L'Università italiana rischia l'abbandono

27/01/2011

Il Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario ha presentato ieri, 26 gennaio, il rapporto sullo stato di salute dell'Università italiana. La relazione mostra un quadro piuttosto preoccupante: decimo posto nel mondo e quinto in Europa. Inoltre sembra che il sistema universitario abbia perso attrattiva negli ultimi anni. Infatti si segnala un calo delle matricole: nel 2003 erano il 74,5%, nel 2008/2009 il 66% e si prevede un ulteriore calo per l'anno accademico in corso. Analogamente vi è un calo di neo diplomati (i diciannovenni) che decidono di iscriversi all'Università, il dato si aggira al 48%.

Le motivazioni sono varie: «C'è una cultura diversa da parte delle famiglie - spiega Luigi Biggeri, presidente del Cnvsu - Una volta si cercava nella laurea la promozione sociale, ora ci si è resi conto che proseguire gli studi nella maggior parte dei casi non permette di fare alcun salto di classe sociale». Aggiunge Biggeri «E’ il fallimento di questo modello di università ma anche del mercato del lavoro e della capacità di creare lavoro da parte delle imprese». Queste parole trovano riscontro se si osserva cosa accade nei diversi territori. Nelle zone dove c'è occupazione il tasso di iscritti alle università è in forte calo.

La conseguenza è un forte calo dei laureati, scesi a quota 293 mila, il 13% in meno rispetto a otto anni fa quando erano oltre 338 mila. Contribuisce al calo l'alto numero di abbandoni, «Soltanto il 32,8% degli studenti porta a termine un corso di laurea, a fronte di una media Oecd pari al 38%», precisa il Comitato.

La fuga non è generalizzata, ma riferita soprattutto alle università pubbliche, che stanno affrontando anche il problema dei pensionamenti e dell'assenza di fondi per garantire un ricambio generazionale della classe docente.