Le midolla del male

Anna Maria, Anna Maria Enriques:

questo è il mio nome, Pietro Koch, ricordalo.

Ero già morta quando tu salivi

verso Milano per aprire un’altra

Villa Trieste, peggiore della prima,

perchè è sempre peggiore il male fatto

per la seconda volta. Quando vidi

i tuoi occhi, quel giorno, nelle camere

delle torture, dove fuoriuscivano

dal mio corpo le linfe della vita,

dove per giorni e giorni fui tenuta

in piedi con le scosse

elettriche, tenuta sveglia, e il sonno

mi tormentava; quando

vidi i tuoi occhi, io vidi, come specchi

moltiplicati a mille nel riflettersi,

tutto l’inganno del possesso, tutto

l’errore che comprime il mondo, tutto

il mentecatto tempo delle cose

chiuse dentro le cose sotto un sole

smunto di sete. Arno, padre di carmi,

infuse in me silenzi lunghi e assorti,

quando i libri mi accolsero ragazza,

e mi furono amici, mi ascoltarono;

poi, molti anni più tardi,

una goccia brunita del suo scorrere

si mescolò a una goccia del mio sangue,

portata dal Mugnone suo affluente,

presso il quale la vita mi fu tolta.

Tu, Pietro Kock, non sai quanta bellezza

c’è in un fiore di campo, in un cortile

con le lenzuola stese, nel diario

di una ragazza timida, nel vento

sopra l’erba ingiallita… Tu non sai

l’immensità di un treno in lontananza

e di una latta arrugginita accanto

a due bimbi che giocano; non sai,

non sai, non sai… Io ero morta da un anno,

la sorte di Tamara Cerri, andasti

a consegnarti in questura: la cella

per te e il processo e la condanna a morte,

in cambio della sua liberazione.

Ora prego per te, perchè quel gesto

in te sia stato amore,

e non superba, vanagloria. Infame

e ripugnante ti ricordo; eppure,

io spero che alla tua interiore tenebra,

smisurata di male,

d’amore una scintilla sia sfuggita

eternamente. Pietro,

io spero quel bagliore, propagandosi

fino alla foce attonita del tempo,

lampo d’eternità, lampo, divenga,

nullificando il tuo inferno. Io ti aspetto.