La "lunga marcia" di Mauro Picone (1885-1977) - Presentazione

La “lunga marcia” è quella verso l’attivazione dei primi computers in Italia. Siamo nei primi anni ’50: sul traguardo del primo computer arrivano, quasi contemporaneamente, Milano, Pisa e Roma. Per Milano, il riferimento è al Politecnico; la realtà pisana è più composita e coinvolge sia l’Università sia la presenza dell’Olivetti; per Roma, il riferimento è all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo (IAC). Il fotofinish quasi fatica a stilare il preciso ordine d’arrivo, ma le personalità dei competitors rimangono vive e distinte. Convergono – nell’esito della “lunga marcia” – alte competenze matematiche, sensibilità applicative e lungimiranti indirizzi di sviluppo industriale.

Roma, CNR 1955, il FINAC. Da sinistra verso destra: Corrado Bohm, Paolo Ercoli, Wolf Gross, Aldo Ghizzetti, Mauro Picone, Giorgio Sacerdoti, Roberto Vacca, Enzo Aparo, Dino Dainelli.

La corrispondenza inedita – che qui pubblichiamo – racconta questa storia riferendosi, quasi esclusivamente, al progetto “romano”. È stata rinvenuta presso l’Archivio storico dell’IAC, a Roma, e copre il periodo che va dal 1944 – la prima lettera, di Picone al matematico George David Birkhoff, è del 31 agosto – alla fine del ’55, quando il primo computer “romano” (italiano o “oriundo” che fosse) viene inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica. Attraverso questa corrispondenza, veniamo a contatto con molti personaggi di primo piano nel mondo matematico, scientifico e industriale della metà del secolo scorso. Tra i destinatari e i mittenti delle lettere, troviamo i collaboratori più stretti di Picone, matematici, fisici e ingegneri, Enrico Fermi e John von Neumann, l’Università di Pisa, l’Olivetti, la “Bocconi” e gli esponenti di quegli Istituti di Calcolo e di Matematica applicata di altri Paesi, a cui Picone si rivolge per risolvere determinati problemi scientifici e poter finalmente realizzare a Roma il “computer italiano”.

Roma, 2005, Michiel Bertsch, Roberto Vacca, Corrado Bohm fotografati davanti l'Istituto per le Applicazioni del Calcolo "Mauro Picone".

Mauro Picone è il regista di tutta l’operazione. Era nato a Palermo nel 1885 e si era laureato, in Matematica, alla “Normale” di Pisa nel 1907. La guerra del ’15-’18 fu forse l’esperienza che maggiormente orientò il suo modo di “vedere” la Matematica. Quella in particolare delle tavole di tiro per l’artiglieria – da lui riadattate alle particolari condizioni geografiche del Trentino e per le quali aveva potuto utilizzare le sue competenze di Calcolo – gli farà scrivere nell’autobiografia: “si può immaginare, dopo questo successo della matematica, sotto quale diversa luce questa mi apparisse. Pensavo: ma, dunque, la Matematica non è soltanto bella, può essere anche utile”. Picone insegnò nelle Università di Torino, Cagliari, Catania, Pisa e Napoli (e poi Roma) facendosi apprezzare anche a livello internazionale come specialista, in particolare, di equazioni differenziali alle derivate parziali. È proprio a Napoli che nel ’27, Picone fonda l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo che seguirà poi il suo fondatore nella capitale, nel ’32, divenendo un Istituto del CNR. L’IAC da subito è una presenza importante e originale nel panorama scientifico italiano. È la prima volta che la ricerca si organizza al di fuori dello stretto circuito accademico; è la prima volta che i giovani vi vengono avviati attraverso un canale che aggiunge un considerevole numero di posti di lavoro (sempre in relazione alla situazione preesistente); è la prima volta che la Matematica diventa soggetto e oggetto di consulenza, aprendosi a nuovi rapporti professionali. I cambiamenti di cui Picone è artefice non si limitano all’aspetto strutturale-organizzativo ma coinvolgono i contenuti della ricerca e il significato stesso dei termini usati quando si dice di voler affrontare e risolvere un problema matematico. È una nuova mentalità numerica che si affaccia sulla scena matematica italiana. Non basta dimostrare un teorema di esistenza, ed eventualmente di unicità, ma occorre – in modo altrettanto essenziale – elaborare procedimenti costruttivi per il calcolo della soluzione. Occorre, in altre parole, la stessa attenzione e lo stesso rigore per la determinazione dell’algoritmo numerico, per la dimostrazione della sua convergenza e per la maggiorazione dell’errore di approssimazione.

Transatlantico "Conte Biancamano" 20 agosto 1950. Pranzo di Gala: Picone va negli USA. Da sinistra: Gateano Fichera, Mauro Picone, Antonio Signorini.

Tutta la corrispondenza pubblicata si riferisce sostanzialmente agli anni del dopoguerra, dopo la caduta del regime. Non c’è alcuna traccia del passato fascista di Picone e di quella posizione politica che lo portò più volte a proclamarsi camicia nera della prima ora e a congratularsi caldamente con Giovanni Gentile per un’adesione al regime che porterà “ancora nuovo purissimo sangue nelle robuste vene del partito che ricostruisce e rinnova la Patria!”. È l’atteggiamento che, invece, l’allievo e amico Renato Caccioppoli – pur schierato su posizioni politiche opposte – derubrica a un “sano” opportunismo, a favore dei più alti interessi scientifici: “tu non ti occupi di politica, lo so e magari, dedito come sei soltanto al tuo lavoro, sei anche pronto a legare l’asino dove vuole il padrone”.

Le lettere si intrecciano, invece, con altri avvenimenti come, ad esempio, la scelta di Roma (e di Picone) da parte dell’UNESCO come sede del costituendo Centro internazionale di calcolo1. Il progetto non andrà in porto per diverse ragioni. In primo luogo, perché le lungaggini burocratiche e i tempi di ratifica della convenzione da parte dei vari Paesi si protrassero fino al 1961.

Picone – morirà poi nel 1977 – era nel frattempo andato in pensione! In secondo luogo, perché dopo l’entusiastica adesione iniziale, Picone sostanzialmente annulla i suoi entusiasmi individuando nel progetto un ostacolo alla acquisizione del computer. Il motivo è esplicitato nella lettera del 9 giugno 1952 a Gino Cassinis, cultore egli stesso di matematica applicata e membro autorevole del Comitato per la Fisica e la matematica del CNR:

È ben nota la grave deficienza di questo istituto, deficienza che io vado pubblicamente denunciando da molti anni, nel perseguimento dei moderni mezzi di calcolo numerico a grande velocità, consentita dalle macchine elettroniche automatiche.

Nei seguenti nn. 1-2 citerò le manifestazioni ufficiali di riconoscimento di tale deficienza e gli impegni ufficialmente assunti dalle superiori autorità per sanarle.

1) Il Presidente del C.N.R. ha sempre fatto autorevolmente eco alle mie denunzie in tutte le solenni manifestazioni ufficiali d’insediamento dei Comitati e di esposizione dei programmi di lavoro del C.N.R.

Inoltre, nella relazione sul disegno di legge concernente il finanziamento straordinario di ricerche scientifiche d’interesse nazionale, compilata dalla Presidenza del C.N.R., della quale allego una copia (Allegato n. 1), si additano, tra gli scopi del detto finanziamento, anche la costruzione di una macchina calcolatrice elettronica da assegnare a questo Istituto. Riporto, qui appresso, un brano di detta relazione (pag. 2, parte segnata in rosso):

“Altrettanto può dirsi nei riguardi della calcolatrice elettronica che è divenuta uno strumento indispensabile per il lavoro scientifico. In Italia esiste un Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo, altamente benemerito e ben conosciuto anche all’estero per il numero, la importanza ed il pregio dei lavori eseguiti. Storicamente è forse il primo istituto del genere che è sorto in Europa, ciò che potrebbe ben giustificare la sua candidatura ad essere il primo nucleo di un istituto europeo di calcolo.

Tecnicamente però il nostro Istituto, che è chiamato con grande frequenza ad adempiere a compiti di carattere applicativo ed all’esercizio di consulenze preziose nei riguardi dello sviluppo delle nostre attività industriali, è oggi in condizione di netta inferiorità rispetto agli istituti congeneri perché solo fra tutti non dispone di quelle moderne calcolatrici elettroniche che sono ormai entrate nell’uso corrente”.

2) Nella Convenzione istituente il Centro Internazionale di Calcolo (Unesco/NS/90, di cui ti allego una copia, Allegato N. 2) l’art. 1 ha il seguente tenore: “Creazione del Centro. È creato un Centro Internazionale di Calcolo... . La sua sede è stabilita a Roma”.

USA, agosto-settembre 1950: intervista di Picone alla Voice of America. Da sinistra: Mauro Picone, Gaetano Fichera, l'intervistatore Lupo.

Giova considerare i titoli presentati dall’Italia e gli impegni ufficialmente assunti che hanno determinato la scelta di Roma a sede del Centro Internazionale di Calcolo.

Nella circolare dell’Unesco/NS/92, intitolata: Conferenza per la creazione del Centro Internazionale di calcolo (Allegato n. 3) si legge che fra i documenti distribuiti ai partecipanti a quella conferenza vi erano: (n. 7) un rapporto del Governo Italiano, (n. 10) un rapporto del matematico americano H.H. Goldstine.

Nel rapporto del matematico H.H. Goldstine (allegato n. 5) dopo i riconoscimenti (nelle pagg. 4-5, parti segnate in rosso) del valore scientifico dell’attività dell’INAC si legge (pagg. 7-8 nelle parti segnate in rosso) quanto segue: “la plus grande faiblesse que je vois du côté des Italiens est qu’ils n’ont pas toujours accordé assez d’importance aux aspects logiques et mécanique des machines a calculer électroniques modernes. Du moins, je l’ai déjà dit, s’emploient-ils a y remédier en envoyant plusieurs de leurs ingénieurs étudier aux Etats-Unis.

En conclusion, je recommande, du point de vue technique, que le Centre soit établi a Rome selon le plan exposé dans la proposition italienne...”.

La documentazione che ti presento mi pare sufficiente a dimostrare che l’onore conferito all’Italia assegnandovi il Centro Internazionale di Calcolo è dovuto ai seguenti motivi:

a) L’esistenza di questo Istituto, al quale si riconoscono tradizioni scientifiche atte ad influenzare beneficamente l’attività del Centro Internazionale di Calcolo;

b) L’impegno del Governo Italiano, assunto su proposta del Presidente del C.N.R., di dotare l’I.N.A.C. di una macchina elettronica moderna.

–––––––––––––––––––

Ottenuto da parte del C.N.R., un finanziamento adeguato alle sue funzioni, io mi aspettavo, legittimamente, come è giustificato dalla precedente documentazione, che si sarebbe subito provveduto ad impegnare un’aliquota annuale ragguardevole da destinare alla spesa complessiva di circa 300 milioni, occorrente a dotare l’I.N.A.C., nel necessario periodo di tempo, di una macchina elettronica.

Ebbene nulla di tutto ciò è avvenuto.

Si è anzi autorevolmente manifestato il proposito di far dipendere l’installazione della macchina elettronica nell’I.N.A.C. dalla dotazione in macchine da calcolo che sarà assegnata al futuro Centro Internazionale di Calcolo, fondandosi sull’eventuale stabilirsi di rapporti di collaborazione tra questo e l’I.N.A.C.

A parte la considerazione che tale proposito è in contraddizione con gli impegni ufficialmente assunti dall’Italia, si arriverebbe così a questo assurdo. La creazione a Roma del Centro Internazionale di Calcolo, ottenuta unicamente per il riconosciuto valore dell’I.N.A.C., dovrebbe avere di conseguenza la decadenza proprio dell’I.N.A.C.!

Il Centro Internazionale di Calcolo ha obblighi internazionali e sarà destinato a ricerche i cui risultati debbono essere resi di pubblica ragione, pertanto gli organi di ricerca nazionale, sia dedicati alla difesa che al progresso industriale, non potrebbero valersi dell’opera del Centro Internazionale di Calcolo, donde la necessità di conservare gelosamente l’integrità ed il progresso dell’I.N.A.C.

Ma c’è di più. La Direzione Generale dell’Unesco ha diramato una proposta di regolamento interno per il Centro Internazionale di Calcolo, le cui norme sono quanto di meglio si possa immaginare per impedire al detto Centro un assetto che sia all’altezza delle funzioni scientifiche che gli si vogliono assegnare. Le stesse modalità di reclutamento del personale, contemplate in quel regolamento, si addicono bensì ad un personale d’ordine vuoi di banca, vuoi di prefettura, ma non certo a quelli di scienziati di fama quali devono essere i dirigenti del concepito Centro Internazionale di Calcolo.

Si deve temere, quindi, che i futuri dirigenti del Centro Internazionale finiscano col non essere neppure all’altezza d’intendere i fondamenti matematici dei metodi da tempo sperimentati nell’I.N.A.C., donde il probabile sorgere di conflitti di vedute che renderebbero all’I.N.A.C. impossibile l’impiego delle macchine di calcolo di quel Centro.

–––––––––––––––––––

Ma è imminente l’approvazione al Senato di un disegno di legge la cui attuazione potrebbe, per fortuna, indipendentemente dal finanziamento del C.N.R. contribuire a dotare l’I.N.A.C. della desiderata macchina elettronica.

Ecco di che si tratta. Nella relazione n. 2466 A della IV commissione permanente Finanze e Tesoro sul disegno di Legge del titolo: “Aumento del limite massimo del finanziamento per costituire riserve di prodotti alimentari, di materie prime e di attrezzature di proprietà dello Stato” (Allegato n. 6) , si legge (pag. 3, parte sottolineata in rosso) che possono essere assegnati ancora altri seimiliardi alle pubbliche amministrazioni, da destinare al rimodernamento delle attrezzature di ricerca, CALCOLO, e sperimentazione per gli Enti e Istituti scientifici, con una motivazione assai efficace.

Ora il C.N.R. potrebbe richiedere, sui detti seimiliardi, trecentomilioni da destinare alla macchina elettronica per l’I.N.A.C.

 

Ancora più esplicito si mostra Picone nel rispondere (22 ottobre 1952) al fisico francese Pierre Auger (1899-1993) che lo invitava a sollecitare l’adesione italiana al Centro internazionale di calcolo:

Caro Collega,

di ritorno da un lungo viaggio all’estero ho trovato, qui giacente, la Sua lettera del 12 agosto, alla quale mi affretto a rispondere.

Molto mi duole l’apprendere che negli ambienti dell’Unesco si addebitino all’Italia le difficoltà incontrate nella creazione del Centro Internazionale di Calcolo, il cui progetto aveva, in passato, affascinato una gran parte di cultori di applicazioni della matematica e, fra questi, in prima linea, il sottoscritto.

Si pensava che il Centro Internazionale di Calcolo avrebbe dovuto avere l’entusiastico concorso di tutte le nazioni civili e costituire un Centro di attrazione verso il quale dovevano convergere le opere di tutti coloro che sanno adoperare lo strumento matematico per il progresso delle scienze sperimentali, della tecnica e delle applicazioni industriali.

Ma, all’atto della firma della convenzione istituente quel Centro, vennero meno gli USA, l’Inghilterra e la Francia e si seppe, in seguito, che non avrebbero partecipato, al Centro stesso, la Germania Occidentale, la Svizzera, l’Austria, la Norvegia, la Svezia, ecc.

Ciascuno di questi Stati non aderenti persegue attivamente ricerche di matematiche applicate, senza alcun riferimento all’eventuale avvento di un Centro Internazionale di Calcolo, ed inoltre gli USA, l’Inghilterra, la Francia, la Germania Occidentale e la Svezia progrediscono nella costruzione di macchine automatiche da calcolo, confermando la loro possibilità di fare completamente a meno della collaborazione di un Centro Internazionale di Calcolo.

E allora è spontanea la domanda:

Dal momento che le più grandi Nazioni, ben progredite scientificamente ad industrialmente, hanno i loro Istituti di Calcolo, e molte di esse con le più perfezionate macchine calcolatrici, quali potranno essere i clienti del progettato Centro Internazionale di Calcolo?

Nei 26 anni di vita di questo Istituto si è sempre confermato che il progresso scientifico di un Istituto di Calcolo non può provenire che dalle ricerche proposte dai cultori di scienze sperimentali e dagli ingegneri dell’industria, poiché per le ricerche di pura matematica esistono e prosperano ovunque gli Istituti Universitari.

È dunque ben fondata, nelle condizioni di cose verificatesi, la previsione della scarsa operosità che avrebbe il progettato Centro Internazionale di Calcolo.

L’Italia possiede, da più di un quarto di secolo, questo Istituto che è in piena, feconda collaborazione con scienziati ed ingegneri industriali, italiani e non italiani, ed è ben fondato il timore che, una volta istituito il Centro Internazionale di Calcolo in Italia, désso, in difetto di clienti, entri, per averne, in competizione con l’Istituto nazionale di Calcolo danneggiandone l’attività.

A causa di tutto ciò sussistono gravi dubbi sulla convenienza, per l’Italia, di ratificare l’oneroso impegno di ospitare il Centro Internazionale di Calcolo.

Caro prof. Auger, è bensì vero che si è arrivati alla sopraddetta convenzione dopo molto lavoro, al quale parecchi valent’uomini hanno dedicato una notevolissima parte del loro tempo, ma è anche vero che a molte iniziative prese per addivenire al Centro Internazionale di Calcolo si possono muovere certe critiche la cui fondatezza ha, forse, alienato le simpatie di molta gente per il progettato Centro.

Di tali critiche io ho avuto occasione di parlare anche all’amico Cacciapuoti e sono sempre a Sua disposizione qualora Lei avesse interesse a conoscerle.

 

Erano, quelle di Picone, posizioni poco apprezzate anche da parte dei suoi più antichi estimatori, come quel Francesco Giordani, potente chimico Presentazione XII

napoletano e grand commis della struttura pubblica della ricerca italiana2, che venticinque anni prima aveva tenuto a battesimo l’embrione dell’IAC e che in questo caldo 1952 così gli scriveva (lettera del 13 agosto):

Noi ne abbiamo riparlato nel consiglio di presidenza del 25 luglio ed io sono stato veramente terrorizzato di apprendere che vi proponete di ricominciare da capo di fare un Centro di studi elettronici da soli senza l'appoggio di alcuna ditta specializzata. che costruireste intanto una piccola macchinetta di prova per acquistare pratica ad affrontare poi la costruzione di una grande macchina.

Tutto questo mi ha terrorizzato e mi pare che la via prescelta sia proprio quella attraverso la quale tu non giungerai mai ad avere una macchina elettronica.

Nel corso della riunione mi offrii di fare delle indagini per vedere quali appoggi avremmo potuto trovare in Italia da parte di una ditta specializzata. La breve indagine che ho fatta mi ha indotto a scrivere una lettera al nostro presidente, della quale invio anche a te una copia in linea del tutto riservata per tuo uso personale e perché tu possa farmi conoscere le tue eventuali osservazioni.

Il fatto che più mi ha colpito, come vedrai, sta nell’avere constatato che le straordinarie insistenze fatte per ottenere la sede dell’Istituto internazionale di calcolo in Italia, ricadano ora completamente sulle nostre spalle.

Penso che alla ripresa dei lavori sia necessario di mettersi attorno ad un tavolo e di fissare una linea di condotta precisa, senza della quale ho l'impressione che il C.N.R. farà una pessima figura e che tu non avrai mai quei mezzi di lavoro, che potresti utilizzare in modo utilissimo nell'interesse del progresso scientifico.

Spero che apprezzerai questo mio intervento al suo giusto valore nell’interesse di giungere a realizzazione concreta e, mentre ti auguro buone vacanze, ti prego di gradire un affettuoso saluto.

Roma, 1940. Palazzo del CNR, 4° Piano. Calcolatrici dell'IAC al lavoro.

Per chiudere questo inciso, resta da dire che ugualmente ferme furono le prese di posizione di Picone nei confronti dei ripetuti tentativi di Francesco Severi (1879-1961) di rilanciare l‘attività e il ruolo dell’Istituto di Alta Matematica con la proposta della creazione, alla metà degli anni ‘50, di un centro provvisorio internazionale di calcolo. Ma il parlarne qui ci allontanerebbe di molto dai limiti di questa Presentazione. È meglio invece procedere con ordine, perché la “lunga marcia” verso l’installazione del primo computer italiano – anche solo sul versante romano – è sufficientemente travagliata.

Si può dire che tutto ha inizio nell’agosto 1944 quando Picone legge su Stars and Stripes, il giornale delle forze armate americane in Roma, la notizia della costruzione dal parte dell’IBM di Mark I (Automatic Sequence Controlled Calculator), il computer progettato da Howard Aiken e poi regalato all’Università di Harvard e messo a disposizione della Marina statunitense. Il titolo dell’articolo è significativo: “Il più grande calcolatore matematico del mondo. Il calcolatore o supercervello che risolve qualsiasi problema matematico”. Poco dopo, nel ’46, l’avvio della realizzazione di ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer) non fa altro, ovviamente, che aumentare la curiosità di Picone. È uno sviluppo che si incontra naturalmente con quello dell’IAC e le sue prospettive. Da subito, Picone è consapevole dell’eccezionalità del momento scientifico. Così scrive l’11 luglio ’47 al collega austriaco Wolfang Gröbner, che era stato un collaboratore dell’IAC prima della guerra ed era poi diventato anche uno specialista di Geometria algebrica: «Le sarà noto il grandioso movimento anglo-sassone nella costruzione di potenti macchine calcolatrici, con le quali si possono realizzare effettivamente i metodi di integrazione alle equazioni a derivate parziali da tempo perseguiti in questo Istituto e che, in questi ultimi tempi, hanno ricevuti profondi perfezionamenti e generalizzazioni, specialmente per merito del giovane matematico Luigi Amerio. La più portentosa di tali macchine è in via di costruzione a Princeton, secondo un progetto del valente matematico Von Neumann. Il mio grande desiderio è ora quello di sperimentare, con tale macchina, i nostri metodi. Sono convinto che siamo pervenuti ad una svolta storica nelle applicazioni della matematica, che avrà anche grande influenza nei nuovi indirizzi di quella matematica che suol chiamarsi “pura”».

Alla fine degli anni ’40, la “lunga marcia” assume ritmi frenetici. Picone comincia a chiedersi se non sia possibile qualche concreta forma di collaborazione con gli americani (lettera a H. Lewy del 1 marzo ’48): “se dunque il governo degli Stati Uniti d’America aiutasse l’Italia a procurasi, per questo Istituto, una delle più perfezionate macchine calcolatrici elettroniche, compirebbe un atto collegato nel modo più intimo, con il programma che si propone di assolvere il piano Marshall”. Poi, avvia tutta una serie di indagini sugli Istituti e i Laboratori numerici statunitensi, inglesi, francesi e svedesi. L’attenzione, naturalmente, si focalizza sui primi: “io cerco di avere i mezzi per inviare negli Stati Uniti d’America un mio discepolo che dovrebbe rendersi conto delle possibilità, in calcolo numerico, così consentite dalle nuove macchine calcolatrici e sperimentarne qualcuna delle più potenti “ (lettera a J. H. Curtiss del 15 giugno ’49). L’idea si concretizza con il viaggio di Picone negli USA nell’estate ’50, in occasione del Congresso internazionale dei matematici di Cambridge (Mass.). Saranno Enzo Aparo e Dino Dainelli a recarsi ad Harvard per fare esperienza dei metodi di programmazione; saranno invece due ingegneri – Michele Canepa dell’Olivetti, e Giulio Rodinò – ad andare “in missione” per studiare costruzione e manutenzione delle nuove macchine.

Con il 1951, il progetto si fa più concreto. Picone parla espressamente della collaborazione con l’Olivetti – i primi contatti risalivano già al periodo bellico – e della sua preferenza per la costruzione in Italia della nuova macchina (sempre con l’aiuto decisivo degli americani), piuttosto che per il suo acquisto a “scatola chiusa”: “effettivamente, è intenzione delle autorità governative italiane di stanziare in un prossimo futuro la somma necessaria alla costruzione, col già progettato intervento della ditta Oliveti, di una grande macchina elettronica” (lettera a H.H. Aiken del 26 marzo ’51). Sul finire dell’anno, si viene però a sapere della scelta dell’UNESCO di designare Roma quale sede del futuro “Centro Internazionale di Calcolo”, affidando all’IAC il lusinghiero compito di costruirne l’elemento propulsore. Al di là dell’ovvia – e grande – soddisfazione, è un obiettiva complicazione del progetto di costruzione perseguito da Picone. Rafforza, invece, l’opzione alternativa dell’acquisto. Comincia così una lunga discussione, che vede divisi anche gli ambienti scientifici, tra chi giudica velleitaria l’ipotesi della costruzione (visto che in Italia mancava una qualsiasi esperienza nel campo elettronico) e chi – Picone, in testa – invece la sostiene, perché in questo modo “si avrebbe il vantaggio di preparare degli specialisti”. Picone non avrà esitazioni a far mettere a verbale alcune sue infuocate dichiarazioni in cui denuncia – come “un assurdo che stride insopportabilmente” – il fatto che tra i due impegni (quello del CNR di dotare l’IAC di un computer e quello del governo italiano di ospitare il “Centro Internazionale di Calcolo”) si voglia dare la precedenza al secondo “recando così certamente danno proprio a quell’istituzione italiana che ha meritato al nostro paese l’onore dell’assegnazione di quel Centro”.

La situazione in realtà, si chiarisce nel giro di pochi mesi. Il 1952 e il 1953 sono gli anni decisivi. Inizialmente, Picone insiste sulla best choice della costruzione. I problemi sono dati dalla scelta della macchina e dei produttori americani ma soprattutto dai soldi. Ce ne vorrebbero molti, ce ne sono pochi. Nella primavera del ’52, Picone perde l’appoggio decisivo dell’Olivetti, che avrebbe dovuto costituire il versante industriale italiano – per competenze e risorse – nel progetto di costruzione della nuova macchina. Ecco come, in una testimonianza privata, Michele Canepa ricostruisce l’episodio: “insieme con Adriano [Olivetti], partecipai a una riunione all’Università di Roma con Picone e Amaldi. Mentre andavamo alla riunione su una macchina guidata da un autista, Adriano definì il suo comportamento riguardo al finanziamento del progetto, dicendomi di non volere andare al di là del 50% del suo costo e di non voler lasciarsi trascinare dall’Università a una partecipazione più larga. Le cose si svolsero però ancora peggio del temuto. Nel corso della riunione, Picone e Amaldi confessarono seccamente che per il momento non avevano fondi disponibili per il progetto e provarono a convincere Adriano di assumersi l’onere dell’intero costo. Ricordo l’espressione di infelicità di Adriano quando comprese la situazione e il suo signorile comportamento di fronte alla novità. Non comunicò alcuna decisione, ma nella macchina che ci riportava al suo ufficio mi disse chiaramente che considerava del tutto chiusa la faccenda”. Nel frattempo, al posto dell’Olivetti, si fanno avanti altri possibili protagonisti industriali: la Microlambda (un’azienda appena fondata come joint-venture tra la Finmeccanica dell’IRI e l’americana Raytheon, “sponsorizzata” anche da alcuni ambienti del CNR) e la SARA Elettronica di Roma, una ditta specializzata nel campo delle microonde (appartenente alla CISA-Viscosa e con stabilimenti nella zona della Magliana). Picone tratta con loro e, contemporaneamente, con le aziende americane. Su suggerimento di Rodinò, si orienta sulla SEAC (Standard Electronic Automatic Computer) del National Bureau of Standards. Anche se il suo interlocutore è direttamente S. N. Alexander, direttore del Computer Laboratory del National Bureau of Standards, la trattativa fatica a decollare. L’importanza strategica del settore non permette a Alexander di prendere impegni di qualsiasi genere senza l’autorizzazione degli organi governativi americani e comunque, tra le condizioni preliminari poste dagli americani, c’è la partnership industriale dell’Olivetti. Picone non ci “sente” e, in ogni modo, ribadisce ancora – siamo nell’autunno del ’53 – la sua propensione alla costruzione in quanto “con il puro e semplice acquisto (…) l’Italia non perverrebbe alla formazione di propri tecnici, competenti nell’elettronica da calcolo, ciò che la priverebbe di un’attività scientifica e tecnica della più alta importanza nel campo delle applicazioni del calcolo” (lettera a S. N. Alexander del 14 ottobre ’53).

Il ristagno della trattativa è alla base della svolta improvvisa, all’inizio del ’54. Ancora, il 22 gennaio, Picone chiede a Mario Salvadori negli USA di prodigarsi per accelerare i tempi della decisione: “tu dovresti fare tutto il possibile per avere un abboccamento (…) onde arrivare ad avere una qualche nozione dell’epoca in cui, più o meno, sarà presa la detta decisione”. Ma, una settimana dopo, incontra alcuni rappresentanti della ditta inglese Ferranti (di Manchester) da poco entrata – il 5 giugno del ’53 – nella nostra corrispondenza per porre subito “….. l’eventualità di un acquisto di una nostra calcolatrice elettronica presso l’Istituto Nazionale del Calcolo”! È questa la trattativa “giusta”, quella che brucia i tempi e pone fine alla “lunga marcia”. Il 4 febbraio, Picone prega Salvadori di sospendere le “pratiche americane”. Il giorno dopo gli scrive: “ora, arrivato alla porta con i sassi, mi si dice: bisogna fare le pratiche per far intervenire i rispettivi Governi. Significa cioè, la dilazione di ogni decisione per lo meno per altri sei mesi! Ho dunque deciso di rinunziare alla collaborazione con il NBS per quanto riguarda la costruzione della macchina calcolatrice per questo Istituto”. Picone ha dovuto riconoscere che la sua “lunga marcia” per la costruzione del computer italiano era stata impedita anche dagli ostacoli internazionali. L’acquisto rappresenta il male minore ed è la strada pragmaticamente intrapresa con decisione.

La cerimonia di inaugurazione del primo calcolatore italiano a Roma, acquistato dall’Inghilterra, avverrà il 14 dicembre del ’55, alla presenza di Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica. C’è però ancora il tempo per registrare la (cordiale) polemica tra Picone e i fisici pisani che lo invitavano a collaborare con l’analogo progetto pisano. È un piccolo strascico della “lunga marcia”: “appunto io contavo sopra l’impiego che della macchina avrebbero fatto i fisici d’Italia per farla lavorare almeno un’altra settimana di ogni mese. Ora, se i fisici si costruiscono la loro macchina, essi stessi si troveranno di fronte all’inconveniente che sopra ti accennavo, aggravando lo sperpero costituito da due macchine costosissime, per la più parte del tempo inoperose, sperpero che evidentemente l’economia italiana non può e non deve sopportare. Io naturalmente mi adopererò con tutti i mezzi affinché tutte le scienze che si valgono del calcolo, nonché tutte le industrie che hanno uffici tecnici degni di rispetto, ricorrano alla macchina di questo Istituto. Ma non c’è da farsi illusione, la penetrazione in quegli ambienti sarà lenta e non potrà dare frutti tangibili che fra qualche anno. Aggiungi poi una circostanza di cui sono venuto a conoscenza soltanto ieri. Al Politecnico di Milano è in via d’installazione una macchina calcolatrice elettronica di una certa potenza, di un modello che mi è tuttora ignoto e che, mi dicono, ha sostenuto brillantemente alcune prove di collaudo. Dunque, da zero si salterebbe, in Italia, istantaneamente a tre macchine calcolatrici elettroniche. Che cosa avverrà della loro utilizzazione? Questa è la domanda tormentosa che io mi pongo e per la cui risposta bisognerà riflettere a lungo, tenendo conto di quelli che sono gli effettivi interessi per la scienza e per l’economia nazionale” (lettera a G. Bernardini del 30 dicembre 1954).