L'emancipazione e il suo prezzo
L'emancipazione e il suo prezzodi Imre Toth
Tutti gli argomenti razzisti diretti contro « la fisica e la matematica ebraiche" da parte di una certa letteratura scientifica del Terzo Reich, li si trova nel 1916 nella penna del celebre fisico ed epistemologo Pierre Duhem. Ma questa volta l'argomento è applicato alla Science allemande, titolo del suo libro tanto malvagio quanto stupido. La fisica tedesca si caratterizza nel suo insieme, secondo Duhem, per una fiducia eccessiva nel ragionamento deduttivo, il sospetto e il disprezzo verso le intuizioni che fornisce il senso comune - tratti distintivi della teoria della relatività, prodotto tipico del pensiero tedesco secondo Duhem. Il principio di relatività è un’impossibilità logica. Ma i suoi autori sembravano trarne un piacere tanto più vivo quanto più inconcepibili ne erano le conclusioni, più strambe al giudizio del buon vecchio senso comune. Tuttavia, una tale devastazione non ha nulla che possa dispiacere al pensiero germanico. Il Tedesco è sprovvisto del buon senso che fornisce la conoscenza intuitiva della verità. Il Tedesco stravolge le condizioni normali del sapere umano perché è un pazzo. La sua ragione è un mostro, incapace di giudicare se un principio è vero o falso. Una volta che il Signor Prof. ha ammesso questa teoria, essa è vera. Il procedimento del loro spirito geometrico evoca l’idea di un'armata che sfila in rivista. Ognuno vi si sente tenuto da una disciplina di ferro. Nessuna traccia dello spirito tedesco nell'opera di Gauss, di Helmholtz, di Felix Klein, spirito di cui sono prototipi Heinrich Hertz, Einstein, Minkowski. È ugualmente tipica dei Tedeschi, secondo Duhem, la tentazione di porre a se stessi i problemi che risolveranno senza la minima intenzione di applicarli a checchessia, e ciò ha trovato espressione nell'esortazione del grande matematico tedesco, Jacobi, a fare matematica soltanto "per l'onore dello spirito umano". E Duhem a commentare: niente di più pericoloso di un simile modo di agire.
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Philipp Lenard |
In ogni caso, la priorità di un'interpretazione razzista della matematica e della fisica risale senza alcun dubbio all'epistemologo Pierre Duhem. |
Sei decenni prima che in Francia e in Inghilterra, fin dall'inizio del diciannovesimo secolo, in Germania, e in Germania soltanto, gli Ebrei poterono occupare cattedre nelle università del paese. Ciò a dispetto della permanente opposizione di un forte antisemitismo sociale. Mi sembra insufficiente spiegare il gran numero di Ebrei nella vita spirituale tedesca con il solo obbligo religioso d'insegnare ai figli a leggere e scrivere in età precoce. E l'apertura agli Ebrei delle università non spiega, in sé, il livello del contributo ebraico alla scienza tedesca. Bisogna considerare in compenso che la resistenza dell'antisemitismo tradizionale all'emancipazione e all’integrazione degli Ebrei costituiva per essi una sfida permanente, un ostacolo da superare, ostacolo artificiale e forte , ma anche stimolo permanente nella produzione intellettuale e spirituale: per imporsi ad un certo livello, un professore ebreo doveva offrire prestazioni il cui valore doveva essere manifesto e superare di molto l'offerta degli altri.
Gli antisemiti hanno sempre contestato ogni valore al contributo spirituale degli Ebrei, hanno sostenuto con accanimento che gli Ebrei sono privi di ogni capacità di creazione originale, ma sono in compenso furbi e superiori per intelligenza ed astuzia agli «ariani, più lenti ma onesti», dotati quanto a loro « del genio creativo e della profondità di pensiero». Perfino dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946 Ludwig Wittgenstein accettava senza riserve questo stereotipo antisemita: gli Ebrei non dispongono di alcun genio creativo, un Ebreo non può mai essere veramente “grande”, tutt'al più disporre d 'un talento imitativo. Esempi citati: Felix Mendelssohn-Bartholdi, Einstein, Freud e «me stesso».
Gli Ebrei non sono né più né meno intelligenti degli altri. Nel corso del processo d'integrazione dovettero tuttavia superare e vincere gli ostacoli che l'antisemitismo tenace ergeva sul loro cammino. La sovrapproduzione intellettuale ne è una delle conseguenze - conseguenza dunque d'una anti-selezione imposta dall'antisemitismo.
In nessun luogo gli Ebrei hanno contribuito maggiormente – tranne forse un tempo in Spagna – all'accrescimento del retaggio spirituale di un paese che in Germania.
Nelle sue celebri Lezioni sull'evoluzione della matematica nel diciannovesimo secolo, tenute, un secolo fa, all'Università di Gottinga, il grande matematico Felix Klein parlava di «questa nuova e grande riserva di talenti» dei primi grandi matematici che, grazie all'emancipazione degli Ebrei, nel 1812, «si sono posti al culmine d' una evoluzione di grande importanza per la nostra scienza. Mi sembra che grazie a questo apporto di sangue nuovo la nostra scienza ha acquisito una vitalità immensa e mi piacerebbe designare l'origine di questo fenomeno come l'effetto di un' infiltrazione nazionale». E nel secolo che segui la loro emancipazione, il contributo degli Ebrei allo sviluppo della matematica tedesca conobbe un accrescimento esponenziale. Dopo la presa del potere da parte del Partito nazional-socialista, Hugo Dingler, delatore zelante e frenetico sostenitore della Deutsche Mathematik, professore all'Università di Monaco, denunciò Felix Klein come" agente degli ebrei, sospetto d'essere egli stesso di origine ebraica" e responsabile principale della trasformazione dell'Istituto matematico di Gottinga in «un covo di Ebrei, ostile a tutto ciò che è tedesco». Centro d'irraggiamento delle matematiche planetarie durante un secolo, come fu in altri tempi Atene, l'Istituto di Gottinga fu annientato e cadde nello stesso tempo nelle tenebre.
Nello spazio tedesco d'oggi, l'assenza degli Ebrei è una presenza materiale. La Germania ha voluto sbarazzarsi - e sbarazzare l'intero continente europeo - degli Ebrei: essa si è legata a loro irreversibilmente per l'eternità. Oggi è dovunque impossibile pronunciare la parola « tedesco» senza che l'eco risponda «Ebreo»; e non è più possibile dire «Ebreo» senza percepire distintamente il suo contrappunto: «tedesco». «Tedesco» e «Ebreo» , due parole inseparabilmente legate l'una all'altra fino alla fine dei tempi. L'una segue l'altra come la sua ombra , come una maledizione.
Felix Klein | La presenza in altri tempi degli Ebrei in Germania. come la loro assenza oggi, non è una questione di numero, ma di sostanza. «Che beneficio, un Ebreo fra i Tedeschi» esclamò al suo tempo Nietzsche. Neppure gli spiriti migliori condividevano tutti il sentimento di Nietzsche. Numerosi erano quelli che sentivano la presenza ebraica come intollerabile. Gl'insegnanti universitari, negli anni venti e trenta, erano per il trenta per cento ebrei; in rapporto ad una frazione di meno dell'un per cento della popolazione totale, ciò appariva intollerabile. Il prodotto del loro pensiero non fu percepito come un'aggiunta di valore, ma nel migliore dei casi come una sterilizzante mediocrità e soprattutto come un fattore di disgregazione e di corruzione dello spirito tedesco.
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L'Ebreo è assolutamente incapace di essere creativo, in bene o in male. Per poter sviluppare tutta la sua forza distruttiva ha avuto bisogno di uno stato che gli offrisse questa possibilità sotto la maschera dello Zivilisationsjude. Questo stato fu creato dal liberalismo, di cui l'Ebreo non è il padre, ma il figlio; esso avrà fine soltanto con il fallimento d'ogni liberalismo. Queste parole rappresentano solo un pallido frammento di un testo che rigurgita un antisemitismo zoologico. L'autore fu tuttavia considerato come uno degli spiriti più fini della Germania: Ernst-Jünger. Durante la sua vita, lunga più d'un secolo, non ha mai mostrato il minimo rammarico per i suoi discorsi tanto indegni quanto disonesti. Una dozzina d'anni fa, in un'intervista televisiva, è stato interrogato in modo vago su questo argomento. Egli ha risposto con un elegante sorriso, aristocratico e altezzoso: «Che volete? Abbiamo avuto la sfortuna di perdere la guerra!».
Gottlob Frege, contemporaneo di Ernst-Jünger, un po' più anziano, non era uno scrittore, né un artista, né un philosophus teutonicus mistico e irrazionale, come Jakob Böhme o Martin Heidegger, ma un logico severo, dalla mente fredda. Dopo Aristotele(1), il più grande, secondo gli adepti della filosofia analitica. A differenza di Aristotele, Frege disprezzava l'arte a motivo del suo carattere soggettivo, della sua incapacità di dire la verità.(2)
Frege era un fanatico della più esigente razionalità scientifica “in tutti gli ambiti della vita”. Nel suo Testamento politico di 29 pagine, redatto nel 1924, un anno prima della sua scomparsa, si trovano tre tentativi di formulare un manifesto rivolto alla Gioventù Tedesca, in cui le chiede di non celebrare feste fino al giorno in cui la Francia non sarà schiacciata: dopo la vittoria sulla Francia avrete il diritto di celebrare le vostre feste! E Frege esprime il suo augurio che venga un uomo, colmo del fresco vigore della giovinezza, capace di proporre un piano che ci libererà della supremazia francese! Perché è la Francia la principale responsabile dell'emancipazione degli Ebrei: Emancipazione degli Ebrei! Eguaglianza dei diritti! Gleichberechtigung! Ancora un bel regalo della Francia! Oggi mi rendo perfettamente conto di quanto gli Ebrei hanno contribuito a rovinare la Germania, Il Partito social-democratico, questo cancro di cui, per stupidità e cupidigia, i lavoratori tedeschi sono diventati vittime, è diretto da una maggioranza ebrea. Via! Continuate a disprezzare Scienza e Ragione!
Quanto a Frege, la sua ragione l'ha condotto ad una conclusione, senza dubbio condivisa da molti suoi colleghi: La decomposizione spirituale, che ha condotto alla disfatta, è per la maggior parte opera degli Ebrei. Tuttavia, Frege prende coscienza del fatto che la loro presenza pone un problema serio. In effetti, essi, gli Ebrei, si sono talmente assimilati che è diventato difficile riconoscerli. C'è una soluzione: Bisognerà reintrodurre le buone leggi del Medio Evo, isolarli, segnarli d 'un segno distintiva; debbono sparire dal corpo della nazione! Ed egli conclude il suo Testamento con l'esergo: Perché io desidero la verità, nient'altro che la verità! Senza alcun dubbio, un discorso chiaro. «Chiarezza! Chiarezza! Chiarezza!»Tale era il motto che ripeteva continuamente nella sua polemica abbondante e molto aggressiva contro il «morbus mathematicorum recens», questa moda passeggera, secondo lui delle matematiche moderne create dai suoi contemporanei, i più grandi matematici del secolo: Georg Cantar, Karl Weierstrass, Richard Dedekind e David Hilbert. Invece di realizzare il suo scopo, l'emancipazione degli Ebrei non ha piuttosto contribuito al balzo parossistico dell'antisemitismo? Non sarebbe stato il loro successo a contribuire alla loro propria distruzione? Lo scopo supremo dell'illuminismo ebraico, la grande speranza degli Ebrei tedeschi ed europei: l'integrazione attraverso la cultura, è fallito. La grande maggioranza li ha rifiutati, come un corpo estraneo. La storia ebraica è considerata come una sorta di malattia della storia europea, ora un tumore non può essere considerato come un organo del corpo. E’ cosa saggia prenderne coscienza, ma ancor più onesta ammetterlo - osservava, a proposito dell'antisemitismo, Ludwig Wittgenstein nel 1948, quattro anni dopo la seconda guerra mondiale. Questo fallimento evidente non costituisce una ragione maggiore ed evidente per mettere in dubbio la legittimità morale e politica della volontà e del movimento storico dell’integrazione degli Ebrei? Non è forse una ragione per vedere nel progetto di emancipazione un errore storico fatale e per dichiarare la sua totale caduta?
In effetti, un argomento ben noto ci ricorda che nel breve intervallo seguito all'emancipazione, è stato ucciso un numero di Ebrei incomparabilmente più elevato che durante i pogrom millenari.
Argomento pesante, grave, persino gravissimo, nessuno potrebbe sfuggire all'implacabile crudezza della sua verità di fatto.
Vi è tuttavia un altro fatto, la cui verità mi sembra altrettanto incontestabile e inaggirabile. Mai una collettività sociale così esigua ha arricchito il dominio dello spirito - nelle scienze e nelle arti - di un numero così imponente di opere di qualità eccezionale quale quello offerto dagli Ebrei d'Occidente, durante il breve periodo della loro emancipazione. Senza l'emancipazione e l'integrazione un tale contributo sarebbe stato inconcepibile. Il prezzo fu troppo alto? Certo , insopportabilmente alto. Mai due fatti sono incommensurabili. Si oppongono ad ogni paragone, non appartengono alla stessa categoria evenemenziale. La Storia non dà nulla gratuitamente. Gli atti, le res gestae ci appartengono. Il prezzo ch’essa richiede in cambio è fissato dalla Storia , unicamente da essa. Essa non ci chiede se siamo pronti a pagare o no. La Storia è spietata: tutto dev 'essere pagato. La Storia non mercanteggia. Soprattutto, non si lascia influenzare dalla nostra decisione morale di scegliere la via ordinaria e banale e rifiutare in cambio i risultati brillanti che arrecano sventura. Questi due poli evenemenziali dell'emancipazione ebraica non rappresentano l'unico fenomeno in cui la crudeltà della Storia rivela il carattere inesorabile e spietato delle sue opere. Benché risulti dai nostri propri atti, la Storia resta tuttavia insensibile agl'intenti del popolo minuto quanto a quelli dei grandi uomini, la Storia li trascina tutti a fini diversi da quelli proposti dall'intenzione dei suoi attori.
Nel De interpretatione, Aristotele illustra la relazione fra classe e sottoclasse con esempi come Ogni uomo è bianco - Qualche uomo non è bianco etc. L'esempio dell'opposizione uomo bianco e uomo non-bianco non si presenterà mai più nella sua opera. Probabilmente per giustificare questa assenza egli riprende l'idea e la commenta esplicitamente nella Metafisica: «Né la bianchezza dell'uomo né la sua nerezza costituiscono differenze specifiche, e non c'è differenza specifica tra l'uomo bianco e l’uomo nero», San Tommaso cita lo stesso esempio nello stesso spirito. Nel celebre Dialogo con Pünjer, sull’esistenza, Frege introduce la melanodermia allo stesso scopo d'illustrare la maniera corretta di trarre le conclusioni di un giudizio particolare: se «alcuni uomini sono Negri, allora ne segue che alcuni Negri sono uomini». Ma c’è qualcosa che si oppone a questa asserzione, commenta Frege, poiché involontariamente sorge il pensiero: «Ma tutti i Negri non sono uomini!». In effetti, questa asserzione, sebbene non sia una conseguenza necessaria, è altrettanto logicamente del tutto compatibile con la premessa Entrambe sono giudizi particolari e tra essi non sussiste alcuna contraddizione logica. Per restar fedele alle regole rigorose dell’inferenza logica, Frege propone la formula seguente: «Alcuni Negri sono uomini. Forse tutti». L’esempio parallelo concerne il giudizio particolare: «Alcuni uomini sono tedeschi». Donde la conclusione del tutto corretta: «Vi sono uomini che sono tedeschi». A questo ragionamento, Frege non aggiunge «forse tutti».
In un lavoro del 1897 che reca il titolo Logica, Frege illustra la sua tesi con l'esempio: come si potrebbe condurre un Negro delle profondità dell'Africa a maturare la sua opinione secondo cui il naso sottile dell’Europeo è brutto ed al contrario i nasi larghi dei Negri sono belli? All'epoca in cui Frege redigeva il manoscritto della sua Logica, e d'ora innanzi per molto tempo la rinologia comparata gode di rispettabilità scientifica ed ha esercitato la sua fascinazione propria nei dibattiti politici della Germania.