnici ed il De Architectura di Vitruvio (I sec. a. C.) era ormai relegato negli scriptoria monastici, dove resterà fino al XIV secolo, benché non dovesse essere ignoto a specialisti e traduttori;[23] testimonianze del testo vitruviano si hanno, infatti, in Cassiodoro (VI sec.). Isidoro di Siviglia (VII sec.), già noto traduttore dall'arabo, nelle sue Etymologiae[24] ripropone argomenti simili ai vitruviani per soggetto e svolgimento.
Il contenuto, lo stile ed i richiami a precedenti autori e testi fanno inseriscono il trattato in un contesto di letteratura tecnica persiano-araba già sistematizzata. Il kitâb si potrebbe collocare fra le Javâme‘-e al‘Olum (Enciclopedie delle Scienze) e le Iršâd az-Zira‘at (Guide dell'Agricoltura) molto diffuse nella Spagna musulmana.[25] In linea con il tempo, contiene richiami all'astrologia, alla filosofia naturale, accenni di statica, riferimenti a credenze popolari. I soggetti centrali riguardano la matematica, le tecniche costruttive, i materiali da costruzione e finanche l'infortunistica e la cantieristica, fino a suggerire l'abbigliamento più idoneo e la dieta a quanti erano impegnati nella costruzione degli acquedotti sotterranei. Innovativi sono i capitoli dedicati alle livelle per il rilievo topografico; alcune - a lastra ed a piastra e con traguardo - furono ideate da Karajî in persona, il quale fornisce indicazioni sulle loro dimensioni, sui materiali e sulle basi teoriche che sottendono al funzionamento[26]. L’ ultima parte del trattato costituisce un vero e proprio manuale dell'ispettore-consigliere, al di sopra delle parti incaricato della vigilanza, della stima dei lavori e della redazione di una perizia contenente l'indicazione di tutti i lavori «da computare per unità dimensionale e comprensivi di tassa governativa»; il suo ruolo è determinante per la buona riuscita dei lavori:
«/.../ per qualunque moqanni[27] che si astenga dal seguire la decisione dell'ispettore-consigliere, la prosecuzione del lavoro sarà senza alcun profitto e l'esecuzione imprecisa /.../».[28]
Informazioni sul ruolo e sulle competenze del tecnico si rintracciano anche in fonti di natura letteraria. Nello scomparso Sorurnâme - una sorta di Liber Auguralis - l'autore afferma, per esempio, di avere letto che alcune tecniche lapidee erano state eseguite da (Ki¥us) figlio di Simsar il romano», il quale aveva costruito anche i castelli di Sadir e di Kavarnâq.[29] Il Ki¥us sembra non essere altro che la trascrizione del latino citus: il militare dell'avanguardia.
A proposito del secondo castello citato, in un testo letterario si rinvengono riferimenti alle competenze del costruttore ed accenni a tecnici stranieri impiegati nella edificazione. Infatti, in Le Sette Principesse, di Nezâmî di Ganje (1141 - 1204), riguardo all'architetto cercato da No’mân per la costruzione, i servitori riferiscono al re:
«/.../ Un artigiano degno di te /.../ esiste ed è un famoso architetto del paese di Rûm, così abile che maneggia la pietra come cera, destro, agile, dal delicato lavoro, un discendente di Sâm che si chiama Semnâr /.../. Sebbene egli sia noto come architetto, è anche maestro di mille pittori, inoltre è osservatore attento degli astri e conoscitore delle altezze celesti, e il suo sguardo, dalla coda del ragno dell'astrolabio, ha intessuto mucillaginose tele nei cieli. Acuto come Apollonio il Greco, sa nel contempo fissare tavole d'astri e sciogliere talismani; è a conoscenza degli esseri velati del firmamento, degli assalti notturni della luna, delle vendette del sole /.../»,
ed aggiungono:
«Quando Bahrâm della corona di Kei-Qobâd ebbe alzato fino alla luna il diadema di Kei-Kosrov, creò un Bisotun dal cuore del calamo, tale che il Bisotun di Fahrâd ne fuggì umiliato /.../».[30]
Nel primo brano, i servi comunicano al re di avere identificato l'architetto che fa al caso suo (Semnâr del paese di Rûm in Anatolia) e ne delineano le capacità e la personalità dalla formazione multiforme intrisa di chiare esperienze greche; il secondo, brano, riferito al re Bahrâm committente dei sette padiglioni di sette differenti colori, allude ad un progetto tracciato con il calamo.
Informazioni sul costruttore sono elargite dallo storico di origine tunisina ‘Abd ar-Ra|mân Abû Ziyad Ibn Xaldûn, (Tunisi 1332 – Cordova 1406), uno degli studiosi musulmani noti nell'occidente latino grazie alla diffusione delle sue Muqaddimâh (Le Premesse [alla storia]).[31] Vari studiosi hanno attinto alla sua definizione di «Architettura» ed alla stretta relazione con il livello di civiltà raggiunto. Degli Arabi - beduini - ibn Xaldûn lamenta la scarsa attenzione verso la pianificazione urbana ed attribuisce alla loro mancata dimestichezza con le arti i ricorrenti crolli degli edifici. L’autore collega, poi, le tecniche costruttive al clima, all'area geografica ed ai materiali disponibili utilizzati dal costruttore in relazione alla ‘durezza’. Le competenze del tecnico si estendevano dall'architettura alla pianificazione urbana, mentre:
«/…/ gli operatori sono diversi l'uno dall'altro, alcuni intelligenti ed abili, altri, invece, risultano inferiori»[32]
le autorità ricorrevano al consiglio degli architetti in quanto:
«più versati:competenti nelle leggi, in grado di costruire acquedotti sotterranei,sanno suddividere le proprietà».
L'assenza di una civiltà stanziale «l'unica in grado di produrre monumenti» comporta l'impiego di materiali deperibili, mentre la scarsa produzione od importazione di materiali più idonei - come pietra e marmo – provoca:
«lo smembramento sistematico degli edifici esistenti per recuperare e riutilizzare il materiale»[33].
Per lo storico tunisino, l'ingegnere deve conoscere la Geometria che sfrutta per costruire congegni meccanici:
«Egli /.../ maneggia funi e pulegge per il trasporto di voluminosi e pesanti blocchi di pietra ed è soltanto grazie all'applicazione pratica di regole di geometria che ha potuto, in passato, costruire edifici monumentali la cui costruzione non è dovuta a dei Giganti, bensì ad uomini capaci di utilizzare congegni appropriati /.../».[34]
L’affermazione:
«Allorché l'architettura è dominio di una stirpe di persone, quella stirpe costruisce città e palazzi eccelsi ed è benvoluta»
ha suggerito a Donald Wilber alcune note condivise dallo studioso Mohammad Yûsûf Kiânî in Me‘mâri-ye Irân doure-ye Islâmî (L’architetttura dell’Iran di epoca islamica) edito a Tehrân nel 1988/89:
«Quegli alti principi furono applicati per redigere buoni progetti e per realizzare edifici perfetti dal punto di vista tecnico. Gli architetti portarono all'apice l'utilizzo della geometria perché gli edifici risultassero stabili ed i muri si mantenessero a piombo. Si industriarono per sollevare il livello dell'acqua e perché questa circolasse, nonché in altri argomenti simili. Quindi, essi dovevano conoscere problemi di ingegneria. Questa posizione di Ibn Xaldûn - che si adoperò affinché i progetti fossero ben redatti - comportò un problema critico: quale tipo di disegni tracciare, quali dettagli dovesse contenere il progetto, quale descrizione dovesse essere allegata, quanti segni fossero pertinenti ed importanti /…/».
Nel lavoro di Kiâni sono contenute informazioni sul progetto e sul progettista riferite a varie epoche:
«Nell'anno 1344/745H. il sultano Malek Salah ‘Ismail mandò l'architetto Abgig nella città di Amâh proprio per rilevare la planimetria di una stanza del castello del principe di Amâh, egli stesso geografo e storico molto famoso – Abû-l Fâde/…/.
Negli studi relativi a materie di progettazione, ‘Ali Bahagat e Gabriel hanno ipotizzato che il capomastro dei muratori, prima di tracciare una casa, incideva un realistico progetto - secondo il proprio metodo - su di in pezzo di pelle o su una lastra. /…/.
L'emiro mamelucco del XVI secolo tracciava sulla terra, personalmente, con l'ausilio di acqua di calce, l'immagine concisa delle pareti della costruzione /.../
Sfortunatamente, delle numerose opere di Rašid al-Dîn Fasl-Allah - visir ilkhanide mongolo di Gazân Xân e di Öljeitu - non ne resta alcuna. Secondo Quatrèmer, Rašid al-Din nel suo libro al-Ahya va al-Hasar scrisse ben ventiquattro capitoli a proposito di quest'argomento. Il ventesimo capitolo riguardava le regole progettuali degli edifici, delle fortificazioni e di ogni altro tipo di costruzione. Il ventunesimo capitolo era relativo alle costruzioni navali, alle dighe, ai ponti, ai passaggi /…/».[35]
Nel 1614 l’architetto turco[36] Ca‘fer Efendi completa il suo Risâle-i mi‘mâriyye (Trattato di architettura) dedicato a Me|met AÐa, «Principe delle acque» ed «Architetto reale», discepolo del più famoso Koca Sinân, architetto di S. Sofia di Costantinopoli. Il trattato chiarisce la figura dell'architetto musulmano delineandone la formazione, gli interessi, il campo d'azione ed offre altresì numerosi spunti per l'indagine sull'evoluzione della trattatistica architettonica in ambito islamico. I glossari con l’origine dei singoli termini - turca, persiana od araba - sono particolarmente utili per la conoscenza delle costruzioni, dei materiali, delle definizioni dei campi operativi vigenti in ambito islamico, degli attrezzi di cantiere e della strumentazione di misura. Il testo inizia con la biografia di Me|met Aga e con informazioni sulle sue opere. Il settimo capitolo tratta delle unità dimensionali in uso in architettura o nelle misurazioni di lunghezze generiche per analizzare di seguito le unità di misura adoperate in Turchia, in Persia e nel mondo arabo. Nell'undicesimo capitolo l’autore analizza le tipologie islamiche più ricorrenti: la madrasa, il caravanserraglio, la moschea, il minareto, la kuba (cupola), il minbar[37]; tratta del portico, del padiglione, delle verande/logge ma anche degli archi e delle volte resi col termine turco Tâq. Dalla terminologia si ricavano indicazioni specifiche per le varie parti della costruzione e per eventuali varianti di carattere geografico. Nel dodicesimo considera i materiali da costruzione, i diversi operatori e gli strumenti musicali per la costruzione dei quali raccomanda padronanza nella Geometria; seguono ragguagli sulla carpenteria dalla quale l’autore considera imprescindibili la conoscenza del legno e l’applicazione di regole di geometria. Particolarmente importanti sono le informazioni sui materiali da costruzione naturali ed artificiali, sulla strumentazione di cantiere, sulla terminologia delle parti strutturali e secondarie degli edifici. Le varianti geografiche di materiali e di elementi della costruzione vengono messe in evidenza nelle varianti lessicali o, viceversa, trovano analogie sostanziali nelle trascrizioni e nella pronuncia. Queste ultime permettono di risalire perfino all’origine del termine e, in base a questo, alla formulazione di ipotesi circa l’origine dell’elemento stesso.
Fra gli operatori sussisteva una specificità professionale. L’amministrazione statale - affidata ai militari - includeva cinque Emîn (Commissari) inquadrati nel «Servizio esterno» fra i quali lo Šeir emîni (Commissario della città) - cui competevano la supervisione degli edifici imperiali ed il controllo delle risorse idriche - assistito da funzionari subalterni quali il Mi‘mâr bâši (Architetto capo) ed il Su nâzirî (Ispettore delle acque). Il Commissario della città controllava la costruzione degli edifici della capitale e si occupava dell'approvvigionamento dei materiali. All'architetto capo veniva riconosciuta specifica competenza artistica, oltre che tecnico-scientifica. Il controllo in campo edile veniva esercitato in modo che nessun edificio potesse essere restaurato o costruito ex novo senza la sua autorizzazione, mentre le costruzioni più imponenti ed importanti venivano realizzate sotto la sua supervisione. All'interno del cantiere vigeva la ripartizione delle mansioni: il progettista era persona diversa dal costruttore e, fra gli operatori, doveva esistere una competenza specifica riflessa nella differenziazione lessicale delle cariche. La scissione fra le competenze dello Šeir emînî e del Mi‘mâr bâši non era sempre netta: all'uno o all'altro, talvolta, facevano capo il Ta‘mirât mudîri (Direttore del restauro), il Kareççi bâšî (Capo calcinaio) e l'Enbâr emînî (Direttore dei magazzini)[38].
Nel XIII capitolo l’autore considera la terminologia riguardante il tecnico/operatore delle costruzioni. Si rilevano, così, differenze fra il Mi‘mar (architetto) ed il muhandiz/mu|andis (ingegnere), fra l’artigiano - sânî - e l’artigiano specializzato o muhtarif. L’analisi terminologica considera tutti gli operatori coinvolti nella costruzione: esperto talentuoso, semplice costruttore, esperto, capomastro, lapicida, carpentiere e capo-carpentiere ecc. Nel medesimo capitolo vengono analizzati il lessico della strumentazione di cantiere, dei vari tipi di mattoni e di malte, nonché dei materiali utilizzati per le decorazioni, inclusi l’oro e l’argento.
Il capitolo XIV valuta la scienza della musica ed analizza i vari strumenti a fiato, a corda, a percussione; viene, quindi, messo in evidenza lo stretto rapporto fra arte/musica e scienza/geometria per concludere con una poesia. Il XV capitolo riporta notizie relative alla vita di Mehmet Aga ed alla sua vasta produzione artistica. Nel descriverne le opere, Efendi fornisce varie indicazioni sulle relative tipologie e sui metodi di costruzione, alternando brani di prosa e poesie.
[1]L. A. Mayer, Islamic Architects and their works, Genéve, 1956, Preface, Introduction, pp. 9 – 29.
[2]Il vocabolo scuola – madrasa – per il mondo islamico si applica, a rigore, solo alle scuole coraniche; tuttavia esso viene qui utilizzato come riferimento per la corrispondente istituzione occidentale.
[3]Ricerche effettuate hanno evidenziato un ricorrente interesse per la Meccanica negli studiosi del Khorasân, cfr: G. Ferriello, Le tecniche costruttive cit..
[4]Lo stesso metodo è stato applicato a liste di nominative rinvenuti in più recenti testi persiani, le quali hanno consentito di censire circa ottocento tecnici stanziati in determinati ambiti geografici o nomadi.
[5]Sulla trasmissione del pensiero fra Occidente ed Oriente, fra i testi fondamentali, cfr.: D. M. Dunlop, D. D., Arabic Science in the West, Pakistan Historical Society, Karachi, 1958; AA. VV., L'Islam la Philosophie et les Sciences, Les Presses de l'UNESCO, Géneve, 1981; D. De Lacy O’Leary, How Greek Science passed to the Arabs, London, Boston and Henley, 1980, III ed.; I ed. 1949, II ed. 1979; per alcuni sintetici apetti generali di carattere tecnico-scientifico, il più recente Donald R. Hill, Islamic Science and Engineering, Edinburg University Press Ltd., Edinburgh, 1993.
[6]Antonino Pagliaro Alessandro Bausani, La Letteratura persiana, Milano, 1968, pp.25 - 26.
[7]Cfr.: Ãiva Vesel, Les Encyclopédies Persanes, Essai de Typologie et de Classification des Sciences, Memore I. F. R. I. n° 57, Paris, 1986; Ã. Vesel, «Le Jâme‘ al-‘olum de Fakhr al-Din Râzi et l'état de la connaissance scientifique dans l'Iran Médiéval», in Gherardo Gnoli and Antonio Panaino (editt.), Proceedings of the First European Conference of Iranian Studies, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente - Istituto Universitario Orientale, Roma, 1990, pp. 571 - 578.
[8] Le prime enciclopedie persiane si fanno risalire per ragioni linguistiche al X - XI secolo.
[9]Con il termine viene indicata l’emigrazione di Maometto alla Mecca, avvenuta nel 622 circa.
[10]M. Satude, Honarmandân-e doure-e Islâmî (artisti di epoca islamica), in: M. Y. Kiânî, Op. Cit., p.423.
[11]L. A. Mayer, Islamic Architects cit.; ibidem.
[12] Ne®âmî ‘Aruzî di Samarcanda, I Quattro Discorsi (Trad. ital. Giorgio Vercellin), Roma, 1977, p. 148.
[13]Le traduzioni tratte dalle Epistole sono di Alessandro Bausani. Cfr.: A., L'Enciclopedia dei Fratelli della Purità, Seminario di Studi Asiatici, Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1978, pp. 70 - 71
[14]A. Bausani, Op. Cit., p. 72.
[15]A. Bausani, Op. Cit., p. 76.
[16]La classificazione era: I, operai e artigiani; II, mercanti; III,architetti e costruttori; IV, re, militari, politici; V, servi e viventi alla giornata; VI, malati cronici e disoccupati; VII, dotti e religiosi. Ciascuna categoria era suddivisa a sua volta in sottoclassi. Cfr. A. Bausani, L'Enciclopedia .... cit., p. 76.
[17]Su Karajî: Bernardino Baldi da Urbino, Cronica de Matematici o vero epitome dell'istoria delle vite loro, Urbino, MDCCVII; Franz Woepcke, Extrait du Fakhri traité d'Al-gébre par Aboù Bekr-Mohammad ben Alhaçan Alkarkhi, Paris, MDCCCLIII; Hermanno Hankel, «Storia delle Matematiche presso gli Arabi», (trad. dal tedesco di Filippo Keller), in Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche, diretto da Baldassarre Boncompagni, anno V, 1872, rist. anastatica, Bologna, s. d.; Heinrich Suter, Die Mathematiker und Astronomen der Araber und ihre werke, Amsterdam, 1902 IIa ed. (Ia ed. 1900); Giorgio Levi della Vida, «Appunti e quesiti di storia letteraria araba, due nuove opere del matematico al-Karagi», in Rivista di Studi Orientali, XIV, 1934, pp. 249 - 270; Mohammad Ibn al-Hasan al-Huseyn al-Haseb al-Karaji, Estekhrâj-e âbhâ-ye penhânî, (trad. pers. di Hamin Khadivjam), Tehrân, 1345 H./ 1966-7; J. Vernet y A. Català, «Un ingeniero àrabe del siglo XX, al Karayî», in: Al-Andalus, XXXV, 1970, pp. 69 - 91; per quanto concerne il trattato tecnico: G. Ferriello, Problemi di Storia della scienza cit.; G. Ferriello, L’Estrazione delle acque nascoste cit..
[18]Il qualificativo |âseb traduce: calcolatore/matematico.
[19]G. Levi della Vida, op. cit., p. 259.
[20]Sono disponibili: il testo principe di Hyderabâd stampato col titolo originario (Kitât Inbât al-Miyyâh al-khafiyyah) nel 1941 sulla base del manoscritto ivi conservato nella Biblioteca Âsafiyah (secondo il Repertorio dei Manoscritti Persiani compilato da Brockelmann schedato al Cat. I, N° 128 (S. II, 390); una versione persiana (Estekhrâj-eâbhâ-ye penhânî) eseguita da Hamin Xadivjam sulla base del testo precedente e pubblicata a Tehrân nel 1345H./1966-7; una versione francese eseguita da Aly Mazaherî nel 1973, in cui si accenna ad un altro manoscritto - del Cairo - del quale non c'è traccia nei repertori, né ci è stato fornito, nonostante le richieste avanzate in tal senso all'IDERIC di Nizza (che curò la stampa del testo francese); la versione in italiano con comparazione delle fonti antiche è nella pubblicazione dell’autrice del presente lavoro (cfr. nota 33).
[21]Cfr.: Karajî, Estekhrâj cit., p. 2.
[22]Cfr.: Karajî, Op. Cit., pp. 46 - 48.
[23]Per la conoscenza e la diffusione del De Architectura durante il Medio Evo, cfr.: Luciano Migotto, De Architectura, (con testo latino a fronte), Pordenone, 1992, pp. XXIX - XXXVII ed in: Luigi Vagnetti, L'architetto nella storia d'Occidente, Padova, 1982,. cap. II.
[24]Per il confronto è stata usata la versione latina-spagnola: Isidorus Hispalensis, Etymologiae, Vol. XIX, Paris, Les Belles Lettres, 1995; il vol. XIX contiene, fra l'altro, l'analisi etimologica di termini connessi al settore dell'architettura.
[25]Compilate anche in Occidente, in Persia almeno fino al XVII secolo. Per le fonti romane ed iranico-arabe nelle “Guide per l'Agricoltura”, i primi espliciti riferimenti sono in un testo del 1130 compilato in arabo dallo spagnolo Ibn al-‘Awwâm. Cfr.: Abu Zacaria Iahia Aben Mohamed Ibn Ahmed ebn el Awam, sevillano, Kitâb al-Filâha, (Libro di Agricoltura) (edit. Josef Antonio Banqueri), 2 voll. Madrid, 1802, ristampa anastatica con note di García Sánchez y J. Esteban Hernández Bermejo, Madrid, 1992. Studi su testi di agricoltura in ambito islamico sono: José Maria Villás Vallicrosa, El «Tratado de Agricultura» de Ibn Wâfid, in: Al-Andalus, Vol. VIII/1943, pp. 281 - 299; J. M. Villás Vallicrosa, «Aportaciones para el estudio de la obra agronómica de Ibn ðayyây y de Abû-l-Jayr», in Al-Andalus, vol. XX/1955, pp. 87 - 105; Toufic Fahd, «Un Traite des Eaux dans al-Filâ|a an-Naba¥iyya (Hidrogeologie, Hydraulique Agricole, Hydrologie)», in Atti, La Persia nel Medio Evo, Roma 31 marzo - 5 aprile 1970, Roma, 1971, pp. 277- 325; Ãiva Vesel, «Les Traités d'Agricolture en Iran», in Studia Iranica, tome 15 - 1986, pp. 99 - 108; Maria Eva Subtelny, «A Medieval Persian Agricoltural Manual in context: The Irshâd al-zirâ‘a in late Timurid and early Safavid Khorasan», in Studia Iranica, Tome 22/1993, fascicolo 2, pp. 167 - 217;
[26]L’argomento è dettagliato in: G. Ferriello, Strumenti topografici dell’anno Mille nel Nel Kitâb inbat al-miyyah al-xafiyya del matematico-ingegnere Karaji, in: Atti del 25° Congresso SISFA, Milano, 2005, in pubblicazione.
[27]Operaio costruttore di acquedotti sotterranei persiani.
[28]Karajî, Estekhraj cit., p. 126.
[29]La notizia è stata gentilmente fornita dal prof. Angelo Michele Piemontese, al quale si deve pure la referenza bibliografica: Mujmal al-tawârîx al-qi¡a¡ ta’lif-e sâl-e 570 hejri, Tehran, 1318, p. 7.
[30]Nezâmi di Ganje, Le Sette Principesse, (trad. di Alessandro Bausani), Milano, 1982, p. 150.
[31] Note pure col titolo di Introduzione alla Storia, il titolo completo dell'opera è «Istruttivi esempi e ricordi delle origini e di eventi concernenti la storia degli Arabi, dei Persiani, dei Berberi e di loro contemporanei che possedevano una grande potenza».
[32]Ibn KHaldun, Op. Cit., p. 359. Nella citazione bibliografica per la trascrizione della lettera ځviene utilizzata la trascrizione adottata dall’autore del testo, nel corso del lavoro, in luogo della trascrizione desueta Kh viene utilizzata la moderna X.
[33]Ibn Khaldun, Op. Cit., pp. 360 – 361.
[34]Ibn Khaldun, Op. Cit., pp. 361 - 363.
[35] M. Y. KiânÎ, Me‘mâri-ye Irân, doure-ye Islâmi, Tehrân 1366 H. (1988/89), pp.415 – 419.
[36] La Turchia era un paese legato culturalmente alla Persia attraverso la dinastia dei Selgiuchidi.
[37] Palco dal quale, durante la cerimonia religiosa del venerdì, nella moschea viene pronunciato il sermone.
[38]H. A. R. Gibb and Harold Bowen, Islamic Society and the West, a study of the impact of Western civilization on Moslem Culture in the Near West, 2 voll., London - New York -Toronto, 1957; vol. I, pp. 84 - 85.