Il papà del generale
"La mia vita - o quantomeno ciò che ha meritato di chiamarsi tale - una vita singolarmente felice pur tra varie vicissitudini, è inscritta fra il 6 maggio 1906, giorno della mia nascita, e il 24 maggio 1986, data della morte di Eveline, mia moglie e compagna.'' In questo modo, sorprendente per un uomo dal leggendario cattivo carattere, inizia Ricordi di apprendistato (Einaudi, 1994), l'autobiografia del grande matematico André Weil.
L'identità del cognome con quello di Simone, la nota filosofa, non è una coincidenza: i due erano fratelli, anche se lei compare solo di sfuggita nel libro. Gli unici commenti di André sono che ``ci capitò di fare ben poche conversazioni serie'', e che ``la sua condotta mi è spesso sembrata, non senza ragione probabilmente, un affronto al buon senso''. Anche se ``nulla di ciò che la riguardava ha mai potuto davvero sorprendermi - con la sola eccezione della sua morte''.
I due provenivano da una benestante famiglia ebrea, alla cui fede non furono però educati. La sorella si convertì poi al cristianesimo, con effetti che il fratello non può fare a meno di commentare citando il detto spagnolo: El cristianismo es una locura (``Il cristianesimo è una follia''). Quanto a lui, a chi gli domandava se era religioso rispondeva: Pas de tout. Forse, però, la risposta non era così veritiera, perchè per tutta la vita trovò ispirazione negli insegnamenti della Bhagavad Gita.
L'India, più in generale, fu un suo vero amore. Pur di andarci era disposto a insegnare ``cultura francese'', anche se poi si presentò un'occasione più sensata di starci per due anni come matematico. Erano i primi anni '30 e Weil conobbe molti dei personaggi che avrebbero fatto la storia, a partire da Gandhi e Nehru. Oltre al celebre Rajagopalacharya, il ``Gandhi del Sud'', che quando lo rivide trentasei anni più tardi lo apostrofò dicendogli: I remember you perfectly. You have not improved since (``Mi ricordo perfettamente di lei. Non è migliorato da allora'').
Certo sarebbe stato difficile per Weil migliorare, almeno come matematico, visto che prima di recarsi in India aveva già pubblicato - giovanissimo - una tesi epocale nella quale dimostrava una profonda estensione di un teorema provato da Mordell nel 1922: il fatto, cioè, che tutti i punti con coordinate razionali di una cubica con tre radici distinte si possono ottenere partendo da un numero finito di essi, congiungendoli con linee per ottenerne altri, e così via. Nel 1929 Weil estese il risultato ai punti con coordinate ``quasi razionali'', cioè razionali a meno di un numero finito di irrazionali, ottenendo un importante teorema che oggi porta appunto il nome di Mordell-Weil.
Tornato dall'India in Francia, Weil cominciò a insegnare in Università. Insoddisfatto dei libri di testo esistenti, decise insieme ad alcuni amici di rimpiazzarli con un'opera enciclopedica e collettiva. Nacque così il famoso e famigerato gruppo Bourbaki, nome fittizio preso a prestito da un generale di Napoleone III. I suoi Elementi di matematica erano però perfettamente reali e influenzarono un'intera generazione, anche se non durarono tanto quanto il riferimento euclideo del titolo poteva far sperare. Particolarmente influente, e con il senno di poi abbastanza deleteria, fu la filosofia che ispirò la monumentale opera: procedere sempre dall'universale al particolare, con un esplicito incitamento alla massima generalità e astrazione.
Quando scoppiò la guerra, Weil trovò una duplice giustificazione indiana alla sua decisione di non prendervi parte. Da un lato, la Baghavad Gita consigliava di seguire sempre il proprio dharma, che lui identificò con la ricerca matematica e non con il patriottismo. Dall'altro lato, la satyagraha gandhiana enunciava esplicitamente il dovere di disobbedire a leggi considerate ingiuste. Weil scappò dunque in Finlandia, ma fu arrestato come spia e condannato a morte. Lo salvò dall'esecuzione l'intercessione del matematico Nevanlinna, che ne venne a conoscenza casualmente il giorno prima, durante un pranzo ufficiale col capo della polizia. Deportato in Svezia e rimpatriato, Weil stette per tre mesi in prigione in attesa del processo.
In quel periodo di isolamento trovò una volta di più consolazione nella Baghavad Gita. In carcere dimostrò il suo teorema più famoso, una versione dell'ipotesi di Riemann sulla distribuzione dei numeri primi per curve su campi finiti, e ne concepì una generalizzazione a superfici di dimensione arbitraria che divenne nota come congettura di Weil. Questa fu dimostrata da Pierre Deligne nel 1973 con un lavoro che non solo gli valse la medaglia Fields nel 1978, ma viene anche considerato il primo grande successo della moderna Geometria algebrica astratta.
Condannato a cinque anni per renitenza alla leva, Weil optò per la sospensione della pena in cambio dell'arruolamento. Fu però fortunato, perchè lo sfaldamento del fronte francese gli permise nel 1941 di fuggire ancora, questa volta in America. Trasferitosi in Brasile nel 1945, vi imparò un'altra delle numerose lingue che conosceva, sia classiche che moderne: dal latino al sanscrito, dall'italiano all'hindi. La sua autobiografia si chiude con il ritorno negli Stati Uniti nel 1947, con la convinzione che la seconda metà della sua vita non fu altro che un more of the same( ``la solita solfa''): una serie di teoremi e viaggi, a partire dalla base dell'Università di Chicago dapprima, e dell'Istituto per gli Studi Avanzati di Princeton poi.
Di una sua visita in Giappone nel 1955, però, vale ancora la pena di parlare. In occasione delle conversazioni dei giovani Goro Shimura e Jutaka Taniyama con il maturo Weil venne infatti formulata la congettura di Shimura e Tanyama che rivelò, negli anni '80, un inaspettato collegamento con il più famoso problema aperto della Matematica: il cosiddetto teorema di Fermat, che asserisce che, mentre esistono quadrati che sono somma di quadrati (ad esempio 25 è somma di 9 e 16), non esistono cubi che sono somme di cubi, nè quarte potenze che sono somme di quarte potenze, e così via.
La congettura di Shimura e Tanyama, e dunque anche il teorema di Fermat, furono dimostrate nel 1995 da Andrew Wiles mediante lo stesso armamentario di tecniche usate da Deligne. Weil arrivò dunque a vedere questo grande successo delle metodologie della Matematica moderna che aveva contribuito a sviluppare, ma non vide la dimostrazione che più gli sarebbe piaciuta vedere: quella dell'ipotesi di Riemann, che lui stesso e Deligne avevano dimostrato nel caso di campi finiti, e che rimane il più importante problema aperto della Matematica.
La vita di Weil si chiuse il 6 agosto 1998. Non prima di avergli dato, però, la possibilità di studiare a fondo i classici della Matematica, secondo la sua teoria che ``nella storia dell'umanità contano soltanto i geni e per conoscerli l'unica cosa che vale è il contatto diretto con le loro opere''. Alcuni dei risultati di questi studi si trovano in un testo che a sua volta è diventato anch'esso un classico: la Teoria dei numeri (Einaudi, 1993) con cui converrà prendere contatto diretto per conoscere uno dei geni della Matematica del Novecento.