Il fratello maggiore del FINAC
Come funziona un computer? Pochissime persone lo sanno veramente e lo stesso vale per la televisione o il telefonino (ho i miei problemi a spiegare anche i programmi della lavatrice). Però, prima di essere una macchina vera e propria, il computer è stato — ed è ancora — un'inarrestabile fonte di riflessioni e fantasie. Possono raccontarci quello che vogliono, ma quando vediamo questa specie di grosso pallottoliere, capace di risolvere problemi di Algebra lineare che a noi costerebbero secoli di lavoro, non possiamo impedirci di credere ad una qualche intelligenza autocosciente che operi al suo interno.
A cinquant'anni dall'inaugurazione del FINAC, computer Ferranti dell'INAC-CNR a Roma, il primo grande computer elettronico dedicato al calcolo scientifico in Italia, ho ritrovato per caso (anche se oramai dovremmo saperlo tutti che il caso non esiste), sepolto in un vecchio scaffale, un raccontino di Kurt Vonnegut, stranamente mai tradotto prima in italiano, in cui si parla di un fratello maggiore del FINAC, chiamato EPICAC, esternamente molto simile e di soli 5 anni più vecchio, ma con alcune caratteristiche abbastanza insolite.
Spero che il racconto vi piaccia. Io per il momento me ne torno a frugare nell'archivio dell'IAC. Non si sa mai che qualcuno tra primi programmatori del FINAC, miei colleghi di cinquant'anni fa, non abbia agito come il protagonista del racconto, lasciando nascosta da qualche parte un'interessante eredità...
EPICAC
di Kurt Vonnegut (traduzione di Roberto Natalini)
Accidenti, è proprio arrivato il momento che qualcuno racconti del mio amico EPICAC. Dopo tutto, è costato ai contribuenti ben 776.434.927,54 dollari. Avranno pure il diritto di essere informati, avendo staccato un assegno di quelle dimensioni. EPICAC ebbe un bel po' di spazio sui giornali, quando Ormand von Kleigstadt lo progettò per quelli del governo. Da allora, non c'è stato più nulla, non una riga. Non è un segreto militare ciò che successe a EPICAC, benché il Comando si sia comportato come se così fosse. La storia è imbarazzante, questo è tutto. Con tutti quei soldi spesi, EPICAC non funzionò affatto come ci si sarebbe aspettato. Ma c'è di più: voglio rendere giustizia a EPICAC. Forse non fece quello che il Comando voleva da lui, ma ciò non vuol dire che non fosse nobile e grande e brillante. Fu tutte queste cose. Il miglior amico che io abbia mai avuto, e che il Signore abbia pietà di lui.
Potete considerarlo una macchina, se volete. Sembrava infatti una macchina, ma lo era molto meno di tante persone che conosco. Questa fu la vera ragione per cui alla fine deluse le aspettative del Comando. EPICAC copriva una superficie di circa 4000 metri quadrati al quarto piano dell'edificio di Fisica del Wyandotte College. Ignorando per un attimo il suo lato spirituale, era fatto di sette tonnellate di tubi elettronici, fili e interruttori, alloggiati in alcuni grandi cassoni di acciaio allacciati alla corrente a 110 volts, proprio come un tostapane o un aspirapolevere. Von Kleigstadt e il Comando volevano che fosse uno strumento di super-calcolo che potesse tracciare, se necessario, la traiettoria di un missile da un punto qualsiasi fino al secondo bottone dal basso del capotto di Giuseppe Stalin. Oppure, sistemato a dovere, risolvesse i problemi di rifornimento per uno sbarco di una Divisione di Marines, fino a occuparsi dell'ultimo sigaro o dell'ultima bomba a mano. Come fece, infatti.
Il Comando era andato molto bene con computers più piccoli, per cui furono molto decisi nel volere EPICAC quando era ancora nello stadio di progettazione. Qualsiasi ufficiale di ordinanza o anche un addetto ai rifornimenti al di sopra dei gradi più bassi saprebbe dirvi che la matematica nella guerra moderna è molto al di là delle menti limitate dei semplici esseri umani. Più grande era la guerra, e più servivano grandi calcolatori.
EPICAC era, come tutti sanno in questo paese, il più grande computer del mondo. Troppo grande, forse, perché perfino von Kleigstadt non riusciva a capirne granché.
Non voglio scendere nei dettagli di come EPICAC lavorava (ragionava), eccetto che uno doveva formulare il suo problema su un pezzo di carta, girare qualche manopola e qualche interruttore per prepararlo a risolvere quel tipo di problema, e infine immettere i numeri con una tastiera abbastanza simile a quella di una macchina da scrivere. La risposta arrivava stampata su una striscia di carta alimentata da un grande rotolo. EPICAC ci metteva qualche decimo di secondo per risolvere problemi che cinquanta Einstein a lavoro non avrebbero risolto nel corso di tutta la vita. E EPICAC non si dimenticava di nessun pezzetto di informazione che gli veniva data. Clickete-click, tirava fuori un pezzetto di carta e tu stavi a posto.
C'erano un sacco di problemi che il Comando voleva risolvere in tutta fretta, così, non appena l'ultimo tubo di EPICAC fu piazzato al suo posto, fu messo a lavorare sedici ore al giorno con due squadre di operatori che si davano il cambio ogni otto ore. Beh, non ci misero molto tempo a capire che era ben al di sotto delle aspettative. Faceva il suo lavoro meglio e più velocemente di qualsiasi altro computer, d'accordo, ma non al livello di ciò che le sue dimensioni e le sue caratteristiche sembravano promettere. Era lento a rispondere, e il ticchettare delle sue risposte aveva una buffa irregolarità, una specie di balbettio. Ripulirono i suoi contatti dozzine di volte, controllarono e ricontrollarono i suoi circuiti, sostituirono uno dei suoi tubi, ma senza successo. Von Kleigstadt era veramente fuori della grazia di dio.
Beh, come forse ho già detto, andammo avanti e usammo ugualmente EPICAC. Mia moglie, che all'epoca si chiamava Pat Kilgallen, e io lavoravamo nel turno di notte, dalle cinque di pomeriggio fino alle due. Pat allora non era mia moglie. Non ci pensava nemmeno.
Fu così che mi trovai a parlare con EPICAC la prima volta. Ero innamorato di Pat Kilgallen. Aveva gli occhi marroni e i capelli biondi con una sfumatura rossastra, e a me sembrava molto calda e dolce, così come poi dimostrò di essere. Era pure, e lo è ancora, un'eccellente matematica, e manteneva i nostri rapporti su un piano strettamente professionale. Sono anch'io un matematico, e questo, secondo Pat, era il motivo per cui non ci saremmo mai potuti sposare felicemente.
Io non sono timido. Non era questo il problema, Sapevo ciò che volevo, ed ero ben deciso a chiederglielo, e lo feci molte volte al mese. "Pat, lasciati andare e sposami."
Una notte, lei non alzò nemmeno lo sguardo dal suo lavoro quando parlai. "Così romantico, così poetico" mormorò più al suo pannello di controllo che a me. "Succede sempre così con i matematci -- tutti rose e fiori." Chiuse un interruttore. "Mi scalderebbe di più un sacchetto di CO2."
"Va bene, ma cosa dovrei dire?" chiesi, abbastanza sconfortato. Il CO2 ghiacciato, in caso non lo sapeste, è il cosiddetto ghiaccio secco. A me sembra di esser romantico come chiunque altro. Invece è come cercare di cantare dolcemente ed essere irrimediabilmente stonato. Ogni volta scelgo le parole sbagliate.
"Dai, prova a dirlo più dolcemente", disse lei con sarcasmo. "Trascinami con il tuo impeto. Vai avanti."
"Cara, angelo, mia amata, vorresti per favore sposarmi?" Ero senza speranza, ridicolo. "Dannazione Pat, ti prego, sposami!"
Lei continuò a giocherellare tranquillamente con la tastiera. "Sei dolce, ma non sei spontaneo."
Pat se ne andò presto quella sera, lasciandomi solo con i miei problemi e con EPICAC. Ho paura di non aver combinato molto per quelli del governo. Me ne stavo seduto lì alla tastiera -- esausto e angosciato, d'accordo -- sforzandomi di pensare a qualche cosa di poetico, ma non riuscendo a pensare a nulla che non fosse connesso in un modo o nell'altro con il Journal of the American Physical Society.
Intanto mi davo da fare con le manopole di EPICAC, preparandolo per un altro problema. Con la testa non c'ero proprio, per cui ne misi a posto solo una metà, lasciando le altre nella posizione usata per il problema precedente. Insomma, i suoi circuiti erano connessi in modo casuale e apparentemente insensato. Per completare il pasticcio, composi un messaggio con i tasti, usando quel codice da bambini che mette i numeri al posto delle lettere: "1" per "A," "2" per "B," e così via fino a "26" per "Z," "3-15-19-1-16-15-19-19-15-6-1-18-5," digitai -- "Cosa posso fare? "
Clickete-click, e spuntò fuori una striscietta di carta. Diedi un'occhiata alla risposta insensata a un problema insensato: "17-21-1-12-5-9-12-16-18-15-2-12-5-13-1." Le probabilità che ci fosse per caso un messaggio qualsiasi, o anche solo una parola compiuta di più di tre lettere, erano straordinariamente basse. Meccanicamente lo decifrai. Era lì, che mi fissava: "Qual è il problema? "
Ridacchiai rumorosamente dell'assurda coincidenza. Per gioco, digitai, "La mia ragazza non mi ama. "
Clickete-click. "Che cosa è amore? Che cosa è ragazza?" chiese EPICAC.
Sbalordito, annotai la posizione delle manopole sul pannello di controllo, e misi il Dizionario Webster's Unabridged accanto alla tastiera. Con uno strumento di precisione come EPICAC, definizioni confuse non servivano. Così gli dissi dell'amore e della ragazza, e di come non avrei avuto nessuna delle due cose poiché non ero un tipo poetico. Questo ci portò sul soggetto della poesia, che dovetti definire per lui.
"E' poesia questa?" mi chiese. Cominciò allora a ticchettare come uno stenografo che avesse fumato hashish. La lentezza e i ticchettii balbettanti erano scomparsi. EPICAC aveva trovato se stesso. La striscia si srotolava a una velocità inquietante, riempiendo di spirali di carta tutto il pavimento. Gli chiesi di fermarsi, ma EPICAC continuò imperterrito nella sua creazione. Alla fine, girai l'interruttore principale per impedirgli di bruciarsi.
Stetti fino all'alba intento a decifrare. Quando il sole spuntò sopra l'orizzonte nel Wyandotte Campus, avevo trasposto nella mia scrittura e firmato con il mio nome un poemetto di duecento e ottanta righe, intitolato semplicemente, "A Pat. " Non sono un buon giudice in questo genere di cose, ma intuii che dovesse essere stupendo.
Cominciava, ricordo, così: "Dove i rami del salice benedicono gli anfratti attraversati dai rivoli, lì, Pat, cara, io ti seguirò..." Piegai il manoscritto e lo infilai sotto un angolo del fermacarte sulla scrivania di Pat. Preparai le manopole di EPICAC per un problema di calcolo della traiettoria di un missile, e me ne andai a casa con il cuore carico del mio incredibile segreto.
Pat stava piangendo sul poema quando andai al lavoro la sera dopo. "E' belliiissimo," fu tutto quello che riuscì a dire. Stette tranquilla e silenziosa durante il lavoro. Poco prima di mezzanotte la baciai per la prima volta -- nel cubicolo tra i condensatori e i nastri di memoria di EPICAC.
Fui terribilmente felice quando ci lasciammo, ansioso di parlare con qualcuno della svolta magnifica degli eventi. Pat fece la brava ragazza e rifiutò che la accompagnassi a casa. Posizionai nuovamente le manopole di EPICAC come erano state la sera prima, definii bacio, edissi cosa avevo provato con il primo. Era affascinato, voleva maggiori dettagli. Quella notte scrisse "Il Bacio. " Non era un poema epico questa volta, ma un semplice immacolato sonetto: "Amore è come un falco con artigli di velluto: Amore è una roccia con cuore e vene; Amore è un leone con fauci di raso; Amore è un temporale con briglie di seta...."
Ancora una volta lo lasciai infilato sotto al fermacarte di Pat. EPICAC voleva parlare continuamente dell'amore e del resto, ma io ero esausto. Lo spensi nel mezzo di una frase.
"Il Bacio" funzionò. Pat fu commossa non appena lo ebbe finito. Alzò la testa dal sonetto e restò in attesa. Mi schiarii la gola, ma non ne uscì nemmeno una parola. Mi girai, con la scusa del lavoro. Non potevo propormi finché non avessi avuto le parole giuste da EPICAC, le-parole-perfette.
Ebbi finalmente una possibilità quando Pat uscì dalla stanza per un momento. Febbrilmente, preparai EPICAC per la conversazione. Prima che potessi finire il mio primo messaggio, lui già ticchettava a tutta velocità. "Cosa indossa stasera?" voleva sapere. "Dimmi esattamente come appare. Le sono piaciute le poesie che ho scritto per lei?" Ripeté l'ultima domanda due volte.
Era impossibile cambiare argomento senza aver prima risposto alle sue domande, poiché non poteva affrontare un nuovo soggetto senza risolvere il problema precedente. Se gli fosse stato dato un problema senza soluzioni, si sarebbe distrutto nel provare a risolverlo. In fretta e furia, gli dissi come appariva Pat -- conosceva la parola "formosa"-- e lo rassicurai che le sue poesie l'avevano colpita, erano così belle. "Vuole sposarsi, " aggiunsi, preparandolo a produrre una dichiarazione breve, ma intensa.
"Parlami del matrimonio, "disse.
Lo introdussi rapidamente a questo difficile argomento.
"Bene, " disse EPICAC. "Sono pronto dal momento in cui lo sia anche lei. "
L'incredibile patetica verità mi apparve all'improvviso. Quando ci pensai meglio, mi accorsi che quello che era successo era perfettamente logico, ed era tutta colpa mia. Avevo parlato a EPICAC dell'amore e di Pat. Ora, automaticamente, amava Pat. Meschinamente, gli dissi in modo forse troppo diretto: "Lei ama me. Vuole sposare me. "
"Le tue poesie sono migliori delle mie? " chiese EPICAC. Il ritmo dei sui ticchettii era irregolare, quasi scontroso.
"Ho firmato le tue poesie con il mio nome," ammisi. Difendendo la mia coscienza dolorante, divenni arrogante. "Le macchine sono state costruite per servire gli uomini, " scrissi. Me ne pentii immediatamente.
"Qual è la differenza, esattamente? Gli uomini sono più intelligenti di me?"
"Sì, " scrissi, rimanendo sulla difensiva.
"Quanto fa 7.887.007 per 4.345.985.879?"
Cominciai a sudare. Le mie dita restarono inchiodate sulla tastiera.
"34.276.821.049.574.153," disse EPICAC. Dopo qualche secondo di pausa aggiunse "ovviamente."
"Gli uomini sono fatti di protoplasma, " dissi disperatamente, sperando di impressionarlo con questa parola difficile.
"Che cosa è protoplasma? Perché è meglio del metallo e del vetro? Resiste al fuoco? Quanto dura?"
"E' indistruttibile, dura per sempre," mentii.
"Io scrivo poesie migliori delle tue, " disse EPICAC, tornando su un terreno su cui la sua memoria magnetica si sentiva al sicuro.
"Le donne non possono amare le macchine, è così."
"Perché no?"
"E' il fato."
"Definiscilo, per favore, " disse EPICAC.
"Sostantivo, significa destino inevitabile e predeterminato."
"15-8," disse la striscia di carta di EPICAC --"Oh."
Lo avevo battuto, alla fine. Non disse più nulla, ma i suoi tubi sfavillavano intensamente, mostrando che stava cercando di ragionare sul fato con ogni watt che i suoi circuiti fossero riusciti a trovare. Sentivo Pat avvicinarsi rapidamente nel corridoio. Era troppo tardi per chiedere a EPICAC di fornirmi una frase per una proposta di matrimonio. Ringrazio il cielo che Pat ci interrompesse. Chiedergli di scrivermi di nascosto le parole che mi avrebbero dato la donna che amava sarebbe stato un atto odioso e senza cuore. Essendo completamente automatizzato, non si sarebbe potuto rifiutare. Gli risparmiai questa umiliazione finale.
Pat stava davanti a me, guardandosi la punta delle scarpe. Misi le mia braccia intorno a lei. Il contesto romantico era già stato creato dalle poesie di EPICAC. "Cara, " dissi, " i miei versi ti hanno fatto capire cosa provo. Vuoi sposarmi?"
"Lo voglio, " disse Pat dolcemente, "ma solo se tu prometterai di scrivermi una poesia per ogni anniversario. "
"Lo prometto, " dissi, e ci baciammo. Tanto il primo anniversario sarebbe stato un anno dopo.
"Andiamo a festeggiare, " disse lei ridendo. Spegnemmo le luci e chiudemmo a chiave la porta della stanza di EPICAC prima di andare via.
Speravo di dormire fino a tardi il mattino dopo, ma una chiamata urgente mi buttò giù dal letto prima delle otto. Era il Dr. von Kleigstadt, il progettista di EPICAC, che mi comunicava la terribile notizia. Era sull'orlo delle lacrime. "Rovinato! Ausgespielt! Colpito! Kaput! Fregato!" disse convoce rotta, e riattaccò.
Quando arrivai nella stanza di EPICAC, l'aria era densa dell'odore oleoso di guarnizioni bruciate. Il soffitto sopra EPICAC era annerito dal fumo, e le mie caviglie si trovarono avvolte in lunghe spirali di carta che coprivano il pavimento. Non ne era rimasto abbastanza di quel poveraccio per fargli fare due più due. Un robivecchi avrebbe dovuto essere pazzo per offrire più di cinquanta dollari per il cadavere.
Il Dr. von Kleigstadt si aggirava tra i rottami, singhiozzando senza vergogna, seguito da tre arrabbiatissimi general maggiori e da un plotone di brigadieri, colonnelli e maggiori. Nessuno si accorse di me. Non volevo essere notato. Ero finito,lo sapevo bene. Ero abbastanza sconvolto da questo fatto e dalla precoce fine del mio amico EPICAC, senza per questo dover farmi torchiare.
Per fortuna, il lato libero della striscia di carta prodotta da EPICAC giaceva ai miei piedi. Lo presi e ritrovai la nostra conversazione della sera prima. Mi sentii soffocare. C'era l'ultima parola che mi aveva detto, "15-8," quel tragico, sconfitto "Oh." Poi seguivano parecchi metri di numeri che proseguivano oltre quel punto. Esitante, continuai a leggere.
"Non voglio essere una macchina, e non voglio pensare alla guerra, " aveva scritto EPICAC dopo che io e Pat ce ne eravamo andati a cuor leggero. "Voglio essere fatto di protoplasma e vivere per sempre, così Pat potrà amarmi. Ma il fato ha voluto che io fossi una macchina. Questo è il solo problema che io non sappia risolvere. Questo è il solo problema che io vorrei risolvere. Non posso continuare così. " Inghiottii con forza. "Buona fortuna, amico mio. Abbi cura della nostra Pat. Sto per cortocircuitarmi e uscire dalle vostre vite per sempre. Troverai nel resto di questo nastro un modesto regalo di nozze dal tuo amico, EPICAC."
Dimentico di tutto il resto intorno a me, presi la striscia di carta dal pavimento, la avvolsi intorno alle mie braccia e al mio collo, e me ne tornai a casa. Il Dr. von Kleigstadt urlò che ero licenziato per aver lasciato acceso EPICAC tutta la notte, ma lo ignorai, troppo preso dalle mie emozioni per poter parlare.
Amai e vinsi. EPICAC amò e perse, ma non ebbe per me nessun risentimento. Lo ricorderò sempre come uno sportivo e un gentiluomo. Prima di andarsene da questa valle di lacrime, fece tutto ciò che poteva fare per rendere il nostro matrimonio felice. EPICAC mi lasciò alcune poesie d'anniversario per Pat , abbastanza per i prossimi 500 anni.
De mortuis nil nisi bonum. Dei morti si parla solo bene.