Massimo, mi ricordo
Massimo Galuzzi è stato uno storico della matematica, conosciuto e apprezzato in ambito internazionale. In ottobre avrebbe compiuto 80 anni.
La sua carriera si è svolta tutta all’Università di Milano, presso il dipartimento di Matematica di via Saldini, dove si era laureato, con una tesi in Geometria, nel lontano 1966, diventando dopo poco tempo “assistente ordinario”. Erano gli anni che qualcuno ha definito “formidabili” per la loro tensione – alla fine riuscita – di rinnovare i rapporti fra le diverse componenti dell’università, e Massimo partecipava con quel misto di disincanto che caratterizza le persone capaci di vedere anche dall’esterno le vicende in cui sono pure coinvolte in prima persona. Spesso con ironia.
La ricerca storica non è stato il suo primo interesse. All’inizio partecipava con un piccolo gruppo locale di colleghi (fra cui il sottoscritto) nello studio della Teoria delle categorie, che allora era solo un argomento emergente nel nostro Paese, soprattutto sulla spinta della presenza all’Università di Perugia, in qualità di professore visitatore, di F. William Lawvere, il maggiore ispiratore ed esponente della teoria (anch’egli scomparso solo alcuni mesi fa). E i primi lavori di Massimo sono proprio relativi alla Teoria delle categorie, a cui rimarrà legato non solo da affetto anche dopo la scelta, avvenuta verso la seconda metà degli anni ’70, di dedicarsi prevalentemente alla Storia della matematica. Ne sono testimonianza alcuni articoli sul tema dell’universalità e la naturalità delle trasformazioni matematiche che ha voluto inserire e scrivere personalmente nell’Enciclopedia Einaudi, di cui era consulente al progetto e redattore (1978-82).
“Storia della matematica” è stata la sua docenza ed il suo insegnamento fino alla pensione, frequentata da numerosi allievi e attraversata da altri interessi e collaborazioni, secondo il suo stile, curioso verso tutti gli aspetti della cultura scientifica. Ad esempio relativi alla “computer algebra” o ai tratti più significativi di Filosofia della scienza. Era socio fondatore della Sism, società italiana di storia delle matematiche.
La sua visione globale, in storia, non si esprimeva in generale con esposizioni di carattere narrativo. Anche in queste naturalmente era attivo, in particolare con la redazione di volumi dedicati alla storia dell’algebra moderna, ma in lui prevaleva soprattutto la “militanza” del matematico e i suoi saggi tendevano a considerare in modo dettagliato particolari aspetti nei lavori di singoli autori – linguaggio, notazioni, osservazioni stilistiche ecc. – per dare il senso del valore, dell’originalità e del periodo storico in cui si inseriva il testo. I suoi articoli sembrano – a me, digiuno delle necessarie nozioni – come delle boe che in mare aperto segnano il percorso, i punti di svolta, i passaggi obbligati più che un tragitto descritto nella sua interezza. L’analogia è quella euclidea delle costruzioni con riga e compasso in cui si sa che, dati due punti, è data anche la retta che li congiunge.
Gli autori? Soprattutto i grandi del periodo moderno: Descartes, Newton, Lagrange, Galois e gli altri, con qualche excursus verso la classicità o il periodo delle scuole d’abaco. La sua produzione è troppo vasta e varia per darne conto in modo anche solo approssimativamente completo.
Il suo stile? Rispettare gli originali in tutti gli aspetti, di notazione, di forma e di linguaggio. Per questo si dedicava a studiare le lingue che non conosceva, compreso il greco antico e, ancora pochi anni fa, si rammaricava di non sentirsela di affrontare l’arabo, in vista del vasto programma che perseguiva di illustrare il contenuto degli scritti che hanno segnato la nascita dell’algebra.
Massimo Galuzzi era uno storico della matematica.