La formula di Black-Scholes: un'equazione... per fare soldi

Tradizionalmente vengono chiamate Matematica pura e applicata . Costituiscono in ambito matematico la ricerca di base, curiosity driven , quella che non si pone tante questioni sulla propria utilità, contrapposta a quella invece che applica risultati trovati precedentemente per risolvere specifiche situazioni o che comunque trae le motivazioni del proprio sviluppo da problemi concreti o suggeriti dalle altre discipline.
Negli ultimi 2–3 decenni, i rapporti tra Matematica pura ed applicata sono profondamente cambiati. Prima, il matematico per eccellenza era quello “puro”, quasi che le “semplici” applicazioni venissero lasciate a chi non aveva saputo scalare le vette di un'indagine puramente speculativa. Ora, le parti si sono invertite e spesso chi non ha un problema “concreto”, che in qualche modo giustifica il suo studio, viene guardato con minore interesse.
Le ragioni del cambiamento sono molteplici. C'è stato il naturale esaurimento di un paradigma che non aveva esitato a dichiarare che l'applicabilità di una teoria matematica – se mai si fosse verificata – doveva considerarsi solo una fortuita coincidenza. C'è stata la naturale reazione all'esasperazione di questo atteggiamento, oltretutto non più confortato dalla profondità dei risultati prodotti. C'è stata soprattutto la diffusione del computer che, tra le tante cose, ha cambiato anche il modo di fare Matematica. Non a caso parlavamo di un cambiamento avvenuto nell'ultimo quarto del secolo precedente. Nel frattempo si sono anche allargati i confini dei territori cui la Matematica viene applicata. Questa è una storia più lunga, che risale ben prima dell'introduzione del computer.

Storicamente, il calcolo si è sviluppato assieme alla Fisica e all'Astronomia. Poi, con il finire dell'Ottocento, ha via via riguardato l'Economia, la Biologia, la dinamica delle popolazioni, la Chimica, ecc. Mentre qualche filosofo si attardava a fissare dei paletti contro la diffusione di uno spirito quantitativo che avrebbe colpevolmente invaso la nostra vita cancellandone la variabilità, la poesia, i sentimenti e quant'altro, è invece prevalso un atteggiamento più “laico”.

Se ne faceva portavoce già all'inizio del ‘900 Vito Volterra, il più grande matematico italiano del periodo. Dalla Matematica – diceva – non bisogna aspettarsi troppo. Bisogna però anche riconoscere che la sua versatilità è sorprendente, facendo scoprire cose che gli altri linguaggi non avevano saputo cogliere: “ nessuno può quindi dire al geometra a quali ampi orizzonti condurrà lo stretto e spinoso sentiero che il calcolo gli fa scoprire ”.

Pur essendosi occupato anche di analisi economica, Volterra non poteva prevedere che la Matematica si sarebbe pure presa cura dei nostri soldi, nel tentativo di farci capire dove investire e da quali investimenti stare invece alla larga. Effettivamente, tra i settori dove lo strumento matematico sta mostrando negli ultimi decenni un'insospettata creatività c'è proprio la Finanza e la gestione dei rischi finanziari. Nulla a che vedere con la tradizionale Matematica finanziaria e il calcolo di un montante, di interessi o di uno sconto. Il contesto non è più deterministico. L'aleatorietà è una componente essenziale nell'analisi dei mercati finanziari, caratterizzati da rischi elevati e da oscillazioni imprevedibili. Il numero degli attori, la diversità dei loro interessi e la complessità delle loro interazioni è davvero notevole. Non risulta allora sorprendente che siano i metodi probabilistici e la statistica a figurare in primo piano su questo “fronte” applicativo. Wolfgang Runggaldier, professore ordinario di Probabilità e Statistica a Padova, è stato il primo in Italia ad avvertire l'importanza di questi studi. Era il 1992 quando, con l'appoggio di Franco Giannessi, direttore della “scuola Guido Stampacchia” del Centro “Majorana” di Erice, ha organizzato il primo corso in Italia di Finanza matematica.

Norbert Wiener

 

La Finanza matematica si è sviluppata soprattutto con la diffusione dei nuovi prodotti finanziari, i derivati , e l'interesse per la previsione dei loro prezzi. Non si tratta più dei beni tradizionalmente negoziati sul mercato (azioni, obbligazioni, valute ecc.). I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende dalle quotazioni di un bene – il sottostante – e che fissano un pagamento futuro in funzione dell'evoluzione del valore del sottostante. E' una sorta di assicurazione. Un modo di ammortizzare il rischio derivante dal mercato, dalle caratteristiche finanziarie del titolo, dalla situazione socio-politica ecc. Tutti fattori difficilmente prevedibili in sé e per l'incidenza che avranno. Si parla di contratti a termine (forward o future) quando il contratto prevede l'obbligo alla compravendita. Si parla invece di opzioni quando l'obbligo si trasforma nella facoltà di acquistare o vendere il sottostante a scadenza. Ancora più in particolare si parla di opzioni europee o americane : la distinzione non è geografica, ma riferita alla scadenza. Per quelle europee, l'opzione deve essere esercitata ad una scadenza fissata; per quelle americane, entro una scadenza massima. L'opzione call dà diritto, a chi la detiene, di comprare l'attività sottostante (ad un prezzo prefissato); il detentore dell'opzione si muove quindi in un'ottica rialzista e scommette sul fatto che, a scadenza, il prezzo del sottostante sarà superiore all'attuale. L'opzione put conferisce invece il diritto di vendere: in questo caso, l' holder ha invece un'aspettativa ribassista sul prezzo del sottostante e vuole limitare la perdita.
La diffusione dei prodotti derivati risale alla fine degli anni '70. In Italia, la comparsa delle opzioni finanziarie, con l'indice azionario MIB30, è del 1995 anche se quelle valutarie erano state autorizzate già da una decina d'anni.
L'elemento clou è il prezzo fissato per le opzioni. Dipende dal valore del sottostante e dalla sua evoluzione, aleatoria, nel tempo e questo spiega perché i modelli stocastici dei prezzi costituiscano la base per il pricing di ogni derivato. La valutazione di un'opzione è un'operazione complessa -deve collegare in un'unica formula matematica tutte le variabili che intervengono nel fenomeno e nella sua evoluzione temporale- ma dal 1973 ha un nome, la formula di Black e Scholes , generalmente considerata accettabile e di facile applicazione. Anche la data del 1973 ha comunque una storia alle spalle.

Kiyosi Ito

 

Possiamo farla cominciare con Louis Bachelier (1870-1946), uno studente di Matematica francese, nato a Le Havre in una agiata famiglia di commercianti. Nel 1900, discusse con il grande Henry Poincaré la sua tesi di dottorato su la Théorie de la Spéculation intesa come studio dell'indice borsistico e della compravendita dei titoli di stato alla Borsa di Parigi. Per quel periodo l'argomento scelto era davvero singolare e lo stesso Poincaré, che pure passava per un matematico sufficientemente anticonformista che poteva permettersi una posizione più distaccata nei confronti delle esigenze dell'assoluto rigore matematico, non potè fare a meno di notare che “ l'argomento scelto dal signor Bachelier si discosta un poco da quelli che vengono trattati abitualmente dai nostri candidatii ”. Fatto sta che, anche per colpa del suo carattere, Bachelier ebbe poi una vita accademica stentata, trascorsa nelle Università di provincia. A Parigi, insomma, non arriverà mai. Il suo contributo alla teoria finanziaria, e più in generale all'analisi delle dinamiche probabilistiche in tempo continuo, verrà riscoperto solo molto più tardi.
Bachelier aveva osservato che i prezzi dei titoli e delle obbligazioni compiono nel tempo una serie di movimenti aleatori, un “cammino casuale”. Le loro variazioni non vengono influenzate da quelle precedenti. Formano così una sequenza di variabili casuali indipendenti con identica distribuzione di probabilità. Si parlerà di processo markoviano . Con Bachelier, fanno la loro comparsa le distribuzioni gaussiane: le variazioni del prezzo di un'obbligazione si dispongono formando una curva “a campana” con le (più numerose) variazioni di scarsa entità al centro e le (meno numerose) variazioni notevoli poste sulle “code” della distribuzione.
Nel suo studio, Bachelier fu anche aiutato dalla singolare analogia che aveva colto tra il fenomeno finanziario e quello già analizzato della diffusione del calore. Fenomeni dunque completamente diversi, ma regolati da leggi matematiche molto simili. E non è finita qui: sempre all'inizio del ‘900, Einstein formalizzava il cosiddetto moto browniano (in onore del medico e botanico scozzese Robert Brown (1773-1853) che, per primo, aveva osservato il moto rapido e imprevedibile di granelli di polline nell'acqua) trovando equazioni molto simili a quelle di Bachelier. “ Non si può fare a meno di meravigliarsi – oserva Benoit Mandelbrot, il padre dei frattali, nel suo Il disordine dei mercati (Einaudi, 2005) – che l'andamento dei prezzi dei titoli, il movimento delle molecole e la diffusione del calore possano tutti appartenere alla stessa specie matematica ”.

Dopo Bachelier, naturalmente, la storia continua. Troviamo nomi di matematici illustri quali Paul Lévy, Norbert Wiener, Harry Markowitz, Bruno de Finetti ecc. Troviamo anche un giapponese, di cui ci occuperemo tra poco. In estrema sintesi possiamo dire che, nella prima metà del Novecento, la Finanza viene ancora considerata come una disciplina distinta dall'Economia e sviluppata soprattutto nei suoi aspetti legali e istituzionali, oltre che nei calcoli della pratica quotidiana.

E' solo nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale che diventa oggetto di una strutturata e specifica teoria economica.

Nel 1973, arriva il contributo di Black e Scholes. Anche la loro storia merita di essere raccontata. Dopo la laurea in Fisica ad Harvard, Fisher Black si era specializzato in Matematica applicata. Nel '65 aveva però lasciato l'ambiente accademico per entrare in un'importante società di consulenza di Boston, attratto da problemi ancora più concreti e dalla possibilità di ottenere risultati spendibili immediatamente. E' qui che comincia a mettere gli occhi (e la testa) sul problema della valutazione delle operazioni finanziarie a rischio. Elabora anche una certa equazione differenziale, che però lascia nel cassetto. In quegli anni, arriva al MIT – per insegnare Finanza – un giovane economista canadese che si era specializzato a Chicago, Myran Scholes. I due si incontrano, si capiscono ed elaborano il loro modello - l'equazione di Black e Scholes – basato sull'idea che la valutazione di un contratto dipenda unicamente dai termini del contratto e dalla volatilità del titolo sottostante. L'esordio non è facile, anche perché Black non è un accademico. Inizialmente, il Journal of Political Economy e la Review of Economics and Statistics rifiutano il loro articolo. Verrà pubblicato nel 1973, nello stesso anno in cui a Chicago si permette che le opzioni siano scambiate in Borsa, mettendo così fine al loro mercato non ufficiale. Per i due economisti nord-americani, arriva così il successo, favorito dalla relativa semplicità della loro formula, dalla sua maneggevolezza e anche dai problemi posti dalle turbolenze finanziarie degli anni '70. Nel 1997, per la loro teoria sul prezzo delle opzioni Scholes vincerà il premio Nobel per l'Economia assieme a Robert C. Merton (figlio del celebre sociologo Robert K.) con cui aveva cominciato a collaborare quando questi era ancora uno studente di Economia al MIT. Black era scomparso due anni prima, per un tumore alla gola. Non è neppure privo di significato che la Texas Instruments inizi a pubblicizzare le sue calcolatrici, presentandole come lo strumento più adatto per applicare numericamente la formula di Black e Scholes.
Stiamo parlando di un'equazione differenziale alle derivate parziali, non stocastica (anche se originata da un modello probabilistico!) e pertanto risolvibile con le usuali tecniche di Calcolo. Tra le ipotesi che permettono la costruzione del modello c'è quella che il prezzo dell'opzione e del sottostante siano influenzati dalla stessa fonte di incertezza e che, con un appropriato portafogli di azioni e di opzioni, si riesca a compensare la variabilità del prezzo delle prime con la variabilità del prezzo delle opzioni. “ L'equazione di Black e Scholes - osserva Erio Castagnoli, direttore del Dipartimento di “Scienza delle decisioni” della “Bocconi” - ha diffuso nel mondo della Finanza quel cambiamento di prospettiva che i teorici avevano già compreso con de Finetti e l'approccio soggettivista. Non si parte da una probabilità valutata in base alle serie storiche per arrivare a prezzi considerati equi bensì dai prezzi, osservati sul mercato, per desumerne la probabilità ”.
Dicevamo che, in questa storia e in questa equazione, è coinvolto anche un giapponese. E' il matematico Kiyosi Ito che, nel 1944, estese l'integrale stocastico di Wiener. Naturalmente il matematico giapponese poteva pensare a tutto, fuorché al fatto che il suo integrale, tramite i cosiddetti processi di Ito e il lemma che porta sempre il suo nome, sarebbe stato qualche decennio dopo uno dei mattoni più rilevanti per la costruzione del modello di Black e Scholes.

Robert C. Merton

 

L'equazione del 1973 costituisce comunque solo l'avvio delle indagini più recenti, talora critiche nei confronti dell'impostazione seguita da Black e Scholes. I loro assunti-base sono spesso contraddetti dalla pratica –ne sa qualcosa lo stesso Scholes… con le sue disavventure finanziarie, successive comunque al premio Nobel– e da distorsioni persistenti, rendendo così necessaria l'introduzione di altri modelli che tengano conto dell'irrazionalità degli operatori e, in ogni modo, meglio riflettano la realtà del mercato. Questi modelli, più coerenti con il tipico comportamento degli investitori, producono distribuzioni “ a code grasse” simili a quelle osservate empiricamente. La maggior parte di loro è basata “ sull'assunto che il rendimento del titolo segua un processo di moto browniano con incrementi indipendenti a distribuzione normale. Purtroppo –nota Marco Papi, ricercatore al Campus bio-medico di Roma e coordinatore del progetto “Advanced Mathematical Methods for Finance”, al quale aderiscono 15 Paesi europei– così non si riescono ancora a cogliere aspetti cruciali quali la possibilità di crolli del mercato o di rendimenti straordinari”.

Myron Scholes

 

La ricerca va avanti e cresce l'interesse per i suoi risultati. Anche in Italia gli sbocchi occupazionali, nel campo della Finanza matematica, sono molto concreti. “ Erano ottimi, qualche anno fa, e continuano ad essere buoni ” , secondo il parere di Runggaldier. “Adesso la concorrenza dei fisici, degli economisti e degli ingegneri, che forse si sanno “vendere” meglio è aumentata e c'è qualche rischio in più di saturazione ma ugualmente le prospettive di una carriera importante per chi ha una laurea in matematica (anche solo triennale) e ha poi seguito un master specifico sono interessanti”.