Una riflessione sul Novecento: le guerre e, dopo le guerre, la ricostruzione e le riforme

Com’è tristemente noto, la prima metà del Novecento fu teatro di due terribili guerre mondiali: quella degli anni 1914-1918 che costò complessivamente la perdita di circa 9 milioni di vite umane e quella ancor più cruenta degli anni 1939-1945 che costò complessivamente la perdita di circa 38 milioni di vite umane.

Negli anni immediatamente successivi al 1945 subentrarono nuove forti tensioni internazionali che fortunatamente non degenerarono in una terza guerra mondiale, ma che comunque spinsero i principali paesi a potenziare anziché a ridurre i propri arsenali militari: basti pensare alle armi atomiche e a quelle chimiche, ai missili intercontinentali, ai satelliti capaci di tenere sotto osservazione i territori dei potenziali avversari, ai radar viepiù potenti e sofisticati, e inoltre ai calcolatori elettronici, anch’essi inizialmente ideati per scopi militari, in quanto capaci di memorizzare e di elaborare in tempi brevissimi quantità di dati neppure immaginabili fino a pochi anni prima.

A partire dalla seconda metà del Novecento lo scenario cambia rapidamente. In un numero crescente di paesi ex-belligeranti (vincitori e sconfitti) si assiste ad un incredibile fervore di iniziative volte ad applicare nei più svariati settori delle attività umane le esperienze e le conoscenze precedentemente acquisite in ambito militare, quasi a voler esorcizzare nel più breve tempo possibile il ricordo delle terribili atrocità e delle immani distruzioni causate dalla follia delle recenti guerre.

Ecco qualche esempio emblematico al riguardo (a prescindere da eventuali giudizi di merito):

  • Il progressivo passaggio dal carbone al petrolio e alle tecnologie atomiche come fonti energetiche alternative rispetto a quelle tradizionali.
  • L’uso di sostanze radioattive in ambito medico con finalità diagnostiche e curative.
  • La rapida e capillare diffusione della televisione, divenuta ben presto il più pervasivo mezzo di trasmissione di programmi di intrattenimento e di notizie.
  • La messa in orbita di satelliti artificiali per le telecomunicazioni, per le previsioni meteorologiche, ecc.
  • Le tecnologie ingegneristiche che hanno consentito in tempi relativamente brevi la costruzione, o ricostruzione ex novo, di abitazioni, di fabbriche e di infrastrutture.
  • La crescente diffusione di mezzi di trasporto: automobili, autocarri e relative autostrade, ferrovie, navi e aerei.
  • I progressi nella ricerca di medicinali e cure sempre più efficaci, per esempio nel settore degli antibiotici e, qualche decennio più tardi, con la decodificazione del DNA umano.

E la scelta degli esempi potrebbe includere anche aspetti di altro tipo, ugualmente importanti. Per esempio

  • L’estensione del diritto di voto alle donne, che ha sancito almeno formalmente la parità fra uomini e donne, così come la possibilità per i giovani di entrambi i sessi di accedere a tutti i tipi di scuole.
  • La creazione di istituzione sovranazionali, quali l’ONU e la Comunità Europea, deputate a comporre pacificamente eventuali vertenze tra due o più nazioni.

In quello stesso periodo, nonostante le incertezze sui futuri assetti politici internazionali e nonostante le perduranti ristrettezze economiche, in molti paesi si iniziò una coraggiosa elaborazione di riforme dell’intero settore scolastico, dalle elementari alle università, nella previsione di crescenti prospettive di lavoro per le nuove generazioni, soprattutto in ambiti innovativi come quelli poc’anzi citati.

Da notare che in questa prospettiva quasi tutti i paesi innalzarono l’età dell’obbligo scolastico e ampliarono il ventaglio delle offerte formative, il che comportò, tra l’altro, un passaggio dal tradizionale “saper leggere, scrivere e far di conto” ad uno studio più approfondito della propria madrelingua, di almeno una lingua straniera, e della matematica.

In uno scenario tanto mutevole Giovanni Prodi (nato a Scandiano nel 1925) decise di studiare matematica all’università di Parma, dove (nonostante le difficoltà causate dalla guerra) si laureò nel 1948. Dopo un periodo trascorso a Milano come assistente universitario, nel 1956 fu chiamato a ricoprire la cattedra di analisi matematica a Trieste, da dove si trasferì nel 1963 alla medesima cattedra di Pisa, per passare infine, sempre a Pisa, alla cattedra di matematiche complementari. Segnalo infine la sua fattiva partecipazione alle attività della CIIM per i periodi 1967-1973 e 1980-1992, e il suo impegno come presidente della stessa tra il 1980 e il 1985.

Per ulteriori informazioni sulle vicissitudini umane e scientifiche di Prodi suggerisco caldamente la lettura dell’intervista fatta da Salvatore Coen a Prodi e pubblicata nel 2000 sul Bollettino dell’UMI (vedi [COEN]). Il lettore di troverà risposte schiette e sincere a domande altrettanto schiette e sincere, come per esempio quella sulle motivazioni che lo indussero a passare dalla ricerca matematica specialistica alla didattica della matematica, e l’altra domanda concernente le sue opinioni sui moti del “sessantotto”.

Risposte di Prodi:

Alla prima domanda: “La mia scelta non fu né improvvisa né drammatica e su di essa . come su tutta l’attività che ho potuto svolgere nel campo dell’insegnamento della matematica – ha fortemente influito Silvia, mia moglie”.

E alla seconda domanda:

“Il clima culturale del ’68, fortemente irrazionale, era contrario alla scienza e alla matematica in particolare; fa impressione la rilettura della Lettera a una professoressa di Don Milano, il testo che, nel campo della scuola ebbe maggiore seguito”[1].

 

[1] Il giudizio negativo di Prodi su Lettera a una professoressa, specie se riletto ora a distanza di tempo, mi sembra un po' troppo unilaterale. Questo è uno dei pochissimi punti sui quali avevamo pareri diversi, il che però non ha mai incrinato la nostra lunga amicizia e collaborazione.