Vailati non ha mai espresso un aperto consenso verso il latino sine flexione di Peano. Ha recensito in termini oggettivi il libro di Couturat e Leau sull'Histoire de la langue universelle e in alcune lettere ha manifestato curiosità e interesse verso la lingua internazionale; ma nulla di più. D'altra parte egli ritiene che il contributo fornito dalla logico matematica sia essenziale anche alla filosofia, perché permette di porre in termini nuovi il fondamentale problema della conoscenza.
È singolare che Peano e Vailati, alla fine della loro atività intellettuale, abbiano affrontato, l’uno, il problema dell’algebra della logica, l’altro quello della grammatica dell’algebra; due testi che appaiono simmetricamente divergenti. La quinta e ultima edizione del Formulario (1908), già annunciata come imminente da Vailati, ebbe invece una lunga gestazione, per le difficoltà incontrate nella costruzione di simboli capaci di rappresentare, oltre le idee di logica, anche i più importanti capitoli della matematica.
Negli otto anni intercorsi fra il primo e il secondo saggio di Vailati su Peano, entrambi ebbero due percorsi diversi: il primo, abbandonata la produzione strettamente matematica (salvo l'argomento della definizione in matematica, e pour cause) si è dedicato interamente allo studio e alla diffusione del latino sine flexione, poi interlingua fino alla fine della sua vita; il secondo, si è impegnato soprattutto nella formulazione e nella difesa del pragmatismo.
Peano ha riconosciuto che la definizione è alla base della struttura della conoscenza; “si trattava, afferma Kennedy, dell’unico problema ‘filosofico’ che avrebbe continuato ad interessarlo fino alla fine”. Su ciò esiste una sostanziale unità di giudizio fra Peano e Vailati. Secondo il filosofo cremasco, infatti, ogni affermazione che abbia lo scopo di determinare il senso di un dato segno o locuzione è una definizione, e nel campo delle scienze deduttive esistono solo definizioni nominali, come afferma anche Peano: “In matematica tutte le definizioni sono nominali”.
Nello scritto I principi di geometria logicamente esposti (1889), Peano imposta per la prima volta il problema della definizione; problema ripreso nello scritto Formole di logica matematica (1891). Egli chiarisce il senso della definizione nominale e dà prova di essere ben consapevole che il problema della definibilità di un ente non ammette una risposta assoluta; egli mette poi in evidenza che certe definizioni, come quelle iniziali di Euclide di numero, unità, retta sono apparenti, “sono a considerarsi a preferenza come schiarimenti”, non vere e proprie definizioni.
È noto che Giuseppe Peano non ha mai voluto, programmaticamente, esprimere una propria opinione filosofica legata alla sua logica matematica; questo reciso rifiuto l’ha espresso in varie occasioni; ad esempio, nella recensione a un’opera di Schröder afferma: “Non seguirò l’A.[utore] nella parte filosofica, essendone io incompetente”; un’affermazione, questa, smentita da una sorprendente testimonianza.
È noto che Giuseppe Peano e la sua Scuola di Torino esercitò, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento un ruolo di punta nella ricerca matematica; il suo Formulario mathematico costituisce uno dei contributi fondamentali della cultura italiana allo sviluppo della matematica.