La tela di Pitagora
Poichè l'artista e lo scienziato posseggono e offrono visioni complementari del mondo, non stupisce che quando uno di essi osserva l'opera dell'altro, finisca per soffermarsi sugli aspetti a lui più congeniali. Quelli, cioè, che si situano nella zona di intersezione fra il proprio e l'altrui campo visivo e ricevono la luce da due punti di illuminazione distanti ma convergenti. Il matematico che guardi un quadro di Ravà, in particolare, non può che trovarsi immediatamente attratto e distratto dalla profusione di cifre e numeri che vi abbondano ed essere portato a cercare in essi il messaggio delle opere.
Non è la prima volta che l'arte offre raffigurazioni del mondo compatibili con le teorie scientifiche. Pensiamo anzitutto al disegno geometrico, che ha incarnato la visione galileiana della natura come libro scritto in un linguaggio avente per lettere poligoni e cerchi e per penne gli strumenti classici della Geometria euclidea: la riga e il compasso. O alla prospettiva e all'anamorfosi, che hanno codificato le regole per riprodurre sulla tela un'immagine della realtà che si accordi con la visione fisiologica. O al puntillismo, che ha illustrato l'atomismo nella maniera più convincente, mostrando la genesi di forme continue a partire da enti discreti.
Il mondo illustrato da Ravà è invece quello pitagorico, la cui essenza è sintetizzata nel motto: tutto è numero. Pitagora arrivò a questa ardita intuizione mediante la temeraria generalizzazione di una limitata scoperta: che alcuni rapporti armonici (l'ottava, la quinta, la quarta) si possono esprimere mediante rapporti numerici (due a uno, tre a due, quattro a tre). Pensare, sulla base di un'evidenza così limitata, che tutta la conoscenza del mondo fisico si potesse ridurre a simili rapporti, era ingiustificato e risultò ingiustificabile. La fede pitagorica ricevette infatti una quasi immediata sconfessione dalla scoperta che il rapporto geometrico fra la diagonale e il lato del quadrato non è riducibile a un rapporto numerico.
La sconfitta del pitagorismo portò a un secolare predominio della Geometria come linguaggio per la descrizione dell'universo, culminato nella scienza galileiana e nell'arte prospettica. Il seme per la rinascita fu gettato da Cartesio, che ridusse i punti geometrici alle loro coordinate: misurate, però, non più dai numeri interi dell'antichità ma da quelli reali della modernità. Per chiudere il cerchio e ritornare a Pitagora era necessario un ultimo passo, che fu compiuto a fine Ottocento: l'ulteriore riduzione dei numeri reali a successioni infinite di interi. Poco dopo, agli inizi del Novecento, anche la Fisica riscoprì i numeri interi, con la rivoluzione dei quanti e la discretizzazione di ogni possibile quantità: dell'energia con Planck, della luce con Einstein, delle orbite degli elettroni con Bohr, ...
Oggi Pitagora è stato (ri)vendicato: sia la natura che la sua descrizione matematica sono ormai considerate emanazioni dei numeri interi e un'arte che voglia essere sincera dovrà rendere testimonianza alla verità aritmetica dell'universo. Anzitutto, appropriandosi dei numeri come oggetti artistici, cosa a cui hanno più o meno timidamente atteso Giacomo Balla, Charles Demuth, Erté, Jasper Johns, Ugo Nespolo, ... Ma, soprattutto, rappresentando il mondo nella sua vera essenza numerica: cosa che, finora, solo Tobia Ravà ha voluto, potuto e saputo fare. Nei suoi quadri si coglie finalmente la natura come dev'essere nel profondo: riducibile a un dispiegamento di numeri colorati che si combinano in infinita varietà, veri e propri atomi pitagorici, a costituire cielo, acqua, terra, piante, fiumi, strade, case, ...
Non ci sono invece uccelli, animali e pesci per il semplice motivo che lo proibisce esplicitamente il secondo comandamento: non ti fare nessuna scultura o immagine delle cose che sono in cielo, sulla terra o nelle acque (Esodo, XX, 3-6; Deuteronomio, V, 7-10). Che l'arte religiosa occidentale abbia clamorosamente disatteso la parola stessa di Dio è un problema a parte, che fa comunque riflettere sulla veridicità della sua ispirazione. Più coerentemente, Ravà lascia affiorare la religiosità nella sporadica citazione di lettere di alfabeti sacri (ad esempio, citando in sanscrito e in ebraico l'ohm induista nell'opera Il valore del respiro).
Che la parola sia stata considerata un sostituto dei numeri per la fondazione dell'universo lo testimoniano varie cosmogonie, dalla Pietra di Shabaka egiziana al Popul Vuh maya. L'Occidente si rifà in genere al Vangelo secondo Giovanni, pur spezzando in traduzione la circolarità dell'originale, che recita: In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e Dio era la Parola'. La distinzione fra liguistica e aritmetica era però labile, per i greci. Da un lato, il logos stava a significare anche il rapporto numerico, oltre alla parola e alla ragione. Dall'altro lato, i greci non avevano simboli specifici per le cifre, e usavano allo scopo le lettere dell'alfabeto. Fondare il mondo sulle parole o sui numeri non doveva dunque apparire loro incompatibile.
Nell'opera di Ravà, le due fondazioni sono mediate dalla tradizione ebraica della gematria, che assegna sistematicamente valori numerici alle lettere dell'alfabeto, e viceversa, stabilendo così un rapporto fra parole e cifre che può essere utilizzato come una macchina per generare significati. I numeri che si vedono nei quadri non sono dunque messi a caso, per fare ``colore'', ma attendono di essere letti, interpretati e compresi.
Per capirli dovremo procedere lungo vie contrapposte ma convergenti. In una direzione, presteremo attenzione non alle cifre singole ma ai numeri da esse composte, come si fa leggendo non le lettere ma le parole di un testo, cercando di tradurli in concetti secondo le recondite corrispondenze della gematria. Viceversa, presteremo attenzione agli elementi visivi del quadro, cercando di tradurli in numeri secondo le corrispondenze inverse. Nel punto di incontro tra i due processi, potremo trovare il significato recondito delle opere di Ravà e vedremo vivere di vita indipendente cifre che, a prima vista, apparivano inanimate e puramente decorative.
La cosa potrà anche apparire complicata, ma così sono il mondo e la scienza. Si può anche fruire di queste opere senza scendere in profondità, limitandosi a goderne i godibilissimi aspetti superficiali, dal colore alla forma: ma si farebbe loro un torto, rimuovendone la sostanza che le ha generate e che le alimenta. Sostanza che, in accordo con l'antica eppur moderna tradizione pitagorica, consiste nell'intelleggibile razionalità del creato. Uno dei meriti di Ravà - e certo non il minore - è l'essere riuscito a comunicare questa sostanza con gli strumenti di un'arte che si può vedere con gli occhi, illustrando efficacemente una scienza che si può solo immaginare con la mente.