Un ricordo di Bill Lawvere

Lawere

Nell’ultima settimana di gennaio, F. William Lawvere ci ha lasciato. E la comunità scientifica, soprattutto quella che fa capo alla teoria delle categorie, che ormai pervade così tante strutture della modernità matematica, ha perso il proprio ispiratore, sempre disponibile a lavorare con chiunque, contento di aiutarlo in maniera semplice e diretta.

Era nato nel febbraio del 1937 nello stato dell’Indiana e aveva completato gli studi in matematica con un dottorato alla Columbia University sotto la direzione di Samuel Eilenberg, nel 1963. Nella sua carriera ha ricoperto posizioni in numerose università: Portland, New York, Chicago, Zurigo, Halifax, Aarhus, Perugia e infine Buffalo, dove è rimasto fino al 2000 e si è ritirato in qualità di Professore Emerito in matematica e filosofia.

L’attività scientifica di Bill si è svolta tutta all’interno della teoria delle categorie che, secondo la sua diretta ammissione, aveva cominciato a studiare per proprio conto fin dal 1959, decidendo presto di farne l’argomento principale di studio per la sua capacità di semplificare i fondamenti della fisica del continuo.

La teoria delle categorie per imparare, sviluppare e utilizzare la matematica fin dall’insegnamento scolastico. La matematica per capire le cose e i fenomeni, non soltanto negli aspetti materiali ma pure, e soprattutto, rispetto all’evoluzione del pensiero e nei rapporti con gli individui e le strutture della società. Solo i grandi matematici sanno – o hanno saputo – riflettere le proprie concezioni scientifiche sugli aspetti fondamentali del mondo, coniugare la forma delle proprie teorie con l’intensità della pratica quotidiana.

Se la sua visione della società e del pensiero filosofico non avesse sistematicamente interagito all’interno del mondo stesso della matematica, ma ne fosse rimasta separata, senz’altro Bill sarebbe stato un ottimo matematico ma non il maestro la cui profondità di pensiero incantava chi gli stava intorno. Nella sua matematica c’era tutto e in tutto c’era la sua matematica.

Com’è noto, la teoria delle categorie, funtori e trasformazioni naturali, originata dalla necessità di guidare lo studio relativo al passaggio dall’idea di spazio agli oggetti dell’algebra omologica e omotopica, è stata ideata da Eilenberg e Mac Lane, negli anni ‘40, allo scopo di unificare e rendere coerenti numerosi progressi matematici degli anni ‘30. Da allora, la teoria si è estesa anche a problemi di geometria algebrica, geometria differenziale, logica e teoria degli insiemi, analisi funzionale, fisica del continuo etc. e più recentemente alla teoria della computazione e all’informatica teorica.

Bill è stato il principale esponente della teoria, delle sue interpretazioni nei diversi settori e delle sue applicazioni, con articoli e libri ed anche direttamente con il suo aiuto generoso a studenti e ricercatori di vari paesi. In particolare, la sua presenza come professore visitatore presso l’università di Perugia negli anni accademici dal 1972 al ‘74 ha permesso che in Italia si sviluppasse una importante scuola di studio sulle categorie.

Quello che so di Bill è che era un grande matematico. Senz’altro il più grande di tutti quelli che, modestamente, ho avuto l’occasione di frequentare. Uno dal quale hanno preso ispirazione finora un paio di generazioni di studiosi che hanno lavorato sulla teoria delle categorie e il suo senso per tutto l’armamentario della matematica, dai fondamenti, che Bill vedeva in senso pratico più che formale, fino alle applicazioni specifiche e alle loro motivazioni. Una visione del tutto, nel suo insieme e nella sua complessità, dove ogni particolare deriva da principi generali e ogni teoria si fonda sulla pratica della conoscenza.

Ci eravamo conosciuti, inutile dirlo, molto giovani, quando andavo, talvolta, a sentire i seminari che teneva a Perugia. Lui un po’ più anziano di me e soprattutto già affermato, sia in matematica che come “provocatore”, per così dire, in un mondo che rifiutava ogni atteggiamento in cui la scienza si allargava troppo – pensavano molti – a forme di pensiero difficilmente difendibili. Poco alla volta, vinta l’iniziale diffidenza verso la nuova visione della matematica che Bill proponeva, ne rimasi affascinato: invece di un mondo di soli oggetti, gli insiemi, vedevo sbucare in maniera naturale, senza mosse a sorpresa, un intero sistema di trasformazioni, di relazioni fra concetti che prima erano separati, di punti di vista che cambiavano la maniera di riguardare le strutture e i concetti.

Allora, in Italia, sulle categorie erano noti soltanto alcuni articoli divulgativi che, detto con il senno del poi, ne eludevano di fatto il senso. Anche nel resto del mondo circolavano poco più della definizione e qualche applicazione generale. Ma, in una cerchia ristretta, facevano già scalpore i primi risultati di Lawvere che usavano le nozioni categoriali non già nel senso della generalità ma in quello dei rapporti, rivoluzionando la maniera di riguardare i fondamenti della matematica e dando nuovo senso, fin dalla sua tesi, alla nostra comprensione dell’algebra universale, formalizzata in termini invarianti rispetto alla presentazione. Motivato da “misteriose difficoltà” (parole sue) che la letteratura matematica citava a suo tempo sulla possibilità di basare la nozione di categoria sulla tradizionale teoria degli insiemi, Bill conclude che la naturale soluzione ai problemi fondazionali consista nel definire assiomaticamente la categoria delle categorie. Una delle sue prime intuizioni.

Poi il “movimento” è cresciuto, sotto la visione, l’aiuto generoso di Bill e le sue intuizioni di ricerca. Con numerose collaborazioni, ad esempio sull’unificazione della teoria delle categorie con la logica matematica, sulle strutture della geometria differenziale, sulle applicazioni al calcolo ed ai calcolatori … sul senso e lo sviluppo, pratici e concettuali, della nozione di “topos elementare”, intesa, sulla scia dei lavori di Grothendieck, allo scopo di formalizzare la variabilità degli insiemi di Cantor agli universi del discorso nei quali le idee e i concetti diventano oggetti che è possibile visualizzare e manipolare, sui quali si può operare.

“Bill si è dedicato alla ricerca scientifica, all'istruzione e al rinnovamento democratico della società”. Scrive in questa occasione uno dei suoi figli, Danilo. È vero. Bill si è sempre interessato – e questo è un aspetto raro nei grandi matematici – al fatto che la matematica e la filosofia potessero fungere da guida anche per l’educazione e, a questo scopo, ha scritto un intero libro, con la collaborazione del suo amico Steve Schanuel. Erano straordinarie la sua capacità di illustrare un concetto profondo con un esempio elementare, di risalire indietro nella storia, non solo della scienza, fino a trovare le motivazioni, semplici e di fondo, di una nozione moderna, di criticare un atteggiamento da lui ritenuto sbagliato con una semplice, illuminante, battuta. Conosceva i filosofi antichi e quelli moderni, coglieva la relazione fra argomenti diversi con una semplice lettura, la sua capacità di sintesi richiedeva all’interlocutore una interpretazione che non era mai banale.

“Si è opposto alla guerra, ha sostenuto le lotte di liberazione e di resistenza dei popoli in tutto il mondo e ha incoraggiato attività politiche progressiste per tutta la sua vita adulta”. Continua Danilo. È vero anche questo. E spesso ha pagato, con trasferimenti forzati da un’università all’altra, da un paese ad un altro, e magari sopportando il disinteresse di molti colleghi che alle sue conferenze si mettevano pazientemente all’ascolto delle motivazioni politiche pronti poi buttarsi avidamente sulle intuizioni matematiche che anche da queste prendevano vita. Ma le idee no. Con le idee non ha mai avuto compromessi.

Con le sue parole: “Il cuore delle teorie matematiche sta nella variazione della quantità nello spazio e nell'emergere della qualità al suo interno". In geometria e nelle categorie, in logica e rispetto alle forme politiche o altro, il metodo di Bill, l'unità e l'identità degli opposti, è sempre stata la dialettica.